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Riproporre il buyback delle armi

by Raul Caruso

di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

Oggi più che mai, con le macerie della pandemia da Covid e gli orrori della guerra in Ucraina, sarebbe auspicabile un riacquisto delle armi e per due finalità distinte: fornire liquidità a Paesi che ne hanno disperatamente bisogno e diminuire gli arsenali.

Esattamente due anni fa – anche su queste pagine – proponevo un buyback di armi a favore dei Paesi più poveri. In pratica la proposta era quella di costituire un fondo destinato ad acquistare armi dai governi, principalmente di Paesi in via di sviluppo e di Paesi meno sviluppati, per poi distruggerle.

Tale fondo per buyback globale dovrebbe essere implementato e finanziato attraverso un accordo multilaterale e gestito da un’agenzia o commissione speciale presso l’Onu. Il motivo era semplicemente che a seguito della pandemia i Paesi più poveri già profondamente indebitati non avrebbero avuto la possibilità

di attuare le necessarie politiche di sostegno a imprese e famiglie con conseguenti ricadute sul benessere, le diseguaglianze e la pace sociale.  In sintesi, un riacquisto delle armi avrebbe una doppia finalità: in primo luogo fornire liquidità a Paesi che ne hanno disperatamente bisogno e in secondo luogo diminuire gli arsenali. La fase di peggioramento economico seguito alla pandemia Covid è stata ulteriormente aggravata dalla recrudescenza della guerra in Ucraina come stanno evidenziando tutti gli economisti e gli esperti in seno alle organizzazioni internazionali.

Secondo il World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale pubblicato ad aprile, la crescita globale nel 2022 sarà in pratica pressoché dimezzata rispetto a quanto previsto nell’ottobre del 2021. Al solito, nei momenti di grande shock economici, a pagare il conto più salato sono solitamente i Paesi più poveri e meno ricchi di capitale fisico e umano. Questa regolarità è tanto più vera oggi a causa del rialzo dei prezzi delle materie prime, dei beni alimentari e dell’energia.

L’inflazione che si sta manifestando a livello globale a causa della scarsità sarà infatti più elevata nelle economie più fragili e povere andando ad aggravare non solo le disuguaglianze ma anche le situazioni di disagio sociale. In pratica, anche i Paesi più poveri andranno a pagare il conto di una guerra in cui non sono coinvolti.

Questo fatto, però, rischia di determinare un contagio della guerra a livello globale poiché siamo da tempo consapevoli che la violenza nelle sue diverse forme tende a esacerbarsi nelle fasi di turbamenti improvvisi nelle aspettative di realizzazione economica.

In questa fase, pertanto, è perfettamente razionale diminuire la disponibilità di armi in modo che eventuali nuovi conflitti armati siano meno probabili. Laddove il buyback divenisse operativo e credibile, i governi potrebbero ottenere quella liquidità per finanziare la spesa sociale per alleviare il disagio dovuto alla crisi economica. È evidente che tale percorso potrebbe essere credibile se e solo se un numero elevato di Paesi vi aderisse.

In questa prospettiva, pertanto, cruciale può essere il ruolo dell’Onu che se è impotente nel fermare la guerra in corso può provare un ruolo nel prevenire altre guerre future
in particolare nei Paesi in via di sviluppo. È chiaro che il fondo da costituire perché ciò si realizzi può essere finanziato esclusivamente dai Paesi più ricchi e quindi almeno dai Paesi Ocse o da quelli del G20.

Dato che questo tipo di iniziativa non avrebbe un obiettivo puntuale ma piuttosto una generale riduzione degli arsenali, oltre al sostegno allo sviluppo, potrebbe risultare anche più semplice da approvare. In linea generale, infatti, un obiettivo ampio a favore della pace potrebbe trovare meno ostacoli rispetto ad altri in cui interessi precisi potrebbero costituire vincoli insuperabili.

Tra i Paesi leader al mondo, in particolare, potrebbe assumere un ruolo guida l’Unione europea i cui Paesi membri hanno ratificato il trattato Att [Arms Trade Treaty – Trattato sul commercio delle armi] e quindi dispongono di informazioni più accurate in merito alle transazioni di armi convenzionali. In ultimo, ma non per importanza, un’iniziativa di questo tipo costituirebbe un segnale poiché esso potrebbe rappresentare un freno a un riarmo apparentemente senza controllo che ha raggiunto livelli estremamente elevati financo superiori a quelli della Guerra fredda.

Un buyback dettato dall’emergenza potrebbe essere quindi davvero un primo passo per introdurre nelle agende dei leader di governo politiche di disarmo e quindi di pace.

Ph. Lawrence Hookham

Raul Caruso

Raul Caruso

Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

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