Michele Lipori. Redazione Confronti
Gas e petrolio sono le due principali fonti di energia utilizzate e l’intera Ue dipende dalla Russia per l’approvvigionamento di gas naturale. Cosa accadrebbe se la crisi russo- ucraina dovesse perdurare?
Secondo il Climate Action Tracker (un gruppo indipendente di ricerca il cui obiettivo è verificare l’azione dei governi per la riduzione delle emissioni dei gas serra nel rispetto degli accordi internazionali), l’uso del gas fossile nell’Unione europea è oggetto di intensi dibattiti «poiché la maggior parte degli Stati membri dell’Ue sta gradualmente eliminando l’utilizzo del carbone, e di conseguenza alcuni di essi stanno aumentando la loro dipendenza dal gas naturale e fanno pressioni per l’utilizzo di denaro pubblico per lo sviluppo delle infrastrutture per l’approvvigionamento di gas naturale».
Ad ogni modo, nel 2019 circa il 60% del fabbisogno energetico dell’Unione europea è stato soddisfatto attraverso importazioni estere. Gas e petrolio sono le due principali fonti di energia utilizzate e l’intera Ue dipende dalla Russia soprattutto per l’approvvigionamento di gas naturale, con una richiesta in costante aumento: secondo i dati forniti da Eurostat (l’Ufficio statistico dell’Unione europea) tale dipendenza si attestava intorno al 56% nel 2000 per poi arrivare al 60% nel 2019. L’Italia è un Paese “importatore netto” [ovvero che importa più di quanto esporta] di gas fossile. È infatti almeno dal 1990 che il nostro Paese non ha esportato quantità significative di gas fossile. Nel 2017 è stato il secondo importatore di gas in Europa e il terzo consumatore dopo Germania e Regno Unito. Secondo l’Energy Information Agency (l’agenzia statistica e analitica del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America), il gas fossile importato rappresentava il 92% della fornitura totale di gas nel Paese.
Nel 70esimo Bp Statistical Review of World Energy del 2021 veniva riferito che nel 2020 l’Italia aveva importato 12,1 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto, classificandosi al quinto posto in Europa e, in termini di importazioni totali, si è classificata terza in Europa. L’Italia, inoltre, ha importato 50,8 miliardi di metri cubi di gas fossile tramite gasdotto, di cui circa il 39% proveniva dalla Russia attraverso gasdotti che attraversano l’Ucraina e altri Paesi dell’Europa orientale.
A complicare la situazione, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la sospensione del controverso gasdotto Nord Stream 2 pensato, – con una capacità di trasporto di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno – per raddoppiare la fornitura di gas naturale dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico (e, dunque – come anche nel caso di Nord Stream –, senza passare dall’Ucraina). L’infrastruttura era stata completata nel settembre 2021, ma lo scorso 22 febbraio il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva interrotto il già accidentato processo di certificazione in seguito alla decisione di Putin di riconoscere le Repubbliche di Donetsk e Lugansk come repubbliche indipendenti. Si tratta di due entità il cui territorio si trova all’interno della regione del Donec’k, che è formalmente parte dell’Ucraina, anche se il 12 maggio 2014 le autorità separatiste avevano unilateralmente dichiarato l’indipendenza dall’Ucraina in seguito a un referendum.
Alla fine di gennaio scorso, quando la crisi russo-ucraina non era ancora realtà, la società statunitense S&P Global aveva stimato che una sospensione completa dei flussi di gas russo in Europa fosse uno scenario “altamente improbabile”. Tuttavia, nelle previsioni veniva anche detto che se si fossero verificate anche “piccole interruzioni” di uno dei qualsiasi principali gasdotti (Nord Stream, Yamal, Ukraine e Turkstream) ciò avrebbe comportato grande sofferenza ai mercati energetici europei e, a cascata, ai singoli consumatori. Una profezia che si è puntualmente avverata, se si considera che da marzo 2021 il prezzo del gas naturale è aumentato di più del triplo, passando da circa 18 euro/MWh (marzo 2021) a 60 euro/ MWh (settembre 2021).
Secondo alcuni analisti sarebbe difficile per l’Europa sopportare le proprie stesse sanzioni alla Russia, dato che – nei fatti – andrebbero a tagliare l’approvvigionamento di gas russo, o almeno gran parte di questi flussi. Dunque, ci si aspetta che – se la crisi russo-ucraina dovesse perdurare – sia l’Europa che la Russia cercheranno di diversificare i propri mercati energetici.
Nel caso della Russia è più che probabile uno sguardo a Oriente, dato che ha già sottoscritto un contratto di 30 anni per la fornitura di gas alla Cina. Questo attraverso un nuovo gasdotto che potrebbe attingere ai giacimenti al largo dell’isola di Sachalin, incluso quello di Yuzhno-Kirinskoye, che gli Usa avevano sanzionato nel 2015 in seguito all’occupazione russa della Crimea.
Una tappa cruciale di questo processo potrebbe essere rappresentata dallo sviluppo del gasdotto Power of Siberia 2, che collegherebbe la Cina con i giacimenti della penisola di Yamal, gli stessi che attualmente riforniscono l’Europa.
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Michele Lipori
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