di Amarilda Dhrami. Giornalista
Dopo l’inizio della guerra civile in Siria, la famiglia di Mervat decise di andare in Libano e costruirsi una nuova vita. Mervat tenta una strada indipendente, senza successo. Nel 2016 Mervat e la sua famiglia arrivano in Italia attraverso un corridoio umanitario promosso dalla Federazione delle Chiese evangeliche valdesi e dalla comunità di Sant’Egidio.
«Dicono che il tempo si fermi, ma non è vero nulla. Il tempo inizia a scorrere velocemente. Una corsa continua, ad ogni bomba che cade, un giro di telefonate velocissimo per assicurarsi che tutti quelli che conosci, i tuoi amici, i tuoi cari stanno bene».
«Non sempre c’è il lieto fine in quelle telefonate. C’è stata una notte in cui la mamma di un paio di miei amici era molto preoccupata. Non voleva farli uscire perché era una notte pericolosa. Quella notte la bomba è caduta proprio nella stanza dove dormivano i figli», ci racconta Mervat. Cosa ha mai fatto di male una madre per vivere una cosa del genere? Perché deve continuare a vivere con i sensi di colpa, di una colpa che non è sua.
Avere 20 anni, una vita davanti a sé, sogni, speranze. Vedere tutto frantumarsi in mille pezzi. Ci sono cose che non si scordano mai. Così come non si scorda mai quella prima volta in cui aprendo la finestra di casa ci si è ritrovati scaraventati indietro di qualche metro. Era la prima bomba che cadeva nel quartiere dove viveva Mervat ad Aleppo.
15 marzo 2011 una data come tante altre nel mondo che hanno segnato l’inizio di qualcosa di orribile. Vite stravolte all’improvviso da un giorno all’altro. Si potrebbe parlare molto della crudeltà, del non umano che c’è in chi decide di fare una guerra, di chi decide deliberatamente di lanciare bombe a grappolo anche lì dove la vita scorre normalmente, dove i giovani vanno all’università, i bambini giocano sorridenti, gli artigiani o i medici lavorano o semplicemente dove due innamorati passeggiano tenendosi per mano. Si potrebbe parlare tanto dei carnefici, forse però bisogna parlare di quelli che non sono carnefici e che non lo diventeranno mai nonostante tutti i torti subiti. Alla favola dell’essere umano che nasce cattivo e con gli istinti animali che vanno tenuti a bada non ci crede più nessuno.
La verità è che gli esseri umani sono meravigliosi, riescono a superare situazioni difficilissime senza perdere la propria umanità, mantenendo la bellezza e vitalità con cui nascono. Solo così possono rifiutare il non umano, ricercando sempre quei rapporti belli con gli altri esseri umani. Vengono in mente due opere meravigliose: Joie de vivre di Matisse e di Picasso. Forse per la vitalità che questi due artisti avevano per realizzare due opere così o forse per la vitalità che c’è dentro queste opere.
Dopo l’inizio della guerra civile in Siria, la famiglia di Mervat decise di andare in Libano e costruirsi una nuova vita. «Io decisi di rimanere in Siria e andai a Latakia, una città che dà sul mare Mediterraneo, nonostante i miei genitori non volessero. Dovevo finire l’università, non potevo non finirla» racconta Mervat. Per due anni rimase da sola a studiare finché in uno dei viaggi di ritorno dal Libano verso la Siria che Mervat faceva per andare a trovare i genitori, rischiò di essere rapita. A quel punto i genitori la costrinsero a rimanere in Libano. «Non volevo stare in Libano perché lì avevo poche possibilità di continuare l’università, volevo andare via. Con un mio amico avremmo voluto andare in Olanda passando dalla Turchia. Il viaggio sarebbe stato tramite aereo o in barca. Avendo io gli occhi azzurri, pagando, avrei anche potuto prendere un volo e passare inosservata». Non è stato così, i genitori scelsero di venire in Italia attraverso un corridoio umanitario promosso dalla Federazione delle Chiese evangeliche valdesi e dalla comunità di Sant’Egidio. Così nel 2016 tutta la famiglia arrivò in Italia.
Abbiamo incontrato Mervat per la prima volta in quell’occasione, erano appena arrivati in Italia. La loro vita era stata stravolta per l’ennesima volta. Quello che colpiva di Mervat erano i suoi grandi occhi azzurri. Occhi luminosi e ben aperti sulla nuova vita che l’aspettava. Si è rimboccata le maniche, ha imparato l’italiano e ha ottenuto una borsa di studio all’università di Ferrara. L’anno scorso si è laureata in Lettere e quest’anno si è iscritta alla magistrale.
Il suo permesso di soggiorno viene rilasciato per asilo politico. Qualcuno pensa che il suo status di rifugiato sia un privilegio. Eppure non avere un documento “normale” le rende sempre la vita difficile. «Anche per richiedere un certificato di nascita devo passare per l’Unhcr, oppure c’è chi pensa che essendo rifugiata è stato facile ottenere la borsa di studio. Non è stato così, mi sono impegnata tanto per ottenerla». Il percorso è stato faticoso, ma Mervat non si è arresa, così come non si arrende oggi perché nonostante il traguardo della laurea, nonostante il suo passato è pronta per nuove sfide.
Questi sono gli esseri umani belli, le donne belle. Quelle che nonostante tutto, vanno avanti e cercano di realizzarsi e che vogliono fare sempre meglio, separarsi dal passato senza rabbia. Come si riconoscono? Dalla gioia di vivere che hanno negli occhi.
Ph. Latakia © Bader Jaber / CopyLeft
Amarilda Dhrami
Giornalista