di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.
Le aggressioni verbali del Patriarca di Mosca, che giustificano quella militare di Putin in Ucraina, costituiscono un invito alla riflessione rivolto a tutto il Cristianesimo occidentale. Da un lato, il confronto con il pensiero e le pratiche secolari è di scottante attualità; dall’altro, bisogna constatare che alcune delle tesi di Kyrill trovano consensi autorevoli.
Da qualche settimana, ogni lunedì molti mezzi di comunicazione pubblicano le omelie domenicali del Patriarca di Mosca «e di tutte le Russie». Tra le più interessanti quella del 6 marzo, nella quale l’aggressione all’Ucraina viene giustificata dall’esigenza di evitare un gay pride da quelle parti, come frutto delle perversioni occidentali. Che proprio questo sia il simbolo scelto è di per sé assai indicativo: in ogni caso, non credo sia difficile concordare sul fatto che il pensiero del Patriarca si contrappone frontalmente non solo a questa o quella convinzione di etica sessuale, bensì allo stesso intreccio di dibattiti, comportamenti, acquisizioni, procedure politiche, che caratterizza le società occidentali.
Vladimir Putin, pur essendo poco o punto interessato alle ideologie, adotta volentieri quella di Kyrill e di un certo filone dell’Ortodossia russa come copertura “di pensiero” per la propria politica di aggressione. Persino questo clericalismo brutalmente reazionario vede giusto almeno su un punto: l’Occidente è effettivamente attraversato da processi di secolarizzazione, che in parte respingono l’eredità cristiana, in parte ne modificano le forme di presenza sociale e in parte l’attraversano. E questi processi hanno a che fare anche con la democrazia, con il pluralismo e con l’etica.
È così, sia pure in forme del tutto diverse, anche in Russia, benché al Patriarca e all’ex funzionario del Kgb che perseguitava le chiese faccia comodo fingere di ignorarlo.
Non è il caso di intavolare discussioni pastorali con chi benedice lo stragismo. Le aggressioni verbali di Kyrill, che giustificano quella militare, costituiscono tuttavia, a modo loro, un invito alla riflessione rivolto a tutto il Cristianesimo occidentale: da un lato, il confronto con il pensiero e le pratiche secolari è di scottante attualità; dall’altro, almeno alcune delle tesi del Patriarca trovano consensi autorevoli. Pochi giorni prima dell’aggressione all’Ucraina, si è celebrato il sesto anniversario dell’incontro tra Kyrill e Francesco a Cuba. Un incontro “storico” è stato detto: ma certo, quando mai il Pontefice romano, fa o dice qualcosa che i suoi cantori considerino “normale”?
Ebbene, la dichiarazione comune pubblicata in quell’occasione celebra la fioritura cristiana in Russia dopo il crollo dei regimi atei; se la piglia con le società secolarizzate e con la loro aggressività; condanna le forme di convivenza diverse dal matrimonio; allude assai criticamente alle leggi sull’interruzione della gravidanza e sulle questioni del fine-vita. Il tutto è messo sotto la benedizione di Maria, l’invocazione della quale, in forme diverse, ha anche accompagnato le vicende belliche.
Allarghiamo l’orizzonte. In molti paesi arabi, l’Islam influenza la vita civile in termini che, da un punto di vista democratico-occidentale, appaiono problematici. La Dichiarazione di Abu Dhabi (2019), sottoscritta da Francesco e dal Grande Imam Ahmad Al Tayyeb, e celebrata da molti come mirabolante passo avanti nel dialogo tra le religioni, ritiene, per fare un solo esempio, che «genocidio» e «atti terroristici» possano essere posti sullo stesso piano delle questioni dell’aborto e del fine vita. E mi chiedo: siamo sicuri che l’idea di famiglia sottesa alla dichiarazione di Cuba e a quella di Abu Dhabi non si esponga al rischio di una pericolosa contiguità con l’omofobia guerrafondaia del Patriarca?
Ci si chiede se non sarebbe consigliabile una riflessione onesta e spregiudicata su che cosa significa annunciare Cristo nel contesto della democrazia pluralista. Perché, nel XXI secolo, non basta evocare “la svolta del Concilio”, comunque la si valuti. E già che ci siamo: tutto questo ha un rapporto con la passione cattolica di decidere chi è Chiesa (Roma stessa e l’Ortodossia, Kyrill eminentemente compreso) e chi no (le Chiese della Riforma)?
Si potrebbe citare Gesù («Li riconoscerete dai loro frutti»). Ma forse è meglio volare basso e limitarsi a Woody Allen: «dimmi con chi vai e ti dirò se vengo anch’io».
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Fulvio Ferrario
Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.