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Libertà religiosa in Pakistan

by Michele Lipori

di Michele Lipori. Redazione Confronti

Il Pakistan moderno – e quindi come Stato indipendente dall’India – nasce il 14 agosto 1947 con l’Indian Independence Act come atto finale della “teoria delle due nazioni” che postulava che gli hindu e i musulmani che vivevano nell’Asia meridionale costituissero due nazioni distinte. Il Pakistan rimase un dominio britannico fino al 1956 quando adottò la sua prima costituzione e nella quale l’Islam era religione di Stato. Nel 1971, il Pakistan orientale ha invece dichiarato la propria indipendenza fondando lo Stato del Bangladesh.

Il Pakistan oggi è il quinto Paese più abitato del mondo, con una popolazione di quasi 242 milioni di abitanti, ed è inoltre il secondo Paese per popolazione musulmana (subito dopo l’Indonesia). L’idea secondo la quale la religione fosse un fattore determinante nella definizione della nazionalità dei musulmani indiani è stata sposata da Muhammad Ali Jinnah (avvocato e uomo politico, tra i padri fondatori del Paese). Nonostante il fatto che che la popolazione di religione musulmana rappresenti la stragrande maggioranza, nel Paese sono presenti minoranze religiose molto importanti, come l’induismo, praticato da oltre 4,5 milioni di persone la cui maggioranza risiede nella regione del Sindh, e il sikhismo, praticato da oltre 20.000 persone che risiedono perlopiù nel Punjab pakistano. Formalmente, la libertà di religione (e di conseguenza l’idea di laicità) in Pakistan è garantita dalla Costituzione del Pakistan del 1973 ma tale questione rimane ancora molto spinosa e ha avuto alterne vicende nella storia del Paese.

Basti pensare a una celebre dichiarazione di Khawaja Nazimuddin, uomo politico e secondo Primo ministro del Pakistan (1951-1953), nella quale affermava: “Non sono d’accordo sul fatto che la religione sia un affare privato dell’individuo né sono d’accordo sul fatto che in uno Stato islamico ogni cittadino abbia diritti identici, indipendentemente dalla sua casta, credo o fede”.

Ordinanze di Hudood
Gli emendamenti alla Costituzione apportati durante il processo di islamizzazione attuato dal presidente Muhammad Zia-ul-Haq – che instaurò una dittatura militare del 1977 al 1988 – hanno portato alle cosiddette Ordinanze di Hudood (1979) che, oltre a prevedere pene mirate al contrasto del gioco d’azzardo e al consumo di alcol, hanno reso penali il reato di adulterio e fornicazione, prevedendo punizioni che comprendevano fustigazioni, amputazioni e la condanna a morte per lapidazione. Il testo di tali ordinanze è stato fortemente revisionato solo nel 2006 attraverso il Women’s Protection Bill

Legge sulla blasfemia
La legge in Pakistan prevede dei limiti alla libertà di parola per quanto riguarda la religione. È infatti fatto divieto esprimere opinioni in opposizione all’Islam e pubblicare dichiarazioni e articoli che suonino come un attacco all’Islam o ai suoi profeti. Il codice penale pakistano prevede la pena di morte o l’ergastolo per chiunque profani il nome di Muhammad, l’ergastolo per chiunque dissacri il Corano e fino a 10 anni di reclusione per chiunque insulti le credenze religiose di un cittadino pakistano. Ong come Amnesty International registrano ancora oggi numerosi casi in cui la legge sulla blasfemia viene usata dal governo per limitare il diritto di espressione ad alcune minoranze politiche e religiose, come nel caso dei seguaci dell’Ahmadiyya (vedi scheda).

Lo status dei non-musulmani
Il sistema giudiziario comprende diversi sistemi (civile, penale e islamico) con giurisdizione sovrapposta e talvolta in competizione. La corte federale della sharia e il tribunale della sharia della Corte suprema (i cui membri devono essere di religione islamica) fungono da tribunali d’appello per alcune condanne penali (come regolamentato dall’Ordinanza di Hudood). Il tribunale federale della sharia può anche ribaltare qualsiasi legislazione giudicata incompatibile con i princìpi dell’Islam. Alcuni reati sono classificati come “civili” (tazir), altri (tra cui molti di quelli contemplati nelle Ordinanze di Hudood), sono classificati come “coranici” (hadd).Entrambi i casi vengono discussi nei tribunali penali ordinari ma nei casi hadd vengono applicate regole speciali che di fatto sono a svantaggio dei non-musulmani. Ad esempio, un non-musulmano può testimoniare solo se anche la vittima non è musulmana. Allo stesso modo, la testimonianza di donne, musulmane o non musulmane, non è ammissibile per i casi hadd.

L’ahmadiyya in Pakistan (scheda)
L’ahmadiyya ritiene di incarnare il messaggio islamico nella forma più pura. Il fondatore è stato inviato direttamente da Dio allo scopo di rivitalizzarne il messaggio originario, opera che continua attraverso l’istituzione del califfato. Per tali ragioni i rapporti con i musulmani sono sempre stati conflittuali, anche perché è in seno all’Islam che proviene la maggioranza dei convertiti.

Le opposizioni maggiori si ebbero soprattutto a partire dalla fondazione del Pakistan del 1947. Nonostante molti ahmadi fossero fra i sostenitori del nascente stato e inizialmente prosperarono e raggiunsero molte posizioni governative e militari di alto rango (anche in virtù dell’alto tasso di alfabetizzazione) intorno al 1953 scoppiarono rivolte anti-ahmadi in tutto il Paese tanto da dover ricorrere alla legge marziale. Pur isolati i violenti, col passar del tempo presero sempre più piede gruppi e partiti apertamete anti-ahmadi, tanto che il 7 settembre 1974 il governo del Pakistan, sotto Zulfiqar Ali Bhutto, approvò il secondo emendamento della Costituzione del Pakistan che dichiarava apertamente che gli ahmadi non erano musulmani. Inoltre nel 1984 fu promulgata un’altra ordinanza anti-ahmadi inserita nella costituzione: nella cosiddetta “Ordinanza XX” viene stabilito che gli ahmadi non possono chiamarsi musulmani o “comportarsi come musulmani”.

Questa legge, di fatto, vieta gli ahmadi di praticare pubblicamente la fede islamica, di costruire moschee e effettuare la chiamata alla preghiera (adhan). È inoltre loro vietato di pregare alla maniera degli altri musulmani, di entrare – a scopo di preghiera – nelle moschee non-ahmadi o in sale di preghiera pubbliche. La punizione per chiunque infranga queste regole è la reclusione fino a tre anni e il pagamento di una multa. Sono puniti anche i non-ahmadi che si rivolgano a un fedele dell’ahmadiyya salutandolo o appellandolo alla maniera islamica. Gli ahmadi, che si autoidentificano come musulmani e osservano le pratiche islamiche, sostengono che l’ordinanza criminalizza la loro vita quotidiana.

A causa di tali limitazioni, che ancora oggi sfociano in attacchi violenti, l’ahmadiyya ha spostato il suo quartier generale a Londra, città dove risiede anche il califfo Hazrat Mirza Masroor Ahmad.

Ph. Abuzar Xheikh

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Michele Lipori

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