di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.
L’affossamento del ddl Zan dello scorso novembre ha riportato allo scoperto le ingerenze del Vaticano nella sfera politica (e culturale) italiana nonché l’assenza totale di un dibattito tra le Chiese cristiane in Italia. Quella del mondo cattolico e delle destre, tuttavia, è stata una vittoria tattica ed è improbabile che fermi processi storici di lungo periodo. Tuttavia, c’è il fondato rischio che l’anticlericalismo e un anticattolicesimo acidi e rabbiosi finiscano per trasformarsi in avversione al Cristianesimo in quanto tale.
Quando queste righe saranno pubblicate, l’affossamento del ddl Zan sarà ormai quasi dimenticato. Può però essere utile riflettere su alcuni aspetti che riguardano il rapporto tra riflessione ecclesiale e dibattito pubblico. Non mi occuperò quindi degli errori tattici compiuti dai sostenitori dell’iniziativa: non perché non siano stati rilevanti, ma perché sono interessato anzitutto alle ricadute della vicenda sulla testimonianza cristiana nel nostro Paese.
In primo luogo, va rilevata l’assenza totale di un dibattito tra le Chiese cristiane in Italia. Ciò è dovuto, evidentemente, all’irrilevanza politica della presenza evangelica, che la rende poco interessante come interlocutrice per la Chiesa più grande. Il dialogo ecumenico va benissimo, ed è anche ricercato, quando si tratta di temi direttamente teologici e spirituali. Se però è in ballo la gestione del potere, la Chiesa romana procede immediatamente al conteggio delle divisioni: e constata che quelle dei Fratelli d’Italia sono ben più cospicue di quelle delle sorelle e dei fratelli
protestanti. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare e lo fanno a modo loro.
L’hobby ecumenico va coltivato in altre e più innocue sedi. Che il ddl contenesse diversi aspetti critici, era evidente a molte/i (non a tutte/i, purtroppo). L’obiettivo della Conferenza episcopale (e del Vaticano, che è intervenuto per via diplomatica) non è mai stato il miglioramento del testo, bensì il suo siluramento. Si è detto di tutto: che si voleva mettere la museruola alla Chiesa cattolica (una preoccupazione che, alla luce della Storia della censura nel nostro Paese, fa un poco sorridere); che si disperdevano, in un dibattito frivolo, energie necessarie alla lotta contro la pandemia; che si ledevano gli accordi internazionali; e che comunque un’iniziativa del genere non era affatto necessaria, tutte e tutti erano tutelati anche troppo (come le cronache attestano quotidianamente…).
In realtà, ciò che dà fastidio è che si vogliano tutelare persone e comportamenti che la Chiesa romana ritiene “contro natura”. Non è che i vescovi italiani desiderino che le persone Lgbt vengano pestate: ma non vogliono che una legge le tuteli chiamando per nome le ragioni della loro discriminazione.
La tradizionale eleganza delle prese di posizione episcopali non è riuscita a camuffare l’euforia per una vittoria effettivamente rilevante: ottenuta, per la verità, frequentando compagnie imbarazzanti, ma di fronte alla posta in gioco si è ritenuto di non andare per il sottile. In parte, del resto, si tratta di vecchi amici…
Quella del mondo cattolico e delle destre, tuttavia, è stata una vittoria tattica ed è improbabile che fermi processi storici di lungo periodo: sappiamo com’è andata per quanto riguarda la legge sul divorzio, quella contro l’aborto clandestino, quella sulla violenza sessuale (ricordate? Doveva rimanere un reato contro la morale, non contro la persona), quella sulle unioni civili.
Gli ambienti cattolici hanno sabotato il referendum sulla Legge 40 sulla procreazione assistita (altra vittoria tattica), ma non hanno potuto impedirne lo smontaggio da parte della Corte Costituzionale. Prima o poi, si arriverà anche a una legge sull’omotransfobia, anche se non sarà certo grazie alla “fraternità” sbandierata da testi come la Dichiarazione di Abu Dhabi. Una Chiesa cattolica arroccata nella difesa dei propri veri o presunti spazi nella società finisce, ovviamente contro le proprie intenzioni, per incoraggiare la reazione di un laicismo altrettanto radicale, che si sente legittimato a rinunciare al confronto sereno.
Se vince chi sgomita di più, si dice, se ne prenda atto e ci si comporti di conseguenza, come ad esempio in occasione dei referendum. Data la composizione religiosa del Paese, tuttavia, è semplicemente fatale che un anticlericalismo e un anticattolicesimo acidi e rabbiosi finiscano per trasformarsi in avversione al Cristianesimo in quanto tale, che già non se la passa bene di suo, nemmeno in Italia.
La verità è che la speranza di battere pluralismo e secolarità alleandosi con i settori più retrivi della società è dura a morire e non è detto che la Chiesa cattolica sarà la sola a pagarne il prezzo.
Ph. St.Peter Square © Davide De Mura
Fulvio Ferrario
Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma