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Harga, la serie tunisina che porta la migrazione in prima serata

di Aymen Mabrouk

di Aymen Mabrouk. Attore

Intervista a cura di Nadia Addezio. Redazione Confronti.

Aymen Mabrouk è Tijani nella serie tunisina “Harga”, serie che ha riscosso un grande successo in tutto il mondo arabo e che tratta, dal punto di vista di chi sperimenta la migrazione, le difficoltà, gli ostacoli e le disillusioni che il Continente al di là del Mediterraneo pone agli harraga, le persone che “bruciano il confine” distruggendo i propri documenti per evitare di essere identificati e rimpatriati. Scritta da Imad Eddine Hakim e diretta da Lassaad Oueslati, la serie è stata realizzata con lo scopo di disincentivare le persone a partire “illegalmente”. Mabrouk è noto per le sue interpretazioni controverse, come quella di Essediki nella serie saudita pubblicata su Netflix “I corvi Neri”, un racconto incentrato sul processo di reclutamento di donne e uomini nell’Isis. Lo abbiamo intervistato per conoscere la sua esperienza artistica e approfondire i retroscena e il contesto da cui Harga prende le mosse.

Come nasce la tua passione per la recitazione e quando cominci a coltivarla?

Apprezzo molto questa domanda. Specialmente quando concedo interviste all’estero, è molto importante ricevere domande di questo tipo. In Tunisia abbiamo la fortuna dal 1962 di studiare recitazione da quando Habib Bourguiba, il primo presidente della Repubblica della Tunisia dopo l’indipendenza dalla Francia, fece un discorso su come inserire il teatro nella vita scolastica. Grazie a tale discorso, fu inserita nei licei la materia “Educazione teatrale”, che ho studiato anch’io. Questa materia divenne obbligatoria come la matematica, la storia, le lingue, l’educazione musicale e le arti, e si cominciava a studiare a partire dai 12-13 anni. Era prevista inoltre un’attività teatrale simile a un Club de théâtre, gruppo teatrale, fuori dal corso interno alla scuola, e fu grazie a quel corso, a quell’ambiente, a quell’atmosfera, che ho scoperto di voler proseguire con questa forma d’arte. Dopo la maturità, pur avendo studiato al liceo scientifico, scelsi di continuare gli studi all’Accademia di Teatro [ISAD]. A quel punto, i miei genitori mi domandarono se fossi sicuro, perché avrei potuto studiare medicina, farmacia…oggi avrei potuto essere un medico, un farmacista, o un dentista… Nonostante ciò, ero convinto del mio amore per la recitazione e di voler studiare all’Accademia di Teatro, che era l’unica in tutta la Tunisia. Ho dovuto infatti superare un test nazionale per accedervi. Ebbi la fortuna di passarlo e dopo quattro anni mi sono laureato in Création, production théâtrale. Ebbi l’opportunità di fare la prima comparsa durante il terzo anno di università, nel 2003, dopodiché, dopo la laurea, vinsi una borsa di studio per un Master in Communication arts. 

E cosa ti ha portato in Italia?

A portarmi in Italia è stato il caso. Quando ero a Beirut per il Master, nel tempo libero facevo  volontariato come clown di corsia all’AUH American University Hospital con i bambini malati di cancro. Lì c’erano fisioterapisti tedeschi, svizzeri, austriaci che venivano da una clinica svizzera, a Zurigo. Per questi, ebbi l’opportunità di sviluppare un progetto in inglese che subito fu accettato, e così cominciai a lavorare come musicoterapista. All’epoca praticavo anche la danza contemporanea, l’hip hop, la break-dance. Per un periodo lavorai anche come modello a Zurigo. Beata gioventù! In quel periodo, il Teatro greco di Siracusa cercava un giovane che parlasse arabo e un po’ di italiano. A quel punto, mandai il curriculum, e fui preso. L’anno della stagione di Siracusa è stato l’inizio della mia attività in Italia per il teatro, per il cinema, per la televisione, passando per il Medio Oriente, l’Europa, la Francia, e anche qui, in Nord Africa [l’attore al momento dell’intervista si trovava a Tozeur, nel Sud della Tunisia]. 

Una delle tue ultime interpretazioni è stata quella di Tijani nella serie tunisina Harga, la cui seconda stagione è stata girata in Italia. Mi parli di questa serie e quali sono state le difficoltà nel realizzarla?

La prima stagione è stata girata all’inizio del 2020, a febbraio. Poi, con il mondo in lockdown, si è fermato tutto. Durante le prime riprese della prima stagione, io non c’ero ancora, in quel periodo avevo un progetto alla Davis University di San Francisco. Il 13 marzo 2020, quando Trump ha chiuso il confine americano, presi un volo per Francoforte alle 9 di sera. Intanto l’Italia l’8 marzo aveva chiuso tutto, allora da Francoforte presi un volo per Tunisi e poi Tunisi – Tozeur – in questa meraviglia. Mentre tutto chiudeva, ho trascorso il periodo di lockdown nell’oasi nel deserto. 

Quando mi è stata proposta la sceneggiatura di Tijani, subito mi è piaciuto il personaggio. Solitamente sono molto esigente perché cerco sempre di lavorare a progetti che abbiano uno scopo umano, morale, sociale. Com’è stato per esempio per I corvi neri, la serie sull’Isis trasmessa su Netflix.

Appena hanno riaperto le frontiere, sono subito salito a Tunisi – dato che sino ad allora vi erano limiti di spostamento anche tra le province – a parlare col regista. Così abbiamo cominciato a girare la fine della prima e la seconda stagione. La serie ha riscontrato un enorme successo nel mondo arabo e non solo, anche tra gli arabi che vivono in Europa, America, Canada. Il regista e lo sceneggiatore sono stati molto intelligenti perché sono stati in Sicilia, hanno parlato con le persone del posto, con i migranti irregolari, con i mediatori culturali, sono andati in diversi centri di accoglienza, nei campi, nelle serre dove lavorano magari persone senza documenti o in nero. Hanno fatto un ottimo lavoro sul campo, una vera e propria documentazione. E dato il successo raggiunto e la grossa richiesta, è stato inevitabile fare una seconda stagione. Nella prima stagione c’era molta realtà, come l’associazione delle mamme di ragazzi dispersi che da sei anni non ricevono notizie dei figli, non sanno se siano vivi o morti. Questa è stata una cosa molto toccante da riportare sui grandi schermi. A sua volta, la seconda stagione ha riscosso grandissimo successo con oltre 10 milioni di visualizzazioni sulla piattaforma Watch NowTv, un successo mai visto nell’arte drammatica tunisina. 

Come hai preparato il tuo personaggio?

Aymen come ha preparato Tijani? Per interpretare tutti i personaggi – e la maggior parte delle volte interpreto “il cattivo” – l’attore deve avere un bagaglio di esperienze. Per Tijani ho raccolto informazioni parlando con i mediatori culturali in Italia, mi è servita tra le altre l’esperienza del 2009 in cui feci un piccolo laboratorio di teatro in un Centro di accoglienza; ancora, ho parlato con amici che lavorano con i migranti in Sicilia. Sostanzialmente ho fatto un lavoro che potremmo definire “di documentazione”. Noi attori studiamo i personaggi attraverso delle tecniche basate su quattro punti: il punto fisico, il punto psicologico, il punto storico e il punto culturale. Leggendo la sceneggiatura, parlando con il regista, confrontandoci, applico la raccolta di informazioni e di esperienze a quei quattro punti. Il  risultato è il personaggio che interpreto.

Il personaggio di Tijani, lo scavare nella sua psicologia, ti ha messo qualche volta in crisi?

No, non direi. L’attore deve essere sempre cosciente, noi studiamo la psicomotricità – ovvero il passaggio dall’interno all’esterno del metodo Stanislavskij – e la biomeccanica – il passaggio dall’esterno all’interno, metodo ideato da Mejerchol’d. Quindi no, non ho avuto difficoltà. L’unica cosa, tra la prima e la seconda stagione, leggendo la sceneggiatura e recitando, ho sentito una maturità del personaggio, una maturità di Aymen nel recitare o nel dare qualcosa in più a questo personaggio. Di questo sono molto felice, molto contento. In questi due anni il personaggio di Tijani ha fatto un salto di qualità pazzesco col pubblico, non solo in Tunisia ma anche fuori. Ho sentito una differenza tra la prima e la seconda stagione nella maturità sia mia in quanto attore e interprete, che del personaggio in sé. 

Chi è Tijani? Quanto è importante la sua figura ai fini del messaggio che Harga vuole dare?

La serie nasce con l’intento di disincentivare i giovani tunisini a partire e rischiare la vita via mare, cercando di mostrare una prospettiva diversa e spingere al cambiamento della loro mentalità. Purtroppo questo fenomeno esiste da sempre, è da dopo il 1994 che l’Italia ha iniziato a richiedere il visto per potervi entrare. Da quel momento, specialmente negli ultimi 15 anni, ci sono cifre pazzesche, mi riferisco in particolare alla Tunisia. Quando le persone parlano di “Harga”, parlano dei giovani che nel quartiere si organizzano per “bruciare il confine”. Ma solitamente si parla tanto dell’“Harga” in mezzo al mare, ma nessuno parla del post-Harga. Arrivano? Non arrivano? Sono vivi? Sono morti? Quando arrivano, dove vanno? Entrano nel centro città? Vanno in carcere? Nel centro di accoglienza? Di questo non si sa nulla e tantomeno qualcuno ne parla. E allora l’intento della serie è trattare proprio del post-Harga. Infatti la terza parte della prima stagione è stata girata tutta in un Centro di accoglienza per mostrare cosa succede al suo interno. Lo sceneggiatore e il regista hanno fatto inoltre una ricerca su quanto successo al C.A.R.A di Mineo a Catania [Centro di accoglienza chiuso nel 2019, considerato tra i peggiori modelli di accoglienza sperimentati in Italia], un “carcere”, non un centro. Nato come base militare, poi riadattato a centro di accoglienza e arrivato a contare 4mila persone… un guantanamo! Per fortuna è stato chiuso dopo la polemica che fu sollevata.

E allora l’intento del regista e sceneggiatore è stato dare anche un punto di vista negativo del Centro di accoglienza, per non lasciare pensare ai ragazzi che intendono intraprendere il viaggio che al di là del Mediterraneo li aspetterà “la bella vita”. 

Nella serie c’è tanto realismo, soprattutto nella prima stagione. Nella seconda stagione, oltre al realismo, c’è anche fiction

E il mio personaggio, Tijani, è un mediatore culturale di origine tunisina. Non sappiamo il suo passato, scelta fatta di proposito dallo sceneggiatore e dal regista per lasciare al pubblico la libertà di pensare a cosa abbia potuto spingere Tijani a comportarsi così male con i suoi compaesani e i migranti in generale. Tijani da sceneggiatura doveva essere molto cattivo, molto duro, crudele, insensibile, disonesto, e alla fine siamo riusciti a renderlo tale. Doveva essere così per lo scopo di cui parlavo prima, cioè che, una volta intrapreso il viaggio, non è detto che poi la vita nel Paese di approdo sia “una passeggiata”. Nella prima stagione abbiamo visto questo mediatore culturale in un Centro di accoglienza che fa traffico di bambini, traffico di stupefacenti, che ricatta i migranti…; nella seconda stagione i migranti scappano dal Centro e il racconto prende forma con la descrizione e rappresentazione della vita fuori, in città, a Palermo. Viene raccontato come queste persone vivono e come iniziano a conoscere nuovi tunisini che da anni vivono in città senza documenti, o che hanno i documenti ma lavorano in nero.

Sono tutte situazioni purtroppo vere. In Tijani c’è una parte di fiction e una di realismo, in particolare quando Tijani fa affari con la mafia e con i poliziotti corrotti. Tijani è un personaggio ambiguo, non si capisce con chi fa affari, ma in realtà rappresenta come le due cose siano legate. E’ stata una scelta molto intelligente quella di scrivere in questo modo questo personaggio, sarei davvero felice che la serie fosse diffusa anche in Italia! 

Il clima risulta sicuramente poco favorevole a chi cerca di migliorare le proprie condizioni e aspettative di vita venendo in Italia. È emblematica la crescita dell’estrema destra in tutta Europa, non solo in Italia e non solo a livello politico, ma anche sociale. Se pensiamo a come Matteo Salvini ha cominciato a prendere voti non più solo nel Nord Italia, ma anche al Sud, per non parlare della presenza dei ben peggiori Casa Pound e Forza Nuova in Sicilia. Ecco, per tutte queste ragioni, il mio intento è stato rendere il mio personaggio “più leghista” di Salvini.

Quindi Salvini è divenuto il tuo modello per entrare nel personaggio?

Bisogna dire che la mia immigrazione in Italia è diversa dalla solita immigrazione perché ho la fortuna d’essere un’artista. Caratterialmente sono una persona molto aperta che non ha mai avuto difficoltà a integrarsi in nessuno dei luoghi in cui è stata. Ovunque vado, parlo diverse lingue, ho un livello intellettivo rispettabile, culturalmente mi ritengo una persona molto aperta. Sono portato a seguire molto le dinamiche politico-sociali del Paese in cui mi trovo, mi piace conoscere e parlare con le persone del posto senza pregiudizi. Sono estremamente grato al teatro e all’arte in generale – la mia benedizione! – perché mi ha permesso di raggiungere una certa maturità nella vita quotidiana. Tuttavia, anch’io ho vissuto il razzismo in Italia. La mia intelligenza mi ha aiutato a superarlo. 

All’inizio ammetto di esser stato permaloso e magari alle offese rispondevo verbalmente, poi ho smesso di arrabbiarmi inutilmente, tenendo a mente che “le dita delle mani non sono tutte uguali”. Avrei potuto vivere la stessa esperienza anche in un altro Paese, perché purtroppo il razzismo è ovunque. Col tempo si acquisisce una certa maturità anche a livello mentale, e – Hamdullah! – oggi dico che queste esperienze mi sono servite. La mia interpretazione in Harga viene anche dal mio bagaglio personale che mi spinge a dare qualcosa in più al personaggio. Ho vissuto in diversi quartieri in Italia – nei Quartieri Spagnoli a Napoli come a Piazza Cordusio a Milano o al Viale Regina Margherita e Testaccio di Roma – e per questo ho potuto sperimentare diverse situazioni. In Tunisia diciamo “Dove ti mettono, ti metti”, pur mantenendo ben saldi i miei princìpi… e poi, sono stato sempre “col naso”, orgoglioso, fiero delle mie origini, e ho “obbligato” in modo educato gli altri a rispettarmi, così come io rispetto loro. Sono stato al Teatro Piccolo di Milano, al Teatro greco di Siracusa e ultimamente al Teatro Stabile di Palermo, il Teatro Biondo, ho avuto la fortuna di recitare in questi grandissimi teatri in Italia perché sì, magari sono bravo a recitare, a svolgere il mio mestiere, ma magari anche perché sono stato molto intelligente nel superare certe difficoltà che a qualcun altro avrebbero potuto rovinare. 

Il razzismo che hai portato sullo schermo, hai potuto osservarlo, oltre che in alcune occasioni viverlo sulla tua pelle?

Certo. E si potrà vedere ancora di più durante e dopo questo periodo di conflitto tra Russia e Ucraina, come – a giusta ragione – parlano degli ucraini, e come non hanno fatto e detto nulla con i siriani, con i palestinesi, con gli eritrei, i somali. C’è quindi una chiara discriminazione non solo tra il popolo ma anche da parte dei politici. Il razzismo c’è e ci sarà sempre, purtroppo. Io – come detto – mi ritengo una persona ottimista e penso che il nostro lavoro [attore e giornalista] sia quello di combattere in maniera elegante questo spirito, queste persone che sostengono queste idee…

Aymen Mabrouk sul set di riprese di Harga

È davvero così diramata e diffusa questa idea che l’Europa sia l’“Eldorado” da raggiungere? L’avevi anche tu all’inizio?

Purtroppo, fino a poche ore fa sentivo dei ragazzi in un bar che parlavano di andare in Europa in questa maniera di cui abbiamo parlato durante la nostra intervista. Sono ragazzi minorenni, 16-17 anni. Innanzitutto che ci fanno questi ragazzi nel bar, perché la legge non lo permette. Parliamo di ragazzi che hanno marinato la scuola, di ragazzi che magari appartengono a famiglie abbienti, ma per loro l’idea fissa è “andare in Europa”. Giovani che ascoltano rapper che parlano della miseria di questo Paese, dei politici incapaci, che non funziona nulla, e che per questo incoraggiano questi ragazzi ad andare via. Quindi purtroppo sì, c’è ancora questa mentalità ed è anche molto forte. Perché l’Europa per loro è il paradiso, è la “bella vita”, è dove possono lavorare, guadagnare soldi, e tornare qui [in Tunisia] potendosi permettere una vita più agiata. 

Personalmente, non ho mai pensato a una cosa del genere quando ero giovane, per diverse ragioni: uno, grazie a Dio vengo da una famiglia numerosa, siamo in 7, di cui 4 maschi e 3 femmine. Siamo cresciuti molto uniti e abbiamo la fortuna di avere un padre e una madre che hanno fatto di tutto per consentirci di studiare e amare questa terra, questo Paese. Come del resto tante altre famiglie tunisine che hanno cresciuto i loro ragazzi con princìpi da “abbassare il cappello”. Quando ero al liceo, all’età di 15-16 anni avevamo questo Club di amicizia e corrispondenza con la Norvegia, la Danimarca e la Svezia, si trattava di una sorta di scambio culturale per il quale ospitavamo a casa nostra studenti stranieri per un mese-un mese e mezzo.

Abbiamo vissuto un periodo davvero bellissimo! E in quello stesso periodo dicevamo che l’Europa era da noi. Quei ragazzi erano molto affascinati dalla nostra vita, dalla nostra quotidianità, dalla nostra semplicità di vivere le cose, per questo noi non abbiamo mai avuto il pensiero di partire alla volta dell’Europa. Pensavamo sempre e solo che dovevamo studiare e andare all’università. Almeno, la mia generazione. Infatti questi sono tutti bien placé oggi. 

Cos’è accaduto alle generazioni successive alla tua? 

Il sistema scolastico-educativo è cambiato. Questo è il grande sbaglio che ha fatto Ben Ali, secondo me. Ad oggi posso dire “meno male che ho avuto la fortuna di studiare nel sistema scolastico di Bourguiba”. Sai, la dittatura moderna è fondata su due cose: cambiare il sistema educativo-scolastico e i mass media. Se cambi queste, il popolo sarà molto povero a livello mentale e intellettuale. Ben Ali è scappato nel 2011, i nati nel 2001 avevano 10 anni, oggi hanno 22 anni e sono gli stessi che oggi vogliono scappare dalla Tunisia, gli stessi che sono andati a combattere con l’Isis in Iraq e in Siria. Sono tutti ragazzi che hanno dai 16 ai 25-26 anni, non c’è il ragazzo di 27 anni che cerca di andare in Italia così o che va a combattere con l’ISIS. Il problema sta, se andiamo a scavare a fondo, nel sistema educativo-scolastico e nei mass-media. Non ci sono più princìpi forti, non c’è più amore per questo Paese. Poi manca la stabilità politica: abbiamo avuto i cosiddetti “dieci anni neri” dei Fratelli musulmani che hanno rovinato tutto il Paese. Il 25 luglio ero con Kais Saied [quando il presidente Saied, su spinta di movimenti come il Mouvement du 25 juillet, dissolse il Parlamento e rimosse il Primo ministro Hichem Mechichi, esponente del partito Ennahda], ma oggi non sono con lui, perché ora sta andando verso una strada nuovamente autoritaria. Ma comunque sempre meglio dei Fratelli musulmani, secondo me. Oggi un chilo di mele costa 4 euro, in Italia 1,20, 1,30, 1,50 euro. Qui costa il triplo. Oggi carne, pesce, frutta e verdura costano più dell’Italia o dell’Europa. È assurdo! Noi siamo i primi produttori a livello mondiale di olio d’oliva e lo paghiamo al litro 4-5 euro. Un Paese che ha un potenziale enorme in tutti i sensi, ma con un carovita pazzesco. Allora diventa normale sentire e vedere ragazzi e famiglie con bambini pronti a partire per l’Europa. Ormai in Tunisia non c’è più la classe media, ci sono i ricchi o i poveri. Se un tempo un insegnante apparteneva alla classe media, oggi lo stesso appartiene a un livello inferiore a questa classe. È molto triste, tuttavia credo nelle persone, al futuro di questo Paese. La Tunisia è un Paese molto bello che molta gente ama. Io oggi ho un passaporto italiano e sono qui a Tozeur, ho investito tempo e denaro per creare diversi laboratori teatrali in zone che non hanno nulla, e sono riuscito a cambiare almeno l’80% della mentalità dei giovani che volevano andare in Iraq o in Siria. Tutto questo per dare un contributo a questa terra. Ok, da solo non posso cambiare il mondo, non posso cambiare queste persone, ma almeno quando poggio la testa sul cuscino, sono tranquillo. 

Ultima domanda: Perché interpreti sempre la parte del cattivo e cosa ti entusiasma di questo ruolo?

Beh…la faccia è quella, non posso fare il giudice, l’avvocato o il medico! La faccia è da trafficante di armi, spacciatore di droga, terrorista. Nella vita di tutti i giorni le persone mi chiedono come faccia a interpretare così bene i ruoli del cattivo, la questione è che mi diverte e anche che – chi mi conosce, lo sa – quei ruoli sono l’opposto di Aymen. 

Ph. Aymen Mabrouk sul set di Harga

Picture of Aymen Mabrouk

Aymen Mabrouk

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