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Brumadinho (Brasile)

di Nadia Angelucci

di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.

Era il 25 gennaio 2019 quando dal bacino di decantazione della miniera di ferro di Córrego do Feijão, di proprietà dell’impresa brasiliana Vale, dodici milioni di metri cubi di fango tossico si sono riversati sulla cittadina di Brumadinho, nel Sud- Est del Brasile. Da allora è in atto un travagliato procedimento giudiziario contro TÜV SÜD, la società di consulenza tedesca accusata di aver falsificato i documenti per certificare l’agibilità della diga mineraria.

«Siamo stati sepolti da un’onda di fango. Quel giorno non sono scomparsi solo i nostri cari, è scomparsa un’intera comunità. La nostra vita di prima si è dissolta e le conseguenze di quel fango che si è mangiato le nostre case e le vite dei nostri cari continuano a segnare le nostre esistenze. L’acqua del nostro fiume è contaminata, il nostro territorio è contaminato e anche le nostre vite sono contaminate».

Così Marina Oliveira racconta il disastro ambientale di Brumadinho, in Brasile, che ha travolto la sua vita. Era il 25 gennaio 2019 quando dal bacino di decantazione della miniera di ferro di Córrego do Feijão, di proprietà dell’impresa brasiliana Vale, dodici milioni di metri cubi di fango tossico, contenente metalli pericolosi come il mercurio, si sono riversati sulla cittadina di Brumadinho, nel Sud-Est del Brasile. Il cedimento della barriera di contenimento è stato così rapido che la sirena di allarme della miniera non ha avuto neanche il tempo di suonare. La cascata di detriti ha seppellito vite umane, fauna, flora, coltivazioni e case, contaminando il lago Três Marias e l’intero bacino del fiume Paraopeba che tocca 36 cittadine; migliaia di persone hanno perso l’accesso all’acqua.

In quella calda giornata di gennaio del 2019 sono morte 272 persone, 6 quelle ancora disperse. La maggior parte delle vittime erano gli stessi lavoratori della compagnia mineraria.

«Da tre anni viviamo nell’impunità. Il procedimento giudiziario è molto lento e siamo ancora nella fase in cui si deve decidere se sarà celebrato a livello federale o a livello centrale. Nel frattempo è iniziato in Germania, a Monaco, un processo contro TÜV SÜD, la società di consulenza tedesca accusata di aver falsificato i documenti per certificare l’agibilità della diga mineraria. L’indagine in Brasile ha rivelato infatti che il certificato rilasciato da TÜV SÜD conteneva informazioni false. Secondo le autorità, la diga non rispettava gli standard di sicurezza internazionali».

Vale e lo Stato brasiliano di Minas Gerais hanno firmato un accordo, che non interferisce con l’azione legale, e che prevede il pagamento di 37,689 miliardi di reais (circa 7,1 miliardi di dollari) per il risarcimento dei danni ambientali, morali e collettivi ma non di quelli individuali.

«Ciò che la comunità di Brumadinho chiede è giustizia e garanzia di non ripetizione di eventi drammatici come questo – ha detto Marina de Oliveira –. La comunità chiede sicurezza, partecipazione al processo di riparazione dei danni, superamento della dipendenza economica dalle miniere, assistenza sanitaria, fisica e psicologica. Tutto questo nell’accordo non c’è».

È per raccontare situazioni come questa che lo scorso aprile una delegazione della rete continentale latinoamericana Iglesias y Minería ha attraversato Germania, Belgio, Austria, Italia e Spagna, con varie tappe tra cui l’Europarlamento e il Vaticano.

Mentre Marina Oliveira ha riportato le richieste della popolazione di Brumadinho, Larissa Pereira, Mikaell Carvalho e Kelly da Silva hanno rivendicato i diritti degli abitanti di Piquiá de Baixo, sempre in Brasile, “avvelenati” dalla lavorazione del ferro; Padre Juan Carlos Osorio, sacerdote colombiano della diocesi di Caldas, ha raccontato le azioni per difendere l’ambiente dopo che il Governo ha concesso il 90% del territorio dei 23 municipi del Sud-Est dell’Antioquia alle multinazionali; Constanza Carvajal, della regione amazzonica colombiana del Putumayo, ha denunciato i rischi che corre la sua vita e quella di altri attivisti che lottano contro una miniera di rame e Pedro Landa, honduregno, ha riferito della sua battaglia contro i 430 progetti minerari attivi nel Paese latinoamericano.

«Il tour in Europa ha come obiettivo quello di mostrare che il nostro non è un caso isolato ma fa parte di un modello economico predatorio basato sullo sfruttamento dei territori e che la soluzione deve essere internazionale e globale. Stiamo parlando con politici, banche, chiese, società civile, Ong per raccontare la nostra realtà», ha riferito ancora Oliveira, che ha concluso: «La mia era una città piccola, una comunità semplice in cui ci conoscevamo tutti e avevamo un rapporto di solidarietà molto forte. Ora è molto difficile, sento che la mia città è malata, triste, povera. La frana ha portato via anche i nostri legami, nuove persone che non conosciamo sono arrivate, e abbiamo nostalgia di chi è scomparso nel fango in un istante. Sento che la mia città non esiste più».

Ph. Catástrofe socioambiental provocada pelo rompimento de barragem da mineradora Vale em Brumadinho (MG) © Felipe Werneck/Ibama via Wikimedia Commons

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Nadia Angelucci

Giornalista e scrittrice

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