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Frontiera (Ecuador)

by Nadia Angelucci

Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice

La frontiera tra Colombia ed Ecuador è lunga 586 chilometri, ma il movimento più intenso di persone si registra tra la provincia di Carchi, di cui Tulcán è capitale, e la provincia di Nariño. Il passaggio dei migranti venezuelani su questo confine è costante. E a Tulcán tutta l’economia gira intorno a questo transito.

L’alba sulle Ande è limpida e gelata. Anche sulla linea dell’equatore è l’altezza a farla da padrone, e a 3000 metri, alle 7 del mattino, può fare davvero molto freddo. Mano a mano che ci avviciniamo alla città di Tulcán, in Ecuador, il traffico si intensifica. Autobus, pick up, semplici utilitarie si incolonnano ai semafori nei pressi dei piccoli centri abitati. Dalla campagna arrivano furgoncini carichi di frutta e verdura che presto scaricheranno la merce nei mercati; sui lati della Panamericana – circa 25.000 chilometri di strada che attraversano il continente americano dalla parte del Pacifico –, cominciano ad aprire i paraderos, locali che dall’alba a tarda notte offrono cibo ai viaggiatori.

E sul ciglio della strada si cominciano a notare piccoli accampamenti: persone che hanno passato la notte sul bordo della carreggiata in un sacco a pelo e che adesso stanno accendendo un fuoco per scaldare un po’ di cibo. Sono in prevalenza grandi gruppi familiari con bambini al seguito o carovane di giovani uomini. Sono migranti, e arrivano principalmente dal Venezuela dopo aver attraversato il territorio del loro Paese e quello colombiano.

La frontiera tra Colombia ed Ecuador è lunga 586 chilometri. Sul lato colombiano ci sono le province di Nariño e Putumayo; su quello ecuadoriano Esmeraldas, Carchi e Sucumbíos. Il movimento più intenso di persone si registra tra la provincia di Carchi, di cui Tulcán è capitale, e la provincia di Nariño. Più o meno a metà strada c’è il ponte Rumichaca, dove si trova il posto di frontiera. Ma non tutti hanno i documenti necessari per attraversarla legalmente e così, su questo territorio, si sono aperti circa 102 punti di passaggio irregolare che qui tutti chiamano trochas (“sentieri”).

Da una parte e dell’altra della trocha è stato organizzato un sistema efficiente ed efficace che permette ai migranti, previo pagamento che varia a seconda del mezzo di trasporto e del rischio da correre, di attraversare la frontiera. E ovviamente insieme al traffico di esseri umani prolifera anche il contrabbando. Nella trocha di Urbina, a due chilometri e mezzo dal ponte Rumichaca è proprio la mattina presto che c’è il grosso degli arrivi. I migranti partono dalla Colombia a piedi prima dell’alba.

Chi non ha i soldi per pagare i trafficanti affronta a piedi la montagna, con il rischio di perdersi e di dover attraversare il fiume. Chi sceglie di non rischiare si affida a trasportatori che in moto, macchina o camion, li accompagnano per l’ultimo pezzo, incrociando i campi e guadando un piccolo torrente. Dalla cima della collina di fronte vediamo moto e furgoni fare avanti e indietro, persone scendere e pagare.

Appena entrati in Ecuador una nuova una fila di taxi e moto ad attenderli, pronti a caricarli per portarli a Tulcán, se vogliono rivolgersi alle organizzazioni internazionali per chiedere aiuto, o sulla Panamericana, per proseguire il viaggio a piedi verso Sud, verso il Perù e il Cile. Un breve tragitto che in moto costa 3 dollari, in taxi 10.

Incontriamo una famiglia – madre padre e due ragazze di 12 e 14 anni –. Sono appena arrivati dopo aver viaggiato due settimane, ognuno con il suo zaino sulle spalle. Javier, Rosalinda, Carla e Rosmary sono “migranti economici” che intendono chiedere un visto per poter rimanere in Ecuador, trovare un lavoro, continuare a studiare. Raccontano di un viaggio molto duro, durante il quale hanno sofferto la fame, il freddo, la discriminazione, il timore di diventare preda di chi assalta i migranti per togliergli i pochi averi.

Il passaggio dei migranti venezuelani su questo confine è costante. Solo nel gennaio 2022, 1.656
migranti venezuelani sono stati registrati in due soli rifugi sostenuti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). E a Tulcán tutta l’economia gira intorno a questo transito. Il Gruppo di lavoro per persone rifugiate e migranti (Gtrm) è un coordinamento a cui partecipano l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), Oim, Unicef, Programma alimentare mondiale insieme a organizzazioni non governative, e dà assistenza alle persone migranti. Un sistema di sostegno integrale o
ffre ospitalità, alimentazione, sostegno psicologico, sanitario e legale. I migranti si fermano a riposare, a chiedere informazioni e poi proseguono il viaggio.

Carovane di famiglie, comitive di adolescenti camminano sul ciglio della strada mentre il traffico di
autobus e autotreni gli sfreccia accanto. Scendendo da Tulcan verso Sud, ancora per qualche chilometro, i volontari delle Ong cercano di intercettarli. Offrono un tè caldo tra la strada e la scarpata, danno indicazioni sulla prossima mensa, su dove trovare un centro di salute per il vaccino, regalano giacche a vento e pantaloni pesanti. In mezzo ai tir che sfrecciano, sotto il feroce sole andino che scalda e spacca la pelle, l’umanità si sfiora per un attimo. Poi si riprende il cammino.

Ph. Jaime Dantas © Unsplash

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Nadia Angelucci

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