Anna Cavaliere. Ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Salerno
Quanto più le figure femminili sono state carismatiche, emancipate, brillanti, critiche nei confronti della società in cui esse vivevano, tanto più i loro avversari si sono dimostrati inflessibili e feroci nei loro confronti.
È una tendenza che non si smentisce neppure nei momenti topici della modernità, quando la storia sembra subire una brusca accelerazione. Negli anni della rivoluzione francese, per esempio, riferendosi a Mary Wollstonecraft (1759-1797), scrittrice e intellettuale inglese “protofemminista” – che porta avanti battaglie per i diritti delle donne prima ancora che il termine femminismo acquisisca il significato attuale – il romanziere Horace Walpole (1717-1797), per etichettare lo stile di vita dissoluto dell’autrice (un lavoro fuori dalle mura domestiche, la vita mondana, i viaggi da sola, la presa di parola in pubblico), non esita a definirla “una iena in gonnella”.
Un’etichetta che, riteniamo, egli avrebbe potuto utilizzare (se l’avesse conosciuta) anche per una pensatrice francese contemporanea di Wollstonecraft e che con quest’ultima presenta diversi punti di contatto: Marie Gouze, più nota col nome che lei stessa aveva scelto di darsi, Olympe de Gouges (1748-1793).
Come Wollstonecraft, de Gouges può essere considerata una protofemminista. Anche lei preferisce vivere da donna libera, giungendo a definire il matrimonio “la tomba della fiducia e dell’amore”. Si occupa per tutta la vita dei diritti delle donne e di questioni sociali. Manifesta posizioni antischiavili, critica i privilegi nobiliari, si batte per il pieno riconoscimento del principio di uguaglianza.
Un’antropologia indiscutibilmente positiva – di matrice rousseauiana – sorregge ciascuna delle sue convinzioni, perfino le più discutibili. La induce per esempio a dissentire rispetto alle violenze della rivoluzione e a inorridire di fronte alla deriva giacobina. Giunge perfino a confidare nella possibilità che la monarchia possa rigenerarsi (grazie a Maria Antonietta, più che a Luigi Capeto) in una forma illuminata (e depurata dalle frivolezze nobiliari) di monarchia costituzionale. Le sue posizioni la espongono a sospetti e critiche. È accusata di disporre di scarsa coscienza politica, di essere inconsapevolmente reazionaria, di difettare di realismo e di essere connotata di un’ingenuità tipicamente femminile.
Le sue scelte di campo in realtà la rendono un’interprete autorevole dello spirito dei lumi: a ispirarla non è tanto una “ragione emozionale”, piuttosto una concezione eudaimonistica della storia, la stessa che si ritrova, in quegli anni, per esempio, nelle riflessioni di Nicolas de Condorcet (1743-1794).
I pregiudizi continuano però ad accompagnare de Gouges ben oltre la morte. Fino alla metà del secolo scorso, è ricordata quasi unanimemente come una cortigiana. Solo a partire dalla fine degli anni Ottanta del Novecento, su impulso della storica Catherine Marand-Fouquet, la sua figura comincia a essere oggetto di una riabilitazione culturale. In occasione del bicentenario della rivoluzione francese, i suoi scritti sono letti e commentati in Francia. Negli anni successivi, la sua opera desta un certo interesse anche in altri Paesi: soprattutto in Germania, Stati Uniti e Giappone.
In Italia, Olympe de Gouges è figura ancora troppo poco indagata ed è un’ottima notizia la pubblicazione del volume di Annamaria Loche (La liberté ou la mort. Il progetto politico e giuridico di Olympe de Gouges) che contiene un’analisi sistematica delle opere della pensatrice francese. Il testo prende in esame in primo luogo il lavoro più noto dell’autrice: La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, redatta nel 1791. Come Loche mette in evidenza, de Gouges prova a riscrivere la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, con l’intento di migliorare il documento, rendendolo più egualitario.
Se il principio di uguaglianza rappresenta il prisma e il fondamento di legittimità del nuovo ordine, esso non può consentire che i diritti vengano negati alle donne. Ma quella di de Gouges non è una mera interpretazione analogica e le sue formulazioni non si limitano a estendere alle donne la portata applicativa dei diritti che gli estensori della Dichiarazione del 1789 hanno riconosciuto all’“uomo e al cittadino”. Il suo intento è piuttosto quello di riscrivere integralmente la Dichiarazione, al fine di ampliarne la portata includente, rendendola più giusta. E così fa: emendandoli, riscrive gli articoli uno a uno.
La riflessione di Loche però non si limita alla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Prende in esame anche altri lavori spesso trascurati della scrittrice francese: in modo particolare, i testi teatrali, mettendo in evidenza il carattere militante del teatro di de Gouges. Per l’autrice francese il teatro è soprattutto, come sottolinea opportunamente Loche, una “palestra politica”.
Nelle opere teatrali vengono affrontate questioni controverse: mette in luce l’iniquità degli obblighi coniugali (in La Nécessité du Divorce), la necessità di una religiosità non bigotta (in Le Couvent), l’ingiustizia della schiavitù (nella sua commedia più nota, Zamor et Mirza), l’infondatezza dei privilegi nobiliari (in Les Démocrates et les Aristocrates ou les Curieux du Champ de Mars), la naturale uguaglianza tra uomini e donne appartenenti a diverse classi sociali (in L’homme généreux). I lavori teatrali di de Gouges sono appassionanti, oltre che appassionati. In tempi come questi ci rammentano quale esperienza estetica ed emotiva sia poter godere dal vivo di uno spettacolo teatrale.
Le psicologie dei personaggi sono complesse, spesso in evoluzione: non mancano, nelle trame, i colpi di scena. Gli estratti dei testi teatrali sono scelti da Loche con perizia. Sono commoventi, ad esempio, le parole di Sophie, la protagonista di Le Prelàt, – che ispirano il titolo del volume di Loche. Per i valori che incarna, Sophie sembra la più riuscita trasposizione teatrale di Olympe: alla vita monacale che le viene imposta si ribella con tutte le sue forze, in nome della libertà personale e della felicità individuale. Sostiene: «Più esamino le mie compagne di sorte, più le osservo e più vedo che la felicità non può esistere dove non c’è la libertà». Si oppone allora fieramente al suo destino e rivendica che per sé non vede che due alternative possibili: la liberté ou la mort.
Anna Cavaliere
Ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Salerno