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Le ragioni della memoria 

by Marco Di Porto

di Marco di Porto. Giornalista e scrittore

Lavorando e frequentando le tematiche della Memoria per motivi professionali ma anche familiari (mio nonno materno è stato uno dei pochi sopravvissuti alla deportazione degli ebrei di Rodi, e la sua storia risuona dentro di me da sempre, cuore del nostro romanzo familiare), mi sono spesso posto una domanda: siamo sicuri serva davvero, questo faticoso impegno a ricordare?

Nella migliore delle ipotesi, mi sono detto a più riprese, qualche generazione di italiani sarà abbastanza informata sulla Shoah e sui crimini del nazifascismo e magari avrà sviluppato un po’ di anticorpi utili a riconoscere e a contrastare quelle nefaste ideologie (il che, oggettivamente, è già qualcosa); ma come si potrà trasmettere l’orrore e lo sdegno per quegli eventi con la stessa efficacia fra cento o duecento anni, anche dopo la scomparsa non solo dei testimoni diretti, ma anche dei loro figli e nipoti? Un comprensibile distacco, dovuto allo scorrere del tempo, sarà inevitabile. E allora, quei tragici errori potranno essere commessi di nuovo, come ha ammonito Primo Levi: «È avvenuto, dunque può accadere di nuovo. Questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire». Dunque, a che serve tutto questo sforzo?

E poi, diciamoci la verità: l’esercizio del ricordo di fatti tanto terribili non è per niente una cosa simpatica. La Shoah è un abisso indicibile, e le atrocità che furono commesse contro il popolo ebraico e contro altri popoli (Rom e Sinti) e categorie (omosessuali, disabili, “asociali” e oppositori politici) sono disumane oltre ogni immaginazione. E noi ebrei siamo chiamati, durante tutto l’anno ma con particolare “pressione” nel mese di gennaio, a portare la nostra testimonianza, popolo che ha subìto un genocidio di tale portata da essere immediatamente associato ad esso (quante volte chiacchierando con persone anche appena conosciute, ho capito che la prima cosa che legavano all’argomento “ebrei” era “Shoah”? Un accostamento piuttosto deprimente, per un popolo che onora il dono della vita in tutte le sue manifestazioni).

E dunque, di nuovo l’interrogativo: ma se la Memoria sarà prima o poi come tutte le cose umane destinata all’oblio («L’universo si sta dilatando, questo significa che un giorno scoppierà e sarà la fine di tutto», diceva un giovane e nichilista alter ego di Woody Allen in Io e Annie) e il lavoro su di essa è così faticoso, perché ricordare? Perché continuare a organizzare iniziative, a ricostruire e scandagliare la Storia, a coinvolgere i giovani in concorsi e viaggi nei luoghi della Shoah? Una risposta, quantunque parziale, me l’ha suggerita il nipote della mia compagna, Lorenzo. Lorenzo ha dieci anni e una maestra molto brava ad affrontare i temi della seconda guerra mondiale, della discriminazione e della persecuzione, usando tatto e delicatezza e gli strumenti adatti per quell’età.

Tra i compagni di Lorenzo c’è un bambino i cui bisnonni salvarono una famiglia ebraica a Napoli, e chiaramente questo bambino è diventato il centro dell’attenzione durante il lavoro in classe. Il suo racconto, così vivo, ha incuriosito e affascinato la scolaresca, e nei giorni successivi Lorenzo non ha fatto che chiedere cose su quel periodo. Essendo io, beh, coinvolto in prima persona, ha fatto anche a me una raffica di domande su ebrei ed ebraismo, argomento di cui prima si era interessato molto poco, semplicemente perché nessuno aveva mai indirizzato la sua attenzione su tutta la faccenda.

Credo che gli insegnamenti della brava maestra, e il racconto del suo compagno di classe, abbiano stimolato in lui una sana curiosità, e magari sono ottimista, ma credo che questi semi potranno germogliare nel tempo, contribuendo a formare un ragazzo e poi un adulto con dei sani princìpi e una sana coscienza critica.

Sicuramente lo sforzo di ricordare può avere un suo gravame, perché quanto è successo è una drammatica enormità; e il tempo potrà anche diluire la potenza del ricordo. Ma il contributo che la scuola, le tante iniziative e il mondo ebraico possono fornire in termini di strumenti educativi alle nuove generazioni, ecco, forse possono incidere sul mondo di oggi, rendendolo un posto un po’ migliore. Non è poco, e ne abbiamo tanto bisogno.

Ph. © Moritz Schumacher

Marco di Porto

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