di Debora Spini (Centro Studi Confronti)
ll giorno dopo l’otto marzo ricorre un anniversario importante: i due anni dal momento in cui l’allora primo ministro Giuseppe Conte annunziava il primo lockdown.
Cosa è successo negli ultimi 24 mesi? L’Istat nella sua newsletter di febbraio ci fa notare come «in Italia il sottoimpiego delle donne e l’effetto del Covid sono più devastanti che nel resto d’Europa». E infatti nel report si legge come solo nell’ultimo anno abbiano perso il lavoro mezzo milione di donne, un punto percentuale in più rispetto agli uomini. Questo è avvenuto – continua a ricordarci l’Istat – nel quadro di un Paese che si attesta al terzultimo posto in Europa per tasso d’impiego femminile: più di una donna su due non lavora; il 48,5% è occupata, mentre la media europea è del 66%.
La pandemia ha riportato a casa molte donne. La casa è spesso un posto molto pericoloso; l’Istat nel report pubblicato il 25 novembre scorso ricordava come «nei primi nove mesi del 2020 si è osservato, infatti, un aumento delle segnalazioni di violenza in cui la vittima si è sentita in pericolo di vita per sé o per i propri cari (3.583 contro 2.663 nel 2019). Al contrario, la riduzione delle restrizioni negli stessi mesi del 2021 ha portato a una diminuzione delle segnalazioni di violenza in cui la vittima percepiva pericolo imminente (2.457 nel 2021)».
La pandemia ha riportato la gente a casa. In casa hanno luogo attività fondamentali – nutrire, lavare, confortare, guarire, medicare, educare, divertire… – normalmente riassunte nel lemma “lavoro di cura”. Già nel 1990 Joan Tronto e Berenice Fisher avevano definito la cura come «una specie di attività che include tutto ciò che facciamo per mantenere, continuare e riparare il nostro “mondo” in modo da poterci vivere nel miglior modo possibile». Storicamente la manutenzione del mondo era stata appaltata alla famiglia; vista la altrettanto storicamente consolidata redistribuzione dei ruoli di genere, la responsabilità di questo lavoro toccava soprattutto alle donne.
L’entrata delle donne nella sfera del la- voro retribuito ha fatto sì che lo Stato si facesse carico almeno in parte delle funzioni di cura; ma questa “esternalizzazione” è stata messa seriamente in discussione dalla crisi dello Stato sociale.
Ha così avuto luogo una ulteriore trasformazione: lunghe “catene globali della cura” – come le chiama l’economista Amaia Pérez Orozco – spostano per il globo milioni di donne che migrano per occuparsi di ciò che si continua a definire “il lavoro delle donne”. Il lavoro femminile, per di più, continua a costare meno: i dati relativi al 2018 indicano come il gender gap medio sia di 6,2 punti percentuali, e cresce con le competenze. Il lavoro di un uomo laureato costa 18% in più di una donna laureata, e un dirigente uomo costa 27% in più (dati Istat 2021).
La casa è diventata ufficio, aula, palestra. La pandemia ha ulteriormente turbato un equilibrio già fragile tra lavoro fuori casa e compiti di cura. Il Bilancio di Genere del 2020, redatto dal governo, mette in luce come «il tasso di occupazione delle donne con figli sotto i 5 anni risulta inferiore di oltre il 25% a quello delle coetanee senza figli e ha subìto un ulteriore peggioramento a seguito della crisi pandemica».
Per l’otto marzo succede sempre di tutto. Iniziative, dibattiti, concerti. Ci saranno promozioni in beauty centre, spa e parrucchieri. Ci sono anche menù speciali in ristoranti e pizzerie, happy hour nei bar. I blog di cucina che raccomandano ricette per una “cenetta fra amiche”. Ci saranno però come sempre anche le donne in piazza, a dare voce alle molte anime del femminismo italiano. Ci saranno anche le mimose, o almeno lo speriamo visto che con il cambiamento climatico ormai fioriscono a gennaio.
Il giorno dopo l’otto marzo 2022 si continuerà a discutere della ripartenza del Paese, di ripresa e di resilienza. Il giorno dopo l’otto marzo si continuerà a lavorare per “riparare il mondo” – un mondo dove le donne possano sentirsi a casa senza dover rimanere a casa.
Debora Spini
Centro Studi Confronti