di Giorgio Gomel. Economista, è membro dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), del Comitato direttivo di Jcall-Italia e dell’organizzazione Alliance for Middle East Peace.
I riflessi macroeconomici della guerra russo-ucraina sono importanti in primis per i Paesi direttamente implicati dal conflitto, così come per il resto del mondo, l’Europa, l’Italia. L’aumento dei prezzi delle fonti di energia e delle materie prime è stato massiccio, innestandosi su una tendenza al rialzo già vivace generata dalla ripresa della domanda dai livelli depressi dovuti alla pandemia da Covid-19. Il prezzo del gas in Europa, che importa dalla Russia circa il 40% del suo fabbisogno – anche per l’Italia la dipendenza dal gas russo è di quell’ordine di grandezza – , è aumentato di quasi 20 volte dalle quotazioni dell’inizio del 2020. Il legame stretto fra la Russia e l’Europa su questo terreno è visibile anche plasticamente nell’osservare le infrastrutture che corrono dalla Siberia al centro dell’Europa, la quantità di petrolio russo che alimenta il sistema di trasporti e le stesse partecipazioni industriali e finanziarie fra imprese delle due aree nel settore energetico.
I rincari nelle fonti di energia, uniti a quelli di altre materie prime, si sono tradotti in aumenti dell’inflazione importata e per questa via in effetti depressivi sulla domanda interna. È in atto un deterioramento delle ragioni di scambio – il rapporto fra i prezzi dei beni esportati e quelli dei beni importati – che riduce il potere d’acquisto del reddito nazionale per i Paesi che importano quelle materie prime. Le previsioni degli organismi internazionali e della Commissione europea scontano un aumento dell’inflazione e una flessione del Pil per la Ue di almeno un punto percentuale rispetto a quanto immaginato all’inizio del 2022; unito alle turbolenze sui mercati finanziari e al timore di interruzioni nelle forniture di materie prime, questo andamento potrebbe deprimere gli investimenti.
L’aumento dei prezzi energetici e la devastazione della produzione provocata dalla guerra hanno condotto a rincari nei prezzi del grano e di altri prodotti primari agricoli di cui Russia e Ucraina sono fra i maggiori produttori nel mondo. Le stesse sanzioni imposte dai membri della Nato, Giappone, Australia e altri Paesi alleati hanno determinato frizioni e fratture nei mercati dell’energia, delle materie prime agricole e alimentari; altre potranno prodursi in seguito alle ritorsioni della Russia specie se la guerra dovesse prolungarsi e la stessa Russia cercasse di rompere l’apparente unità della coalizione ad essa avversa.
Ne deriveranno pesanti effetti negativi per le economie in via di sviluppo del Medio Oriente e dell’Africa dove si avvertono già i segni di una crisi alimentare e di rivolgimenti sociali che esse potrebbe produrre. Per l’Italia le risorse complessive del Pnrr per il 2021 ammontano a 192 miliardi, l’importo più elevato fra i 27 Paesi comunitari. Il successo del piano dipenderà, in via generale, dalla qualità delle riforme, non solo dal volume degli investimenti attuati, in particolare negli ambiti della trasformazione digitale, del mutamento climatico, dell’inclusione delle fasce giovanili della società nel mercato del lavoro. Gli obiettivi per il 2021 erano stati raggiunti con- sentendo l’esborso programmato per aprile 2022 di prime risorse per un im- porto di 24 miliardi di euro. Per l’anno in corso il Pnrr prevede 100 obiettivi soprattutto sul terreno delle riforme e degli investimenti da attuare da parte delle amministrazioni centrali e locali; nel primo semestre dell’anno fra gli elementi rilevanti vi sono riforme del sistema degli appalti pubblici, delle carriere dei docenti, dell’assistenza sanitaria su base territoriale.
L’aggressione russa, inattesa e sconvolgente rispetto a un paradigma forse velleitario di un’ Europa destinata a un presente e futuro di pace, ha sollecitato fra le risposte dell’Europa la volontà di accrescere la spesa militare e di conseguire un sistema collettivo di difesa su scala europea. L’aumento di tale spesa (dall’1,5 al 2% del Pil), già previsto secondo l’impegno di governi e Parlamenti in un orizzonte 2014-2024, ma racchiuso ora in tempi assai più brevi, ridurrà per l’Italia lo spazio destinato a ricerca e sviluppo, innovazione e altre tipologie di investimenti di carattere “civile”. Vi è dunque il rischio per il Paese di deviare da una traiettoria di sviluppo, disegnata nel Next Generation Eu, sostenibile sul piano ambientale e meno diseguale su quello sociale.
Ph. Anti-terrorist operation in eastern Ukraine (War Ukraine) © Ministry of Defense of Ukraine via Wikimedia Commons
[Articolo pubblicato su Confronti 05/2022]
Giorgio Gomel
Economista, è membro dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), del Comitato direttivo di Jcall-Italia e dell’organizzazione Alliance for Middle East Peace