di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.
Secondo l’idea comune, la deterrenza si baserebbe sull’acquisizione di armamenti e la costruzione di arsenali. In virtù di questa convinzione i governi decidono convintamente di aumentare il proprio impegno militare. Ma tali decisioni sono realmente efficaci al raggiungimento della sicurezza e della pace?
La recrudescenza della guerra in Ucraina ha rafforzato una tendenza in atto nel mondo, vale a dire quella dell’aumento delle spese militari. Quando si parla di riarmo sovente si cita il concetto di deterrenza. Secondo l’idea comune, la deterrenza si baserebbe sull’acquisizione di armamenti e la costruzione di arsenali. In virtù di questa convinzione i governi decidono di aumentare il proprio impegno militare.
La decisione di riarmo di questi giorni annunciata da molti governi è motivata ufficialmente da questa necessità strategica. La domanda lecita da porsi in questi casi è se tali decisioni siano realmente efficaci al raggiungimento del fine della sicurezza e della pace e quali conseguenze esse abbiano.
Per dare una risposta è necessario fare l’analisi delle componenti di questa idea classica di deterrenza. Il fatto che il riarmo di per sé aumenti la capacità di deterrenza è, però, in molti casi il classico caso però di confusione del fine con i mezzi.
Gli arsenali dovrebbero essere un mezzo per raggiungere il fine che il premio Nobel Thomas Schelling aveva definito puntualmente “una minaccia credibile” nel suo lavoro fondamentale La Strategia del conflitto (Bruno Mondadori, 2006). La spesa militare quindi non può che essere un mezzo e non un fine.
Tale affermazione – per quanto appaia semplice – negli ultimi anni è sembrata finire nel dimenticatoio dato che sono state portate motivazioni anche fallaci per sostenere l’aumento della spesa militare in molti Paesi. Come ho evidenziato in molte occasioni anche in questa rubrica, la motivazione più utilizzata, seppur chiaramente fallace, è quella del contributo che la spesa militare darebbe alla crescita economica.
La deterrenza in sé infatti non è utile e foriera di sicurezza se non è stabile. In assenza di stabilità, qualsiasi aumento delle spese militari si trasforma in una “corsa agli armamenti” che costituisce una situazione instabile per definizione. E infatti, il già citato Schelling che aveva elaborato e spiegato il concetto di “minaccia credibile” aveva però anche a lungo riflettuto sull’opportunità del controllo degli armamenti nel volume Strategy and Arms Control (scritto nel 1961 insieme a M.H. Halperin, mai tradotto in italiano).
In questo lavoro meno conosciuto Schelling e Halperin evidenziavano che gli avanzamenti della tecnologia nel settore degli armamenti richiedevano necessariamente accordi tra Paesi rivali sul controllo degli arsenali. Ça va sans dire, gli accordi stessi devono avere il carattere della credibilità e quindi essi non sarebbero configurabili se non in presenza di scambio di informazioni e comunicazione continua.
Il controllo degli arsenali consentirebbe di mitigare gli incentivi a un attacco preventivo che nascono grazie agli avanzamenti in tecnologia interpretati come forieri di un vantaggio sostanziale sui campi di battaglia. In breve, un sistema di controllo degli armamenti, secondo Schelling e Halperin, avrebbe maggiori effetti sulla sicurezza rispetto a un riarmo incondizionato.
Tenendo insieme le considerazioni finora esposte, quindi, potremo dire che il riarmo, in assenza di accordi di controllo, rischia di produrre meno sicurezza esattamente in virtù di una minore credibilità della minaccia che deriva da una pervasività della tecnologia in ambito militare. In parole più semplici, più armi potrebbero aumentare l’insicurezza e non viceversa.
Al contrario, un sistema di controllo degli armamenti, se costruito con l’accordo e l’impegno dei più importanti Paesi al mondo, potrebbe davvero risultare credibile e quindi dare anche alla minaccia quella caratteristica indispensabile per una qualsivoglia situazione di stabilità. Bisogna riaffermare quindi l’idea che il punto di partenza di qualsiasi ordine mondiale non può che essere un sistema credibile di controllo degli armamenti.
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Raul Caruso
Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.