di Israel Flores Olmos. Pastore della Chiesa evangelica spagnola (IEE) e decano della Facoltà di Teologia SEUT
Vivo ma non esisto è il nome dato a una mostra dedicata all’emigrazione tenutasi l’Università Complutense di Madrid. Scopo della mostra era sensibilizzare l’opinione pubblica alla situazione in cui vivono i migranti e gli apolidi. Un fronte sul quale la Chiesa evangelica spagnola (IEE) è da sempre in prima linea al fine di garantire il diritto allo studio, l’accesso a un lavoro dignitoso, la regolamentazione sociale e quindi la realizzazione di una vita piena.
“Vivo ma non esisto” è il nome dato a una mostra sulla migrazione all’Università Complutense di Madrid. Il titolo è piuttosto rivelatore, poiché esprime la realtà degli apolidi a cui è negato il diritto allo studio, l’accesso a un lavoro dignitoso, la regolamentazione sociale e quindi la realizzazione di una vita piena. L’apolidia di molti rifugiati è dovuta a ostacoli legali all’ottenimento della nazionalità del Paese ospitante. Ma la situazione del “vivo ma non esisto” può essere applicata a molti migranti perché sprovvisti di permesso di soggiorno, trovandosi in una situazione simile all’apolidia, non avendo i diritti legali per accedere al lavoro, alla salute, istruzione, alloggio e libertà di movimento.
Secondo i dati dell’UNHCR, oltre 82,4 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case, di cui 26,4 milioni sono rifugiati. La Spagna è uno dei principali Paesi di accoglienza dei rifugiati nell’Unione Europea, dopo Germania e Francia. Nel 2020, secondo i dati della CEAR (Commissione Spagnola per l’Aiuto ai Rifugiati), le domande di asilo sono state in totale 88.762, cifra che è stata ridotta dal Covid-19, e del totale delle domande trattate (con il cumulo degli anni precedenti) sono state 114.919 ma purtroppo il 95% è stato respinto. I Paesi di maggiore origine nel 2020 sono stati Venezuela, Colombia, Honduras, Perù e Nicaragua, quindi l’87% delle persone che hanno presentato domanda di asilo in Spagna proveniva dall’America Latina (77.533 domande), di queste solo un piccolissimo numero è stato accolto lo status di rifugiato, anche se hanno ottenuto l’autorizzazione al soggiorno. Ad esempio, sono state ricevute 41.283 domande di asilo dal Venezuela, ma solo 6 persone hanno ottenuto lo status di rifugiato, il 97% ha ottenuto l’autorizzazione di soggiorno.
Il Mediterraneo, invece, è teatro dei continui esodi di persone che giungono in “barconi” in partenza dal Nord Africa attraversando il mare per raggiungere le coste dell’Europa meridionale, ma che lascia un gran numero di morti. L’anno scorso la rotta più mortale è stata quella che ha portato attraverso l’Atlantico alle Isole Canarie, perché secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, uno su cinque migranti morti o dispersi registrati è morto nell’Atlantico in rotta verso queste isole. Era la rotta più mortale in proporzione al numero di arrivi, e la seconda in assoluto, solo dietro a quella che parte da Paesi come la Libia o la Tunisia e ha come destinazione l’Italia o Malta.
Purtroppo, i media presentano questa situazione senza richiedere la minima solidarietà e presentando la migrazione come un fenomeno “incontrollabile”creando nei fatti un pretesto che va a supporto delle politiche xenofobe e in particolare generando rifiuto e paura della cittadinanza. Occorre quindi sottolineare che l’immigrazione implica uno sforzo di apertura all’altro (l’altro come straniero), all’interculturalità e al dialogo nel campo della convivenza etica, delle dimensioni dell’esistenza umana e degli elementi centrali della fede cristiana. In questo senso, l’etica è necessaria come responsabilità di ciascuno verso gli altri. Seguendo il filosofo di origine ebraiche Levinas, diremmo che l’altro non è una “specie” o oggetto di studio, ma il volto dell’altro, dell’altra, è quello che mi interroga e mi sfida, quello che diventa sfida etica per la mia libera soggettività, e soprattutto il volto dell’orfano, della vedova e dello straniero. Il migrante in questo caso è una parola, una richiesta, un appello, una domanda di risposta, aiuto e compassione. Da lì emana la responsabilità verso gli altri, frutto della dedizione, della donazione, del mettersi nei panni dell’altro. Per questo è necessario “un rapporto anallergico con l’alterità, con l’altro”.
Ancora con Levinas diremmo che accogliere l’altro, lo straniero, il migrante implica una necessaria interpretazione del suo contesto e del nostro, in un rapporto di apertura. Inoltre quel volto è nudo e la nudità del volto è privazione, è richiesta e richiesta diretta a me direttamente, poiché il volto mi si impone senza che io possa rimanere sordo al suo richiamo. Chi è interrogato dal volto dell’altro, esige una risposta poiché “nessuno può rispondere al mio posto”. Ma è necessario rispondere al bisogno non come se fosse un obbligo o un dovere, ma come una responsabilità, come diaconia. Così, prima dell’altro, prima del migrante, l’uno è infinitamente responsabile. È nella linea tratteggiata da Gesù quando disse: «In verità vi dico: tutto ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli, anche il più piccolo, l’avete fatto a me» (Mt 24,40).
Da questa esigenza di diaconia che nasce dall’incontro con l’altro. La Chiesa evangelica spagnola (IEE), che è una Chiesa metodista unita e presbiteriana, si è impegnata fin dall’inizio nella responsabilità nei confronti di migranti e rifugiati. Del resto, la Spagna durante la dittatura franchista era un Paese di emigrazione. A causa dell’intolleranza e della persecuzione dello Stato nei confronti di qualsiasi movimento dissidente, anche le chiese protestanti furono oggetto di persecuzioni, per le quali persone delle chiese e alcuni pastori con le loro famiglie dovettero lasciare la Spagna. Una volta stabilita la libertà religiosa nel 1978, l’IEE si è impegnata a difendere i diritti umani e lo sviluppo integrale dei rifugiati, degli apolidi e dei migranti bisognosi di protezione internazionale e/o a rischio di esclusione sociale. Con questa intenzione, insieme ad altre confessioni religiose, partiti politici, sindacati e organizzazioni sociali, ha fondato nel 1979 la Commissione spagnola per l’assistenza ai rifugiati (CEAR). Si tratta di un’organizzazione di azione volontaria, umanitaria, indipendente e plurale; ispirato da un profondo rispetto per i valori di giustizia, solidarietà, libertà, uguaglianza, indipendenza, impegno etico, pluralità, trasparenza, partecipazione e coerenza.

L’IEE ha lavorato fin dall’inizio con il CEAR, con il volontariato di alcuni membri della Chiesa, ma anche offrendo spazi fisici per l’accoglienza e la consulenza dei migranti. Questi spazi sono stati entrambi uffici all’interno delle chiese stesse per dare orientamento e formazione ai migranti; come case di riposo per diventare soggiorni di breve durata gestiti dal CEAR.
Ma oltre al rapporto con il CEAR, l’IEE ha altre opere di servizio che contribuiscono all’accoglienza delle persone e delle famiglie migranti. A Barcellona c’è l’Associazione El Far, che nel suo Centro Moisés si prende cura di ragazze e ragazzi dai 4 agli 11 anni, che si trovano in situazioni di rischio sociale, tra cui la stragrande maggioranza proviene da famiglie di migranti, circa 75 ragazzi e ragazze. Il Moi Jove guida e accompagna gli adolescenti dai 12 ai 16 anni nell’ambito del loro sviluppo fisico, emotivo e sociale. Un altro progetto simile si chiama Espai Xala e offre linee guida e indicazioni per promuovere abitudini sane, strategie di apprendimento e sostegno scolastico. Vengono assistiti 18 ragazzi e ragazze.
Sempre a Barcellona c’è l’IEE con l’Associazione Frater-Nadal. Si tratta di un progetto che consiste in un programma di assistenza primaria per la distribuzione di cibo, abbigliamento e calzature. Gli utenti possono anche accedere ai pasti preparati dalle scuole Rubí. Nel 2019 sono stati distribuiti 288.985 chili di cibo e nel 2020 sono stati distribuiti 267.797 chili di cibo. Nonostante l’emergenza sanitaria da Covid-19, il cibo è stato distribuito con un protocollo molto sicuro e sono state servite 1.281 famiglie.
A Madrid, invece, attraverso l’Azione Sociale Protestante (ASP), viene sostenuto l’Armadio Consuelo Olmo, che apre settimanalmente e serve in media tra le 80 e le 120 persone a settimana. Nel 2019 sono stati consegnati 30.303 capi di abbigliamento, scarpe, stoviglie o biancheria per la casa. C’è anche il Meeting Space for Immigrant Women (EEMI). Questa attività si svolge il giovedì di ogni settimana in cui si sono tenuti vari workshop, corsi, conferenze e dinamiche di gruppo che incoraggiano la loro integrazione nel gruppo e assicurano che mantengano un atteggiamento individuale positivo. Nel corso del 2019, un totale di 586 donne hanno partecipato giovedì a diverse attività. Queste attività a causa della pandemia hanno avuto uno “stop”, ma sono ormai in fase di riattivazione. C’è anche il progetto Food Bags. Nel 2019 sono stati consegnati in totale 4.620 sacchi di cibo.
A Levante, l’IEE ha un’azione sociale chiamata CAMINO, che si occupa della distribuzione del reddito per le famiglie più vulnerabili, e della grande parte delle persone che beneficiano dei loro progetti sono migranti dall’America Latina o migranti musulmani, che vengono da vari paesi dell’Africa e Medio Oriente. Oltre a distribuire annualmente quasi 90.000 kg di alimenti, vestiario e beni a quasi quattrocento famiglie, vengono forniti loro orientamento, accompagnamento nei loro processi (sociali, legali, vitali), sostegno psicologico, sostegno scolastico ai minori, informazioni sulle risorse sociali della città, ecc. Ogni lunedì il tempio della Chiesa di Cristo Alicante si trasforma, diventa una sala di ricevimento per le famiglie che andranno a frequentarla.
Questa è la risposta dell’IEE al “Vivo, ma non esisto” dei migranti. Dati i processi di ridefinizione delle identità, è chiaro che viviamo in un mondo con grandi linee di fratture dove la migrazione è un fattore che gioca un ruolo importante, non solo per il migrante, ma anche, in questo caso per l’Europa, incentrato su stesso e più volte chiuso all’altro in un eurocentrismo che rafforza le fratture nelle interrelazioni nel conglomerato sociale. Non possiamo dimenticare che il nostro mondo attuale “ospita culture con relazioni più intense di qualsiasi altra tappa, è il risultato dell’intersezione di tanti mondi eterogenei. E quando queste intersezioni non si uniscono in modo fruttuoso, emergono ostilità tra mondi diversi, intrappolando nel mezzo individui divisi tra appartenenze multiple. La sfida è che il nostro incontro con l’altro, gli fa sentire e vivere la forza della sua e nostra esistenza nell’accoglienza che gli viene data e nell’apertura a lui fondata sulla giustizia affinché il passaggio del “vivo, ma io non esisto”, a “viviamo ed esistiamo in piena libertà”.
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Israel Flores Olmos
Pastore della Chiesa evangelica spagnola (IEE) e decano della Facoltà di Teologia SEUT