di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.
A cinque anni dalla firma degli Accordi di pace in Colombia, che aveva come obiettivo fissare le basi politiche e umanitarie per porre fine allo scontro armato e creare strumenti che potessero combattere le cause strutturali del conflitto al fine di prevenire il suo ripetersi, la situazione nel Paese latinoamericano mostra ancora dei profili drammatici.
Anche Alas – America Latina Alternativa Social –, la rete promossa da Libera in centro e sud America è tra i destinatari delle intimidazioni di un gruppo paramilitare che si fa chiamare Águilas Negras, Bloque Capital DC, e che ha diramato un testo con minacce di morte nei confronti di un elenco di persone e organizzazioni attive in Colombia.
Lo scorso novembre si è celebrato il quinto anniversario degli Accordi di pace in Colombia, firmati nel teatro Colón di Bogotá dall’allora presidente Juan Manuel Santos e dal comandante delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) Rodrigo Londoño Echeverri – alias Timochenko. Il testo, frutto di un lunghissimo negoziato durato quattro anni a L’Avana, alla presenza di Cuba e Norvegia come garanti e di Venezuela e Cile come osservatori, avrebbe dovuto sancire la chiusura della guerra interna durata più di 50 anni.
Una guerra che aveva prodotto 262.197 morti, di cui 215.000 civili e 46.813 combattenti; 5 milioni e 700 mila sfollati; 80.514 desaparecidos; 37.000 sequestri; 15.687 vittime di delitti sessuali e 17.804 minori coinvolti in attività militari.
A cinque anni da quella firma storica, che aveva come obiettivo fissare le basi politiche e umanitarie per porre fine allo scontro armato e creare strumenti che potessero combattere le cause strutturali del conflitto al fine di prevenire il suo ripetersi, la situazione nel Paese latinoamericano mostra ancora dei profili drammatici. La pace per la popolazione civile è ancora un orizzonte molto lontano e le prospettive sono desolanti, in termini di garanzie di sicurezza, per le comunità e le organizzazioni sociali. L’attuazione dell’accordo è stata precaria e priva di azioni di forza capaci di capovolgere i fenomeni di violenza a cui sono esposte in particolar modo le popolazioni vulnerabili come i leader sociali, i difensori dei diritti umani, le comunità rurali che vivono nei territori attraversati dal narcotraffico e coloro che sono in processo di reincorporazione, cioè coloro che hanno lasciato la guerriglia e si stanno reintegrando nella vita sociale.
Secondo l’Ufficio del Difensore civico, nei cinque anni che sono trascorsi dalla firma dell’Accordo di Pace, 831 difensori dei diritti umani e leader sociali sono stati assassinati e la Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia ha contato 286 omicidi tra le persone in fase di reincorporazione.
La Federazione Interamericana per i Diritti umani (Fidh), il Collettivo di avvocati José Alvear Restrepo (Cajar) e il programma Somos Defensores, nel rapporto Muertes anunciadas, hanno indicato il governo colombiano, guidato da Iván Duque Márquez, come responsabile di queste morti perché, dicono, sapeva degli alti rischi di gravi violazioni dei diritti umani e nonostante questo non ha scrupolosamente messo in campo gli strumenti istituzionali per affrontarli.
Dal 2018, anno in cui si è insediato il governo del presidente Iván Duque, fino a giugno 2021, 572 leader sociali e difensori dei diritti umani sono stati uccisi, 254 ex combattenti delle FARC- EP sono stati assassinati e 184 massacri hanno avuto luogo.
Il rapporto Muertes anunciadas chiede al governo colombiano di impegnarsi pubblicamente nella piena attuazione dell’accordo di pace, assumendo il suo carattere di impegno statale e, in particolare, per quanto riguarda le garanzie di sicurezza per le comunità, le organizzazioni, i leader sociali e i firmatari dell’accordo di pace.
Gli autori del rapporto denunciano il deterioramento della situazione dei diritti umani nel Paese e il consolidamento e l’espansione di gruppi armati di vario tipo durante i cinque anni da cui l’Accordo di Pace è entrato in vigore e ritengono che tale situazione dimostra la mancanza di un’adeguata applicazione delle disposizioni in esso contenute che ha contribuito a una riconfigurazione della violenza nei territori e che mette ad alto rischio la vita delle comunità, i processi organizzativi, le persone in processo di reincorporazione e i difensori dei diritti umani.
Questa situazione fa sì che il flusso di persone che lascia la Colombia per cercare rifugio e protezione in un altro Paese sia consistente e costante. I Paesi in cui i colombiani provano a ricostruire una vita sono principalmente Stati Uniti e Spagna; la terza destinazione a livello globale della diaspora colombiana è il vicino Ecuador che condivide con la Colombia 640 chilometri di frontiera.
Durante il 2021, il numero di vittime colombiane di violenza che fuggono in Ecuador in cerca di protezione internazionale è aumentato.
Tra il 2018 e il 2021, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), ci sono state più di 13.200 domande di asilo nel Paese.
Ph. © Flavia Carpio
Nadia Angelucci
Giornalista e scrittrice