di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.
La vicenda di Óscar Eyraud Adams, ucciso il 24 settembre 2020 in Messico in seguito alle sue denunce sulla deprivazione di acqua alle popolazioni indigene, è solo una delle tante storie di violenza legate a questioni ambientali in America Latina. Nel 2020 nel Subcontinente sono 227 le persone uccise per tali motivi: si tratta di leader di movimenti ambientalisti ma anche semplici abitanti di villaggi che cercano di proteggere le risorse naturali della loro zona e i loro appezzamenti di terra.
Negli ultimi mesi della sua vita, Óscar Eyraud Adams si era dedicato a denunciare pubblicamente la mancanza d’acqua nella comunità Kumiai di Juntas de Nejí e la corruzione nelle attuali concessioni della Commissione nazionale per l’Acqua (Conagua), che amministra i bacini acquiferi nazionali, nel comune di Tecate, Baja California, in Messico. «Sono indigeno, sono Kumiai, sono indigeno di Nejí», così si presentava mentre mostrava alle telecamere di un notiziario la terra arida della sua comunità dove un tempo c’erano alberi da frutto: «Tutto questo è scomparso per mancanza d’acqua. Noi cittadini non abbiamo il permesso di costruire un pozzo di captazione delle acque, e vorremmo che Blanca Jimenez, la direttrice di Conagua, considerasse le nostre esigenze prima di quelle delle grandi multinazionali. Heineken ha più di 12 pozzi e la falda acquifera è prosciugata».
Negli ultimi anni nella zona di Baja California le piogge sono diventate sempre più rade e i pozzi si sono seccati. Gli abitanti devono chiedere alle autorità il permesso di scavarne di nuovi, e raramente questo diritto viene concesso.
Oscar Eyraud è stato ucciso a Tecate il 24 settembre 2020. Aveva solo 34 anni. «Quando l’hanno ucciso non si è difeso, perché non aveva niente con cui difendersi» ha detto sua madre a un giornale locale. Gli assassini hanno usato armi di grosso calibro e armi leggere. La polizia ha trovato almeno 13 bossoli di proiettili di diversi calibri.
La sua storia è raccontata nel Rapporto annuale Ultima linea di difesa elaborato dalla Ong britannica Global Witness che dal 1993 indaga sul legame fatale tra risorse naturali, conflitti e corruzione denunciando gli abusi ambientali e dei diritti umani da parte dell’industria petrolifera, di quella del gas, delle miniere e del legname, e le connessioni con il sistema finanziario e politico globale.
I dati che emergono dal rapporto dicono che il 2020 è stato l’anno più letale di sempre per coloro che difendono le loro case, i loro mezzi di sussistenza, la loro terra e i loro ecosistemi dallo sfruttamento delle risorse.
A livello globale, i Paesi in cima alla lista dei più pericolosi sono la Colombia con 65 omicidi, il Messico con 30 e le Filippine con 29 morti ma nel mondo tre persone su quattro, assassinate per motivi ambientali, sono latinoamericane. In totale nel subcontinente latinoamericano, 227 persone sono state uccise nel 2020, rispetto alle 219 dell’anno precedente e la cosa preoccupante è che non si tratta solo di leader di movimenti ambientalisti; la violenza colpisce anche semplici abitanti dei villaggi che cercano di proteggere le risorse naturali della loro zona e i loro appezzamenti di terra.
In questa triste graduatoria la Colombia e il Messico sono seguiti dal Brasile con 20 omicidi, dall’Honduras con 17 e dal Guatemala con 13. Ma se si prende in considerazione il numero di persone uccise in relazione alla dimensione della popolazione totale, Nicaragua, Honduras, Colombia e Guatemala sono in cima alla lista.
In media i dati mostrano che quattro attivisti ambientali sono stati uccisi ogni settimana dalla firma dell’Accordo sul clima di Parigi (2015) ma questa cifra scioccante è quasi certamente una sottostima date le crescenti restrizioni sul giornalismo e altre libertà civili che fanno sì che molti casi non vengano riportati. Oltre agli attacchi fisici che spesso sfociano in omicidi, viene utilizzata tutta una serie di aggressioni di vario tipo e gravità, come arresti arbitrari, minacce, molestie, campagne diffamatorie, violenze sessuali, molestie e denunce infondate.
Un giorno, speriamo di poter segnalare la fine della violenza contro coloro che difendono il nostro Pianeta e la loro terra, ma fino a quando i governi non prenderanno sul serio la protezione dei difensori della terra, e le aziende non cominceranno a mettere le persone e il Pianeta prima del profitto, sia il peggioramento del clima che le uccisioni continueranno
Secondo Global Witness, più di un terzo degli attacchi mortali sono legati allo sfruttamento delle risorse forestali, alle miniere e all’industria agroalimentare su larga scala. Altre cause sono legate alle controversie sulla costruzione di dighe idroelettriche e altre infrastrutture.
«Un giorno, speriamo di poter segnalare la fine della violenza contro coloro che difendono il nostro Pianeta e la loro terra, ma fino a quando i governi non prenderanno sul serio la protezione dei difensori della terra, e le aziende non cominceranno a mettere le persone e il Pianeta prima del profitto, sia il peggioramento del clima che le uccisioni continueranno. Questa serie di dati è un altro crudo promemoria che ci ricorda che la lotta contro la crisi climatica è un peso eccessivamente pesante per alcuni, che rischiano la vita per salvare le foreste, i fiumi e le biosfere che sono essenziali per contrastare il riscaldamento globale. Questo deve finire», ha detto Chris Madden di Global Witness.
Ph. Cañon Del Sumidero, Chiapas, Mexico © Gabriel Tovar
Nadia Angelucci
Giornalista e scrittrice