di Kristina Stoeckl. Professoressa di Sociologia all’Università di Innsbruck e coordinatrice del Postsecular Conflicts Research Project.
Nel 1991, al tempo della caduta del Comunismo, meno del 30% dei russi si considerava credente. La cognizione degli insegnamenti cristiani ortodossi nella popolazione era al minimo storico e il Patriarcato di Mosca, che era stato messo alle strette dallo Stato sovietico per decenni, aveva poco da offrire in termini di insegnamento sociale. Tuttavia, con la fine dell’Unione Sovietica, tra i molti stranieri che si riversarono in Russia c’erano anche missionari cristiani conservatori, che provenivano soprattutto dagli Stati Uniti d’America.
Il loro messaggio basato sui valori cristiani tradizionali e su quelli del liberalismo economico colmava il vuoto ideologico con una narrazione che vedeva la società contemporanea come il campo di battaglia tra due forze sociali, una progressista e una conservatrice, in aspra competizione nel disegnare il futuro e il destino del popolo. In questa visione, lo schieramento conservatore veniva percepito come qualcosa che affondava le proprie radici nella religione cristiana, uno stile di vita tradizionale e un forte senso del patriarcato e della gerarchia, mentre lo schieramento progressista come legato a valori quali laicità, egualitarismo, democrazia e cosmopolitismo.
Questa narrazione delle culture wars ha avuto origine in Occidente, più precisamente negli Stati Uniti degli anni ‘60 e ‘70, dove si è sviluppata attorno a temi come la famiglia, il genere, l’aborto e l’istruzione. Sulla scia dell’entusiasmo per la fine della Guerra fredda, la narrativa delle culture wars è diventata una potente cornice ideologica per i leader politici e religiosi che navigavano nelle acque della transizione post-comunista. Questo, in estrema sintesi, il messaggio della Destra cristiana occidentale: il Comunismo sovietico era stato certamente un male, ma il liberalismo non poteva essere un’alternativa. Le conseguenze della diffusione a livello globale delle culture wars sono visibili ancora oggi: nell’arco di tempo che arriva al 2021, la Russia si è guadagnata la reputazione di “difensore dei valori cristiani tradizionali” contro i diritti di genere e il liberalismo.
Molti conservatori cristiani in Occidente ammirano apertamente Vladimir Putin e leader politici dell’Europa centrale e orientale, come Viktor Orbán in Ungheria, seguono le sue orme. La Guerra fredda è finita nel 1991. Trent’anni dopo, le global culture wars creano ancora nuove divisioni.
IL POSTSECULAR CONFLICTS RESEARCH PROJECT
In questa sezione speciale del numero di novembre di Confronti, presentiamo una ricerca originale sul ruolo della Russia e della Chiesa ortodossa russa come attore esordiente nelle global culture wars. Il Postsecular Conflicts Research Project [Progetto di ricerca sui conflitti post-secolari (POSEC)] ha esplorato la paradossale ascesa della Russia e dell’Ortodossia russa sino a diventare punti di riferimento nelle global culture wars che si stanno combattendo attualmente.
Al giorno d’oggi, infatti, i punti nodali dei conflitti tra conservatori e progressisti riguardano questioni legate a sessualità e genere (omosessualità, diritti di genere, femminismo), famiglia (definizione di famiglia, violenza domestica), bioetica (aborto, maternità surrogata, eutanasia), istruzione (materie religiose a scuola, educazione sessuale, teoria dell’evoluzione, homeschooling) e libertà religiosa (simboli religiosi nello spazio pubblico, obiezione di coscienza).
Nell’articolo La globalizzazione delle culture wars americane e i suoi effetti sulle religioni
in tutto il mondo, rispondiamo alla domanda «Cosa sono le culture wars?» e spieghiamo come i conflitti politici tra i progressisti e i conservatori comunemente ascritti al contesto degli Stati Uniti d’America, siano diventati un fenomeno globale e interessino società con storie politiche e architetture istituzionali anche molto diverse dagli Stati Uniti. Una cosa che abbiamo imparato durante la nostra ricerca è che, nonostante il fatto che la Russia criminalizzi le Ong finanziate dall’estero bollandole come “agenti stranieri”, i legami istituzionali e ideologici tra i gruppi conservatori della Destra cristiana provenienti da Stati Uniti, Russia, Europa e America Latina prosperano senza ostacoli. I cristiani conservatori, infatti, trovano modi per cooperare nonostante le divisioni che distinguono da un punto di vista confessionale Ortodossia, Cattolicesimo, Protestantesimo ed Evangelismo. Nei fatti, le culture wars rappresentano un’opportunità per la Chiesa ortodossa russa per definire le proprie relazioni con la Chiesa cattolica. Fino a quando le correnti tradizionaliste hanno avuto la meglio in Vaticano, la Chiesa ortodossa russa sognava una “Santa alleanza” con la Chiesa cattolica. Ma sotto il nuovo pontificato di Francesco, il Vaticano non è più considerato un partner affidabile per la Destra cristiana e il Patriarcato di Mosca è pronto a prendere il suo posto.
Nell’articolo Una questione di radici. L’eredità di Pitirim Sorokin nel conservatorismo transnazionale odierno viene offerta una panoramica sulla storia intellettuale del conservatorismo russo contemporaneo e si accendono i riflettori sull’operato di uno dei principali artefici delle culture wars, oggi quasi dimenticato. Si tratta di Pitirim Sorokin, nato in Russia e poi emigrato negli Stati Uniti negli anni ‘20 e diventato professore presso la Harvard University. Sorokin può essere considerato una fonte del conservatorismo sociale sia negli Stati Uniti d’America che in Russia, e la storia della sua “riscoperta” in Russia attraverso una serie di conferenze, traduzioni e pubblicazioni nel corso degli anni ‘90 mostra in modo esemplare come gli attori russi abbiano imparato cosa fossero le culture wars per poi prendervi parte.
Nell’articolo Con o senza il Patriarca? L’ascesa della Destra cristiana russa e il Congresso mondiale delle famiglie viene riassunto il caso di studio dell’Ong conservatrice World Congress of Families – ben nota in Italia fin dal suo controverso congresso a Verona nel marzo 2019 – e, in particolare, l’impatto che ha avuto sugli ambienti laici all’interno dell’Ortodossia russa e la sua influenza sull’agenda pubblica e sulla dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa.
Ma i conservatori russi non solo hanno preso in prestito temi e strategie da fonti cristiane occidentali e dalle dinamiche laico-religiose occidentali, li hanno anche promossi attivamente nella politica internazionale. Il caso di studio citato in L’universalizzazione dei diritti tradizionali: una nuova forma di protagonismo normativo illiberale nella sfera dei diritti umani?, si occupa delle iniziative diplomatiche russe su valori tradizionali e famiglia promosse al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, e mostra come, per la Russia, le culture wars rappresentino un’opportunità per svolgere, ancora una volta, un ruolo forte e da antagonista nei confronti dell’Occidente.
Nelle global culture wars sono in gioco il significato e l’attuazione dei diritti umani. Mentre i liberali si adoperano per un’applicazione egualitaria dei diritti umani individuali e sostengono politiche sovranazionali in materia, i conservatori vogliono limitare i diritti umani internazionali e il potere delle istituzioni che li difendono. Il programma dei conservatori è un alleato naturale per tutte le forze politiche sovraniste, come si può vedere nel caso della Lega, che – con Matteo Salvini – si è trasformata in una Destra che ammicca ai “valori cristiani tradizionali”, in una forza politica filorussa e sovranista.
Il caso di studio analizzato nell’articolo Non è solo una questione privata. La transnazionalizzazione della difesa dell’homeschooling come nuovo campo di battaglia del movimento conservatore globale esemplifica come la scuola e l’istruzione possano diventare veri e propri “campi di battaglia” per le global culture wars per ridefinire il significato dei diritti umani.
Le religioni svolgono un ruolo pubblico nelle società contemporanee. Anche le società liberali occidentali altamente secolarizzate si sono dovute confrontare con i conflitti religiosi a causa delle migrazioni e della pluralizzazione religiosa. Inoltre, in molte parti del mondo le idee e gli attori religiosi occupano un posto di grande rilevanza nella sfera politica. Stante questa situazione, lo studio sociologico della religione è di fronte a nuovi scenari. Quello “classico”, nel quale le teorie della secolarizzazione, da un lato, diagnosticavano la scomparsa delle religioni nel mondo moderno e le analisi funzionali, dall’altro, rivendicavano la permanenza delle religioni in diverse articolazioni, ha esaurito il suo potere esplicativo.
Nel mondo contemporaneo sono emersi in modo dirompente nuovi fenomeni religiosi che non sono più adeguatamente riconducibili alle chiavi interpretative del “ritorno”, del “declino” o della “permanenza”. Oggi assistiamo a usi politici populisti della religione, coalizioni transnazionali e interconfessionali tra diversi attori religiosi, dibattiti approfonditi tra teologi progressisti e conservatori su quali direzioni debbano prendere le proprie tradizioni religiose…
Oggi non è tanto rilevante chiedersi se le religioni abbiano o meno un ruolo nelle società moderne, ma come, a quali condizioni, attraverso quali attori?
Una immagine dal Family Day 2007 di Piazza San Giovanni, Roma © Gatto Nero via Wikimedia Commons
Il Postsecular Conflicts Research Project [Progetto di ricerca sui conflitti post-secolari], di cui abbiamo raccolto i principali risultati in questa sezione speciale di Confronti, rappresenta questa nuova direzione nello studio del fenomeno religioso. La scelta terminologica non è neutra e scegliere di chiamare questa nuova direzione “post-secolare” è foriera di controversie accademiche. Il contributo intitolato Interpretare i conflitti post-secolari nelle società moderne raccoglie tutte le nostre argomentazioni a sostegno di questa scelta terminologica, ma – nel complesso – abbiamo evitato di far confluire nel progetto inutili sofismi terminologici. La situazione contemporanea è meglio descritta come “post-secolare” non perché “la religione è tornata” (perché non se n’è mai “andata via”), ma perché alla luce della critica post-coloniale e della autoriflessività epistemica, il nostro modo di guardare e pensare alla religione è cambiato.
La presenza della religione nelle società secolari moderne genera conflitti che sociologi e filosofi hanno interpretato in modi diversi, a volte come una minaccia – la minaccia di imminenti culture wars ( James Davison Hunter) – o come un’opportunità – la possibilità di una democrazia inclusiva attraverso il dialogo post-secolare ( Jürgen Habermas).
La ricerca sui conflitti post-secolari ha preso le mosse, da un lato, proprio dalla tensione tra conflitti religioso-secolari, e, dall’altro, da processi di apprendimento religioso-secolari, cercando di definire più in dettaglio le condizioni in cui emergono i conflitti e le modalità corrette di inquadrarli da un punto di vista teorico e sociologico. I risultati dei nostri studi incarnano il potenziale innovativo della ricerca stessa che abbraccia diversi livelli di attori religiosi, dalla società civile religiosa alle gerarchie ecclesiastiche, concentrandosi su legami transnazionali e interconfessionali al di là dei casi di studio confessionali o nazionali, che pone sistematicamente i risultati su un Paese o un gruppo religioso in una prospettiva globale e comparativa.
Vincere una borsa di studio erogata dal Consiglio europeo della ricerca (ERC Starting Grant) è un’opportunità unica per qualsiasi ricercatore che voglia affrontare un’analisi impegnativa e all’avanguardia in team. La ricerca qui presentata è il frutto di uno sforzo collaborativo di un gruppo internazionale e multilingue di giovani ricercatori provenienti da Austria, Russia, Ucraina, Italia e Stati Uniti, con ricercatori post-dottorato e studenti di dottorato e master. Siamo immensamente grati al Consiglio europeo della ricerca per i generosi finanziamenti ricevuti e all’Università di Innsbruck per il suo costante sostegno come istituzione ospitante. Il viaggio della nostra ricerca insieme è iniziato nel 2016, rendendo gli ultimi sei anni uno dei periodi più impegnativi, produttivi e istruttivi della nostra vita. Ringrazio Confronti per la decisione di diventare nostro partner, per la diffusione dei risultati del progetto in italiano e inglese, per averci incoraggiato a “tradurre” i nostri lavori accademici specialistici in un output che, spero, possa interessare anche lettori al di fuori del mondo accademico.
Ph. World Congress of Families XI, 2017 (Budapest Congress Center) © Elekes Andor via Wikimedia Commons
Kristina Stoeckl
Professoressa di Sociologia all’Università di Innsbruck e coordinatrice del Postsecular Conflicts Research Project