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Responsabilità

di Fulvio Ferrario

di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.

Lo sbarco della guerra nel cuore dell’Europa sembra avere messo in difficoltà, almeno momentaneamente, i settori delle Chiese più legati a un modello di pacifismo che vorrebbe prescindere dall’uso delle armi. Innumerevoli – e non sempre opportuni – i rimandi all’“etica della responsabilità”  di Dietrich Bonhoeffer, la quale fa esplicitamente i conti con la necessità dell’uso della forza.

Alcuni mesi fa mi sono permesso di porre, su queste colonne, il problema delle ricadute che l’eventuale costituzione di una forza militare europea avrebbe avuto sull’etica della pace elaborata dalle chiese del nostro continente. La proposta veniva, allora, dal Commissario Filippo Gentiloni, in seguito al disastro umanitario determinato dalla scelta unilaterale americana di lasciare l’Afghanistan. Nemmeno negli incubi più lugubri si poteva, allora, immaginare che il tema, che in autunno appariva piuttosto astratto e teorico, avrebbe acquistato l’attualità che esso riveste in queste settimane.

In pochi giorni, i Paesi dell’Unione europea hanno deciso: a) di inviare armi all’Ucraina; b) di incrementare significativamente le proprie spese belliche; c) di costituire, appunto, unità militari sotto il controllo europeo.

Non è il caso di ripetere quanto tutti hanno rilevato circa il carattere dirompente di tali scelte. È probabile che quando se ne vedrà l’impatto sulle economie, in particolare su quelle meno robuste, come la nostra, la quasi unanimità generata dall’arroganza putiniana conoscerà notevoli incrinatura, ma ben difficilmente l’Unione potrà tornare indietro. Quale può essere, nella situazione data, il contributo di riflessione etica delle Chiese cristiane?

Intanto, è probabile che ciascuna di esse agirà autonomamente. Nessuno può sapere come le Chiese ortodosse gestiranno la crisi anche ecumenica attizzata da Kirill, il “cappellano d’alto bordo” di Putin. Roma, forte della propria sperimentata diplomazia, si  è candidata immediatamente a un ruolo di mediazione politica, che però, almeno nel momento nel quale scrivo non sembra essersi concretizzato.

Il Consiglio ecumenico delle Chiese è da molti anni in una situazione di debolezza che lascia poche possibilità. Le Chiese protestanti vivono una situazione ormai classica: nell’Europa continentale, esse hanno rilevanza politica modesta e comunque limitata alla Germania; sul piano della riflessione, si mostrano assai più vivaci e interessanti, ma le loro discussioni faticano a uscire dalla ristretta cerchia delle persone addette ai lavori.

Lo sbarco della guerra nel cuore dell’Europa sembra avere messo in difficoltà, almeno momentaneamente, i settori delle Chiese più legati a un modello di pacifismo che vorrebbe prescindere dall’uso delle armi.

Innumerevoli articoli e prese di posizione si sono richiamati all’“etica della responsabilità” proposta da Dietrich Bonhoeffer negli anni Quaranta, la quale fa esplicitamente i conti con la necessità dell’uso della forza: il teologo tedesco è stato citato persino in un intervento nel

Parlamento italiano, ad opera del segretario del Pd, Enrico Letta. Si tratta, in effetti, di una risorsa di pensiero che, se si evita di ridurla a banali formulette, potrebbe aiutare ad andare al di là della pura e semplice contrapposizione di slogan.

Il punto decisivo è il seguente: la “responsabilità” non si riduce al compromesso, cioè non implica una rinuncia alla “radicalità”, nel nostro caso all’obiettivo della pace. Al contrario: intende perseguirlo non soltanto mediante la sua proclamazione, bensì mettendo in campo strumenti adatti al conseguimento dell’obiettivo. Quali essi siano, va deciso, con tutti i rischi del caso, mediante l’analisi della realtà.

L’ambizione, davvero non piccola, dell’etica della responsabilità consiste nel coniugare radicalità e realismo. Il suo fondamento teologico risiede nel fatto che Cristo è vissuto ed è morto nella realtà del mondo e non nell’empireo dei princìpi.

L’etica della responsabilità ha una connotazione specificamente protestante, non priva però di interesse ecumenico, che riassumerei così: nel mondo intriso di violenza, nessuno ne esce pulito. L’etica non libera dal peccato, questo lo può fare solo il perdono di Dio. Il compito etico consiste nell’aiutare a vivere umanamente nel mondo attraversato dal peccato, il che comporta scelte inevitabilmente ambigue.

Non esistono guerre giuste né, tanto meno, guerre sante. La responsabilità morale vive nello spazio della fallibilità umana, che cerca, come può, di circoscrivere le peggiori tra le conseguenze storiche del peccato. È sempre troppo poco, ma merita l’impegno più profondo.

Ph. Zaur Ibrahimov © Unsplash

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Fulvio Ferrario

Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.

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