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Riflessi africani

by Enzo Nucci

di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.

In seguito alla crisi russo-ucraina, in Africa si è abbattuto uno tsunami a livello narrativo, politico ed economico. A passare non è un messaggio discriminatorio (l’accoglienza dei profughi ucraini a scapito di quelli africani), ma anche gravi contraccolpi in ambito politico ed economico.

Mentre la nostra rivista va in stampa, la crisi russo-ucraina è ancora drammaticamente aperta e irrisolta. Il mondo sconterà a lungo i danni già causati fino a ora e in ogni caso andrà riscritta la geopolitica.

Sull’Africa si è abbattuto uno tsunami a livello narrativo, politico ed economico a seguito dell’invasione. Mediamente le persone stanno vivendo la guerra come un avvenimento lontano, circoscritto all’ambito europeo (speculare allo scarso coinvolgimento emotivo che l’Europa nutre verso le vicissitudini belliche locali) e l’incubo del conflitto nucleare non è percepito fino in fondo.

L’accoglienza dei profughi ucraini nei Paesi del vecchio continente è vissuta come una ennesima discriminazione nei confronti degli africani. Insomma braccia aperte per gli europei in fuga e rigidità persistenti (se non vere e proprie discriminazioni) nei confronti degli africani. Una narrazione alimentata purtroppo anche dai bruttissimi episodi di africani bloccati all’uscita dall’Ucraina segnalati dai numerosi immigrati che vivono nella martoriata nazione. L’Ucraina con un costo della vita contenuto, un sistema universitario accessibile ha attirato negli ultimi anni molti giovani dall’Africa che hanno individuato nel Paese anche una porta di accesso all’Unione europea.

Ma la vera partita di gioca a livello politico con il tangibile rischio di riportare l’Africa alle vecchie divisioni della Guerra fredda con nazioni che si riconoscono nella sfera di influenza statunitense o russa e ovviamente cinese. Una avvisaglia è arrivata il 2 marzo scorso durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite riunita per votare la risoluzione di condanna dell’invasione moscovita.

L’Eritrea è stata tra le 5 nazioni che hanno approvato con granitica determinazione l’intervento militare. Le sorprese sono arrivate dai 35 Paesi che si sono astenuti: ben 16 sono africani. In prima fila il Sudafrica, che insieme a Russia, Brasile, India e Cina fa parte del Brics, l’organismo che riunisce le 5 economie emergenti.

Anche Cina e India hanno condiviso l’astensione mentre il Brasile pur votando la condanna ha operato molti distinguo rispetto alle sanzioni per salvaguardare il proprio comparto agro-alimentare che vive delle importazioni dalla Russia, la quale benevola ha ripagato il presidente Bolsonaro escludendo il Brasile dalla “lista nera” delle nazioni ostili.

Algeria, Angola, Burundi, Repubblica Centrafricana, Congo, Madagascar, Mali, Mozambico, Namibia, Senegal, Sudan, Sud Sudan, Uganda, Tanzania, Zimbabwe sono gli altri 15 Paesi africani che si sono astenuti.

Praticamente impercettibili i messaggi pacifisti dal Continente, mentre la Russia raccoglie quanto ha seminato negli ultimi 20 anni. Ad affiancare i russi in Ucraina ci saranno soldati delle Forze Armate della Repubblica Centrafricana, nazione dove l’Unione europea ha sospeso nello scorso dicembre la missione di formazioni militare per l’invasiva presenza dei mercenari della società privata Wagner, legata indissolubilmente a Putin.

Una presenza che ha una valenza politica, ovviamente, più che militare ma che restituisce il senso di un clima diverso che si respira. Nella capitale Bangui si susseguono manifestazioni (organizzate dai simpatizzanti del regime di Faustin-Archange Touadéra) dove fanno bella mostra cartelli con scritte di questo tono: «Russia + Centrafrica = amicizia», «Russia e Centrafrica contro il nazismo», «È colpa della Nato».

Un clima del genere si respira anche in Mali e Burkina Faso, di cui ci siamo occupati nei numeri precedenti, nazioni dove la “talpa russa” ha scavato metodicamente nel corso degli anni creando una rete di cunicoli tanto profondi e capillari da mettere a dura prova l’intervento occidentale contro il terrorismo islamico, soffiando sul fuoco del diffuso sentimento popolare contro il neocolonialismo francese.

Dal punto di vista economico, l’Africa già paga per le sanzioni. In Egitto il prezzo del pane è aumentato del 50%, in Costa d’Avorio è raddoppiato il costo di un sacco di zucchero da 50 chili, ed è alle stelle anche in Senegal, Mali e Mauritania.

Nel 2020 i Paesi africani hanno importato dalla Russia grano e olio di semi di girasoli per circa 4 miliardi di dollari mentre l’Ucraina ha esportato grano, mais, orzo, semi di soia, olio di semi per 3 miliardi di dollari. Sale anche il costo dei carburanti e gli analisti ricordano che storicamente l’aumento dei prezzi degli alimenti di base spalanca le porte alla destabilizzazione politica. Insomma scarsità di pane, abbondanza di coltelli.

Ph. Russia-Africa Summit in Sochi © GovernmentZA via flickr

Enzo Nucci

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Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana

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