La macchina della memoria e della rappresentazione - Confronti
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La macchina della memoria e della rappresentazione

by Rando Devole

di Rando Devole. Sociologo

Per il film La macchina delle immagini di Alfredo C. di Roland Sejko, prodotto e distribuito da Luce-Cinecittà, la storia di Alfredo, un cineoperatore italiano che ha lavorato in Italia durante il fascismo e poi in Albania durante il Comunismo, è un’eccezionale chiave di lettura per leggere ed interpretare tanti fenomeni, tra cui il nostro rapporto con la memoria, la storia, il totalitarismo, la propaganda, e così via.

La storia dell’operatore cinematografo, interpretato magistralmente da Pietro De Silva, viene raccontata tramite i ricordi del protagonista, che appartiene a quel gruppo di italiani che dopo l’occupazione dell’Albania nel 1939 si trasferiscono nel Paese balcanico per motivi di lavoro. Dopo la liberazione dell’Albania (novembre 1944), più di un anno dopo la capitolazione dell’Italia fascista, nel Paese si trovano circa 27 mila cittadini italiani. Tra tanti operai, tecnici, coloni, religiosi e impiegati c’è anche Alfredo, il quale ha lavorato con la sua cinepresa per la propaganda del regime fascista. Il regime comunista, appena instaurato, è a corto di tecnici operatori e quindi costringe Alfredo a lavorare per la propria propaganda. 

I ricordi del cineoperatore vengono ricostruiti innanzitutto da un’esigenza interiore («Devo vedere tutto prima che sia tardi»), con l’aiuto di una vecchia moviola e un vecchio proiettore, due strumenti in grado di proiettare le riprese effettuate negli anni della Seconda guerra mondiale. Il personaggio si muove tra i chiaroscuri del magazzino, pieno di vecchi filmati, in un ambiente quasi onirico, nella ricerca di immagini e ricordi rimossi, nello sforzo di mettere ordine e dare un senso compiuto alla (propria) storia. In questo sforzo di ricostruzione lo aiuta la macchina delle immagini, il cui rumore, così come i nomi usciti dall’archeologia meccanica di altri tempi (rullo folle, lanterna, specchietto di messa a fuoco, piccole finestre…) immergono lo spettatore in un’altra dimensione storica. 

Dai movimenti si evince che le mani appartengono ad un tecnico molto esperto, che conosce a fondo i dettagli meccanici della cinepresa, ma i ricordi e le sue osservazioni dimostrano che è anche un ottimo conoscitore della macchina propagandistica. Ad esempio, quando cerca di capire come funziona la catena fatta di ricordi, immagini, persone, eventi, oppure quando spiega che si tratta di «24 fotogrammi per 1 secondo di illusione» e che «la cinepresa attiva gli sguardi». Anche l’immagine gigantesca della scritta del Duce “La cinematografia è l’arma più forte” significa tanto.

Il viaggio tra i piccoli e grandi segreti della sua professione è impressionante. Al re non andava essere inquadrato accanto ai corazzieri, a Mussolini bisognava evidenziare la mascella riprendendolo dal basso, ma mai di spalle, davanti a Hitler in visita a Napoli sono passate due volte le stesse navi. Poi c’è l’arte di riprendere la folla e le parate, che attiravano più cineprese di Mussolini stesso. Infine, il segreto dei segreti: «La mia macchina è capace di dare apparenza di realtà a tutto». Infatti, molte scene, persino quelle dell’occupazione dell’Albania, oppure delle folle festeggianti, sono fondamentalmente finzione. Anche il lavoro in Albania era simile, nelle riprese del Comandante Enver Hoxha (che non si lamentava di essere filmato alle spalle) così in quelle delle folle e dei contadini “felici”.

Il film ci riporta in luoghi cult di Tirana di allora: alcuni sopravvissuti, altri scomparsi. La Taverna dell’Orologio ad esempio, vicino alla Moschea, che era frequentata solo da italiani e da dove inizia la nuova avventura del cineoperatore italiano. 

Non mancano momenti divertenti di pura ironia come la storia immaginaria dei possibili scambi tra ostaggi italiani e reperti archeologici, momenti drammatici come la storia dei soldati italiani mandati a combattere in Grecia (20mila morti in cinque mesi), toccando persino aspetti macabri di ossa e teschi rotolanti, e momenti commoventi come la storia della cenere di Vesuvio. Tante metafore nel film. Ma cosa significheranno quelle pellicole ancora candide? Innocenza prima di essere impresse, riciclaggio dopo l’uso, oppure perdita della memoria? Il rumore delle cineprese di una volta appartiene alla storia. Ma il passaggio al digitale di oggi ha cambiato le cose in modo sostanziale? Tra decine di anni ci sarà qualcuno nel mondo che cercherà negli hard disk per spiegarci la macchina delle immagini? E cosa significa la lanterna sul comodino, quel magico dispositivo che assomiglia al caleidoscopio e che basta ruotarlo per creare un mondo di sogni?

La ricerca del cineoperatore tra le sue pellicole continua con pazienza. Trova immagini terribili dell’Albania totalitaria: arresti, tribunali, imputati, fucilazioni, impiccagioni, ma anche tamburi, bandiere, parate, folle. Vengono condannati anche italiani. I morti saranno rimpatriati per ultimi. 

Infine, con i dovuti distinguo, La macchina delle immagini di Alfredo C. di Roland Sejko sta al documentario come Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore sta al cinema (stranamente anche il cinematografo siciliano si chiamava Alfredo), perché in sostanza si tratta di una sincera dichiarazione d’amore per gli artigiani della cinepresa, per quel lavoro invisibile in quanto dietro la telecamera, ma che conosce perfettamente il meccanismo della rappresentazione mediatica.

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Rando Devole

Sociologo

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