di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.
Recentemente nel cantone svizzero di S. Gallo un “team pastorale” ha proposto di liberarsi della predica durante le funzioni religiose. Un esperimento “eccentrico” nelle sue forme scenografiche che, però, porta all’attenzione una problematica non nuova: è possibile trovare delle alternative alle forme di partecipazione “tradizionali” al culto?
Il dato alla base dell’“esperimento” è impressionante, ancorché non nuovo: nel ridente Cantone svizzero di S. Gallo, il culto evangelico è frequentato dal 2% dei membri della chiesa (che sono circa il 20% della popolazione).
Un gruppo di pastore e di pastori (pardon: un “team pastorale”) ha pensato di reagire a tale situazione in termini energici, che vengono efficacemente raccontati in un articolo della prestigiosa rivista tedesca Zeitzeichen: il culto protestante centrato sulla predicazione non funziona più, dunque si propone una liturgia senza predicazione (alla lettera, “libera dalla predicazione”, Predigtfrei: come Alkoholfrei per “analcolico” o Bleifrei per “senza piombo”).
Il congedo dalla predica, a favore del coinvolgimento dialogico della comunità, è accompagnato da un gesto di notevole impatto scenico: vestendo la classica toga dei ministri di culto protestanti, ma armata di motosega, un esponente del team fa letteralmente a pezzi il pulpito, simbolo del monologo pastorale; in seguito, il legno ottenuto viene utilizzato per costruire un “tavolo comunitario”, intorno al quale celebrare la cena del Signore (che però, presumibilmente, si svolgeva anche prima…), ma anche ritrovarsi per discutere: dal mono-logo al poli-logo.
Non può mancare, in un simile contesto, l’appello a una liturgia che coinvolga i sensi e le emozioni: anziché perdersi in spiegazioni sul perdono, perché non cantare il kyrie eleison in gregoriano?
Visto che il programma è accompagnato da richiami alla Riforma e al suo tentativo di annunciare l’Evangelo in termini adeguati all’epoca, si potrebbe osservare che Lutero e compagni sono passati dalla lingua latina a quella del popolo e dal canto monastico al corale comunitario, mentre qui si ritiene innovativo tornare addirittura al greco e, appunto, al gregoriano. Più in generale, le prime venti o trenta obiezioni che spontaneamente si affollano nella mente di chi legge il resoconto dell’esperimento sangallese sono talmente ovvie e macroscopiche da non meritare nemmeno di essere elencate.
Il team pastorale, oltretutto, si presenta, nemmeno troppo implicitamente, come un gruppo di profeti, che opera un gesto fragorosamente (in tutti i sensi) eversivo nei confronti del simbolo del proprio ministero, il pulpito. Una bella responsabilità, della quale bisognerebbe, poi, essere all’altezza. Auguri.
Bisogna riconoscere, d’altra parte, che la forma piuttosto brutale della denuncia può addurre qualche ragione. Le diverse espressioni del Cristianesimo vivono, in fatto di culto, esperienze diverse. La Chiesa ortodossa, sembra, può permettersi di non porsi nemmeno il problema della capacità comunicativa della propria liturgia, che vive di una caratteristica autoreferenzialità. La Chiesa cattolico-romana ha intrapreso, dopo il Vaticano II, un vigoroso sforzo di rinnovamento del culto: gli esiti si possono sempre discutere, ma la svolta è stata significativa.
Va rilevato che essa comprende precisamente quell’enfasi sulla predicazione, cioè sulla spiegazione della Bibbia, che il team “profetico” sangallese ritiene di dover liquidare, ma la inquadra in un codice liturgico molto articolato, che si muove su diverse lunghezze d’onda, permettendo a ciascuno, certo entro determinati limiti, di scegliere quelle sulle quali sintonizzarsi.
Il culto protestante, per contro, sta o cade con la capacità della predicazione di dare impulso alla vita comunitaria, privilegiando in termini preponderanti il registro della comprensione concettuale.
La mancata frequenza al culto, sostiene la critica, è di per sé un giudizio senza appello su un simile programma. I “moderati” obietteranno che, anziché eliminare la predicazione, si dovrebbe provare ad aggiornarla, nei contenuti e nei linguaggi: sono decenni, però, che ci si propone questo obiettivo e i passi avanti non paiono decisivi.
Chi vivrà, vedrà se il poli-logo auspicato a S. Gallo aiuterà ad allargare il bacino di coloro che partecipano al culto. Resta il fatto che anche chi, come chi scrive, resta più che scettico, non può fare a meno di interrogarsi sulle alternative, magari tenendo conto di possibilità tecnologiche più costruttive rispetto alla motosega.
Ph. Aaron Burden/Unsplash
Fulvio Ferrario
Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese
di teologia di Roma.