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Movimenti nonviolenti ucraini, russi e italiani contro la guerra

by Luca Attanasio

di Luca Attanasio. Giornalista e scrittore

«La guerra è il più grande crimine contro l’umanità. Non esiste guerra giusta. Ogni guerra è sacrilega. Per questo siamo obiettori di coscienza, rifiutiamo le armi e gli eserciti che sono gli strumenti che rendono possibili le guerre». Con queste parole inizia la Dichiarazione congiunta dei nonviolenti di Ucraina, Russia e Italia dal titolo I nostri tre popoli sono contro la guerra perché la conoscono. Siamo fratelli e sorelle. Ne parliamo con Mao Valpiana, del Movimento Nonviolento italiano.

I rappresentanti dei movimenti pacifisti e nonviolenti di Ucraina, Russia e Italia, hanno deciso di unirsi e pubblicare una dichiarazione congiunta, scritta nelle tre lingue oltre che in inglese, e diffusa nei rispettivi paesi. In un periodo, lungo ormai mesi, durante il quale oltre che all’escalation militare in Ucraina, si assiste a una crescita esponenziale della retorica bellicista e in Europa ci si divide fittiziamente tra anti- e pro-Putin, come se non esistesse la possibilità di un’analisi approfondita e bisognasse solo schierarsi, i movimenti pacifisti e nonviolenti tornano a rivendicare la scena chiedendo di fare un passo indietro e ragionare.

Non propongono teorie semplicistiche da Peace and love senza densità, non rinunciano a denunciare con estrema chiarezza che «l’invasione russa in corso in Ucraina viola il diritto internazionale e che l’Ucraina ha il diritto di difendersi dall’aggressione armata», sono realisti e pragmatici. Ma al tempo stesso ribadiscono l’orrore per l’esaltazione della guerra, oltre che per la guerra stessa, che sembra pervadere l’Europa da mesi. I ragionamenti approfonditi così come lo studio dei dati latitano, non emergono dubbi, non si avanzano proposte concrete che abbiano l’obiettivo minimo di fermare le armi e salvare vite umane, si continua ad inviare armi e a giustificare l’azione per «difendere la democrazia», «alleviare le sofferenze del popolo ucraino» arrivando a scomodare, come ha fatto Enrico Letta nel corso della trasmissione Mezz’ora in più di Lucia Annunziata di qualche settimana fa, il noto pacifista radicale Alex Langer, uno degli ideatori del progetto dei Corpi civili di pace, morto suicida nel luglio del 1995 in piena guerra del Balcani, immaginando un suo assenso alle strategie di appoggio militare in crescita esponenziale e cercando sponde impossibili – non solo perché Langer è morto – per mettere a posto coscienze traballanti. «L’unica vera, adeguata, concreta e praticabile proposta di pace per fermare subito la guerra scatenata dal criminale governo russo in Ucraina – recita il documento – l’ha formulata papa Francesco: una “tregua pasquale” che facendo tacere le armi e cessare le stragi avvii un autentico negoziato che ponga fine a questo indicibile orrore. I nonviolenti sostengono la tregua di Pasqua di Papa Francesco con questo documento comune, rivolto ai tre governi e che parla ai tre popoli».

La Pasqua – sia quella di rito occidentale sia quella ortodossa – sono da poco trascorse, ma a sentire le notizie non sembra che l’appello papale sia stato neanche considerato. C’è bisogno di rilanciarlo e con esso ripartire con azioni alternative a quelle che fino a ora sono risultate senza dubbio fallimentari. Quali? Ne parliamo con Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento, Esecutivo Rete italiana Pace e Disarmo, una delle realtà promotrici del documento congiunto.

Da dove nasce l’idea della dichiarazione congiunta?

L’idea della dichiarazione nasce dal rapporto creatosi in questi mesi. Dalle settimane immediatamente precedenti allo scoppio della guerra, abbiamo cercato i contatti storici all’interno delle nostre reti internazionali e dato vita a un primo webinar in cui le due organizzazioni ucraina da Kiev e russa da San Pietroburgo, oltre alla rappresentante dell’Internazionale dei Resistenti alla Guerra (Wri) da New York hanno espresso le loro posizioni e presentato progetti. L’iniziativa ha avuto molto successo oltre che seguito internazionale, si è creata un network il cui primo scopo è creare le condizioni per organizzare una conferenza di pace dal basso, sullo stile di quella fatta con il Verona Forum durante la guerra nei Balcani in cui Langer e altri pacifisti cercarono di mettere attorno a un tavolo rappresentanti delle varie società civili dei paesi in guerra. Fu un esperimento di successo perché mise di fronte uomini e donne di Stati che si combattevano ferocemente che, al contrario, parlavano e senza negare nulla, cercavano soluzioni. Le delegazioni portarono all’interno del dibattito pubblico dei rispettivi paesi possibili soluzioni. Furono affrontati temi complessi e dolorosi e non fu affatto facile parlare di condizioni di pace, questioni etniche, stragi. L’esperimento continuò per anni, anche dopo la fine del conflitto.

Nel frattempo, però, in Ucraina si continua a combattere e non sarà semplice coinvolgere le società civili…

La nostra idea è che invece la società civile già si parla. Le trattative bisogna iniziarle da qualche parte e in attesa, come dice Francesco, che la diplomazia vera faccia qualcosa, iniziamo dal basso. Noi sappiamo che russi, ucraini ed europei si parlano e vogliamo dimostrare che un primissimo nucleo è già in contatto. Certo, non basteranno i pacifisti ucraini, i russi e gli europei, ma le reti ce le abbiamo e una prospettiva di coinvolgimento sempre maggiore va in questa direzione. La società civile può mettere sul tavolo proposte politiche, sul senso della Nato, il ruolo della Nato, su cosa deve essere la Nato, o sull’esercito unico europeo. Si può discutere se sia o meno possibile il ritiro delle armi nucleari, che tipo di economie stabilire per terre contese come il Donbass. In ogni caso l’iniziativa confuta un immaginario caricaturale del pacifismo, stiamo discutendo da decenni abbiamo proposte da mettere in campo.

Voi nel documento congiunto dichiarate: «l’obiezione di coscienza e la resistenza nonviolenta sono le “armi” che possono segnare una svolta». Anche in questa terribile evenienza in cui l’escalation è in real time?

C’è un pregiudizio infondato sulla resistenza non violenta che viene dipinta come una forma di lotta naif, senza speranze pratiche. In realtà nella storia esistono forme e metodi concreti che hanno portato risultati senza ricorrere all’uso delle armi. Non parlo solo di Gandhi, ma del Sudafrica, la terza forza religiosa buddhista in Indocina, le lotte pacifiche per il rispetto dei diritti che rifiutavano le rivolte violente, come predicava Martin Luther King, e non solo. Una storia poco studiata che finalmente sta guadagnando una sua dignità. Se prendiamo la nostra stessa Resistenza al nazifascismo, a fianco di chi combatteva, chi prendeva le armi e andava in montagna, – fenomeno che restò sostanzialmente marginale – c’era una stragrande maggioranza composta da popolazione civile. E anche in quel caso, la forma di resistenza armata ha potuto funzionare perché ha goduto di un appoggio civile non armato. Tutte queste forme vanno capite studiate e razionalizzate, non solo da un punto di vista etico, ma storico e scientifico, perché sono alla base di vittorie sul violento, in modo incruento o in cui il confronto armato è ridotto.

Quando pensate di convocare la Conferenza di pace?

Un primo momento sarà ai primi di giugno in una capitale europea, per incontrarci fisicamente e da remoto. Stiamo studiando in questi giorni modalità e condizioni per coinvolgere un numero importante di persone. Porteremo avanti una teoria non violenta anche in questa fase dove tutto sembra perduto. Intendiamoci, noi siamo ben consapevoli del fatto che la non violenza non sia la bacchetta magica: anche la non violenza fallisce. Il punto è che le armi, la guerra, la resistenza armata falliscono di più. Sono frutto di scelte che inevitabilmente portano all’errore. Ma poi non bisogna dimenticare che la guerra la vince non chi ha ragione, non è detto, per esempio, che l’Ucraina vincerà questo conflitto. La guerra la vince il più forte e se stiamo a questo principio, ha ragione Zelenskij quando dice «dateci armi, armi, armi…» fino anche alle armi chimiche. Noi puntiamo su una strategia diversa che cambia il campo, il linguaggio, gli interlocutori e puntiamo a farla applicare su larga scala. In questo momento non è possibile applicarla su larga scala, ma anche in questo contesto cerchiamo di sostenere chi porta avanti questo metodo: ci sono obiettori a Kiev che cercano di aiutare senza imbracciare il fucile. È una presenza minima, ma valorizziamola perché solo dando credito a questo tipo di azione nel tempo possiamo farla crescere e farla diventare una scelta diffusa, strategica e funzionante. In ogni caso, anche se la via non violenta è fallace, sempre meglio sbagliare senza armi: si fa sempre in tempo a recuperare.

– Dichiarazione congiunta dei nonviolenti di Ucraina, Russia e Italia [clicca qui]

– Comunicato stampa Ucraina, Russia e Italia unite per la pace: “Nessuna giustificazione alla guerra” [clicca qui]

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Luca Attanasio

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