di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.
La nuova Guerra fredda rischia di avere gravissime ricadute su tutto il Continente africano. E in un quadro dilaniato da conflitti si inserisce anche la crisi alimentare che minaccia 29 milioni di persone, di cui almeno un quinto sono bambini.
La crisi russo-ucraina rischia di riportare indietro l’orologio della Storia in Africa. Una nuova (e inedita) contrapposizione di blocchi non più di tipo ideologico (come con la Guerra fredda, se anche allora aveva un senso la divisiva parola “ideologia”) ma uno scontro tra potenze occidentali di ispirazione democratica/liberale e il resto del mondo.
Nel piatto ci sono petrolio, gas, minerali preziosi, terre fertili, tutto ciò che è necessario per mandare avanti economie complesse e industrie.
Gli attori internazionali sono tanti e fortemente motivati: Stati Uniti, Cina, Unione europea, Russia, Turchia e Paesi del Golfo. Ognuno gioca la sua partita e spesso pur facendo parte di “blocchi” in realtà ciascuno mira a ritagliarsi un personale ruolo nello scacchiere mondiale.
I conflitti in corso in Repubblica Centrafricana, Mali, Burkina Faso, Sud Sudan, Somalia, Tigray (Etiopia), Kivu e Ituri (Repubblica Democratica del Congo), Cabo Delgado (Mozambico) nascondono infatti interessi di queste potenze nel settore delle materie prime. Inoltre la Libia è in frantumi, fuori dal controllo del governo di Tripoli e in balìa di bande armate sostenute da potenze straniere. Il Sahel intanto resta in ostaggio dei terroristi jihadisti mentre la Russia di Putin sta occupando tutti gli spazi politici e militari lasciati liberi dal ritiro dei soldati francesi, accusati dalle popolazioni locali di aver tenuto in vita governi fantoccio pur di difendere gli interessi di Parigi, a scapito della stabilità politica e della sicurezza.
Non sono casuali le manifestazioni popolari in Mali e Repubblica Centrafricana di appoggio ai mercenari russi della compagnia Wagner, considerati alla stregua di liberatori dai regimi neocolonialisti. La nuova agenda politica dettata dalla guerra russo-ucraina rischia di relegare in secondo piano il difficile cammino di transizione che sta affrontando il Sudan dopo 30 anni di dittatura, così come la sofferente Somalia, che ha appena eletto un nuovo presidente.
Intanto per contrastare i terroristi islamisti Shebab il Dipartimento della Difesa statunitense ha deciso l’invio di 500 soldati delle forze speciali, ristabilendo una presenza nel Paese dopo che Donald Trump aveva imposto un sistema di rotazione dei militari, oggi ritenuta rischiosa e inefficiente.
In un quadro così dilaniato si inserisce la crisi alimentare che minaccia 29 milioni di persone, almeno un quinto sono bambini. Russi e ucraini rifornivano i mercati africani con il loro grano. Esportazioni bloccate, mentre anche gli aiuti internazionali faticano ad arrivare per la crisi generalizzata che blocca la raccolta di fondi adeguati. I cambiamenti climatici (piogge scarsissime negli ultimi 4 anni e aumento vertiginoso delle temperature) stanno mandando a gambe all’aria l’ agricoltura e il bestiame, in particolare nel Corno d’Africa e in Kenya ma è allarme anche in Algeria, Niger, Uganda e Madagascar.
La sensazione è che in Africa (lontano dai riflettori dell’informazione mainstream) si registreranno ancora una volta le drammatiche conseguenze dello scontro tra le potenze mondiali, dove come sempre a pagare il prezzo più alto saranno civili inermi, che non sono stati risparmiati dal Covid e dalla relativa crisi economica .
Proprio come 60 anni fa quando Stati Uniti, Russia (ma anche la Cina di Mao) si scontravano indirettamente nel Continente attraverso il sostegno a gruppi ribelli, eserciti di liberazione che (a eccezione dei vertici politici e militari) spesso nemmeno sapevano per chi e per cosa combattevano poiché erano forzati a farlo, pena la loro vita o quelle dei familiari. Inconsapevoli pedine di un micidiale gioco al massacro, di cui ancora oggi in Africa si scontano le conseguenze con regimi politici tenacemente abbarbicati a poltrone e poteri.
Il nuovo ordine geopolitico determinato dalla guerra tra Russia e Ucraina passa ancora una volta attraverso il meridiano africano ma anche questa volta al Continente spetta il ruolo di muto ospite pagante e sofferente. La mancanza di autorevoli e credibili leadership nazionali e la scarsa incisività dell’azione dell’Unione africana contribuiscono purtroppo a un cammino tutto in salita.
Ph. Suzanne Ouedrago, a farmer from Fanka in Burkina Faso shows the type of leaves she was left to feed her family with as a result of drought, bad crops and rising food prices. Oxfam gave seeds to vulnerable farmers to help them to recover from the food crisis that hit Burkina Faso and the West Africa region of Sahel © Pablo Tosco/ Oxfama via flickr
Enzo Nucci
Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana