di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
La fantascienza di tipo “catastrofista”, seppur anticipata da alcuni titoli negli anni Cinquanta e Sessanta, ci travolge con una vera e propria ondata a partire dagli anni Settanta.
Negli anni Settanta dello scorso secolo, annunciata prima dai film sulla paura della guerra atomica (pensiamo al Dottor Stranamore di Stanley Kubrick!) e dal capolavoro di Alfred Hitchcock Gli uccelli, forse il film più intelligente degli anni Sessanta grazie anche alla sceneggiatura di un supremo giallista come Ed McBain (al secolo Salvatore Lombino, di origine lucana!), vi fu nel cinema americano e inglese un’ondata di film di un genere non nuovo ma presto battezzato “catastrofico”.
Era stato ristretto in passato a pochi titoli (Uragano, di John Ford; San Francisco di W. S. Van Dyke, David Wark Griffith sul terremoto che la distrusse; L’incendio di Chicago di Henry King), e a carattere più storico che avveniristico. Poi vennero i film che ipotizzavano catastrofi perfettamente attendibili, e comunque prevedibili, recuperando idee dalla letteratura fantascientifica del secondo dopoguerra.
Negli anni Cinquanta dei miracoli economici fu proprio la fantascienza a mettere in discussione le illusioni del progresso, e a ricordare sia le grandi catastrofi possibili, naturali e tecnologiche, sia quelle solo immaginarie – sul tipo di Gli uccelli, dove era la rivolta della natura a mettere in discussione le sicurezze degli umani – tra terremoti e alluvioni ed eruzioni vulcaniche – ma c’erano anche a spaventarci i disastri della tecnica – la serie degli Airport, L’avventura del Poseidon di Ronald Neame, ecc.; il capolavoro fu in questo campo L’inferno di cristallo di John Guillermin, dove un grattacielo veniva distrutto da un incendio per precise colpe dei suoi costruttori, avidi capitalisti incuranti della qualità del loro lavoro – e le rivolte delle macchine e dei robot (Duel di Steven Spielberg e affini).
Non mancarono le previsioni più azzardate ma non assurde del tipo di Blade Runner di Ridley Scott e soprattutto, ben più attendibili, di 2022: i sopravvissuti di Richard Fleischer. E pochi furono i film che invece magnificavano, anche genialmente, un progresso possibile nel superamento dei limiti dell’umano (2001: Odissea nello spazio di Kubrick). Ma le fantasie sugli alieni non erano sempre così rassicuranti (come in Spielberg: E.T. l’extra-terrestre e Incontri ravvicinati del terzo tipo), e forse il film più azzardato e pauroso non fu forse Alien (il primo, girato da Ridley Scott) ma L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel, già sul finire degli anni Cinquanta che denunciava la trasformazione degli umani in una sorta di umanoidi teleguidati dall’esterno – come di fatto è accaduto e accade, se pensiamo al sistema attuale della comunicazione, a Internet e via discorrendo!
Cosa è cambiato rispetto a quel tempo di inquietanti avvertimenti? Che nella fantascienza ci siamo entrati dentro fino al collo (specialmente sopra il collo!), di certo in quella che veniva chiamata sociologica ma a partire da quella che veniva chiamata tecnologica… Il capolavoro di quegli anni si spingeva molto oltre, in chiave più intellettuale e più metafisica, ma non veniva da Hollywood bensì da Mosca: Solaris di Andrej Tarkovskij, da un grande romanzo del polacco Stanisław Lem. E metteva in discussione la nostra percezione della realtà profonda delle cose, così imperfetta nonostante Albert Einstein.
Oggi un’altra novità si è imposta, che non parte dell’immaginario ma proprio del reale: quella detta ecologica, la paura della fine della vita umana sul pianeta in conseguenza di un’azione umana e che possiamo ben dire capitalistica anche se non riguarda un solo sistema politico ma tutti…Temiamo, sappiamo che la vita umana (e anche animale e vegetale, in conseguenza dell’azione umana) rischia di scomparire presto, e che l’Antropocene potrebbe non durare ancora a lungo, e che di questo siamo tutti responsabili. Chi più (i capitalisti con i loro servi privilegiati: scienziati, governanti, propagandisti) e chi meno (noi: e però complici assoluti di un’idea di progresso distruttiva e anzi suicida).
E se la letteratura avveniristica (rara, perché non c’è molto da immaginare!) parla ormai solo di sopravvissuti, si assiste però a una vera e propria invasione di libri catastrofici che può sembrare assurda, e che non pratica il romanzo ma il saggio e la denuncia: è un genere nuovo della nostra letteratura, che mai è stata così presuntuosa e smaniosa: quello della presunta denuncia delle catastrofi incombenti.
Dozzine di importanti o rozzi scriventi speculano sulle nostre paure, e ci abituano, di fatto, all’idea della fine. Senza dire cosa sarebbe indispensabile fare, come ribellarci a questo presunto destino, come dovremmo agire se volessimo davvero salvare il pianeta e noi stessi e il futuro dei figli. Il mercato è mercato; ma è proprio il mercato che ci ha accostato così tanto alla fine.
Illustrazione di Doriano Strologo

Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini