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di Nadia Angelucci

Un modello di gastronomia “sostenibile” in America latina

di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.

Secondo il Popol Vuh, l’umanità è stata creata a partire da un impasto di grani di mais. Proprio dal riconoscimento della gastronomia latinoamericana come “figlia del mais” nasce la passione di Esteban Tapia, chef, ricercatore e militante della gastronomia “sostenibile”, parte integrante del movimento Slow food in America latina.

«Il sole era quasi sorto quando quattro animali, la volpe, il coyote, il pappagallo e il corvo, si presentarono agli dèi e li accompagnarono in un luogo dove cresceva molto mais giallo e bianco. Gli dèi iniziarono a plasmare questo cibo, che divenne il sangue e la carne degli esseri umani».

Secondo il Popol Vuh, il libro sacro dei Maya, l’umanità è stata creata a partire da un impasto di grani di mais, una massa molto simile a quella che viene utilizzata ancora oggi per cucinare le famose tortillas messicane. Nella cosmogonia maya il mais è un elemento non solo fisico ma anche simbolico che apre una finestra sull’umanità, sulle esistenze delle persone e sui loro modi di vivere, di entrare in contatto con il mondo circostante e con l’“altro mondo”, quello della spiritualità.

Non stupisce quindi che Esteban Tapia, chef, ricercatore e militante della gastronomia “sostenibile”, parte integrante del movimento Slow food in America latina, inizi a raccontare la sua passione per la cucina definendo la gastronomia latinoamericana  come “figlia del mais” e ricordando che all’interno di alcune statuette femminili della cultura valdivia, propria della costa ecuadoriana, è stato ritrovato un chicco di mais, simbolo di fertilità e divinità.

Tapia fa risalire la propria passione per la cucina all’infanzia, e in particolare all’atmosfera respirata nella grande cucina della sua casa in cui «passava quotidianamente tutta la mia famiglia allargata e trovava, a ogni ora del giorno e della notte, cibo pronto, preparato con amore da mia nonna, e compagnia. La nostra cucina era il luogo in cui avvenivano le cose più interessanti, si discuteva, si prendevano decisioni, ci si divertiva».

Quando il bambino che assiste al miracolo degli alimenti trasformati in un cibo che nutre e unisce le persone cresce, quella cucina è ormai parte integrante della sua identità e malgrado una laurea in Economia la scelta di dedicarsi al cibo e a tutto quello che ruota intorno agli alimenti è presto fatta.

Dopo varie esperienze come cuoco in grandi hotel all’Avana e nel Sud della Francia, ed esperienze in grandi aziende in cui il mestiere di chef sembrava destinato alla preparazione di quantità industriali di cibo in una linea di produzione simile a quelle delle fabbriche, Tapia prende la decisione di dedicarsi alla cucina sostenibile e alla valorizzazione degli alimenti, grani e semi antichi.

«Quello che mi piace di più è cucinare un alimento del quale conosco la storia, la provenienza, il modo in cui è stato coltivato, chi l’ha curato e portato nelle nostre cucine. Per me è fondamentale poter raccontare a chi mangerà da dove arriva la materia prima e qual è la sua storia».

Per questo si unisce al movimento Slow food e si definisce attivista dell’etnogastronomia specificando la vocazione fortemente sociale che assume in America latina il movimento nato in Italia: «la cucina mette in campo diverse strutture dell’attività umana, sia dal punto di vista emotivo – legato al gusto, al piacere, ai ricordi –, che dal punto di vista della salute influenzando la diversificazione delle diete, centrando l’attenzione sulla salute ma anche sull’ecologia.

E poi c’è un aspetto politico ed economico che è legato alle filiere di commercializzazione, alla giusta retribuzione per chi lavora. Credo che chi studia per diventare chef debba affrontare e prendere coscienza di tutte queste questioni e per questo porto sempre i miei studenti in campagna per fargli conoscere la terra, le dinamiche di coltivazione e di trasformazione del cibo, le problematiche di cui si occupa di agricoltura».

Problematiche che sempre più spesso si intrecciano con modelli di sviluppo basati sullo sfruttamento delle risorse: «credo che un cuoco debba essere anche e soprattutto un attore sociale, per questo sono attivista anche nelle campagne contro lo sfruttamento minerario che, ad esempio qui in Ecuador, va a intaccare un ecosistema delicatissimo da cui dipende la nostra sicurezza alimentare.

Oggigiorno le persone consumano gli alimenti senza conoscere chi li produce e soprattutto senza conoscere le condizioni in cui vivono e lavorano le persone che producono gli alimenti. Contadini, pescatori, braccianti, allevatori sono le persone più importanti delle nostre vite – dice Esteban Tapia – sono coloro che ci permettono di nutrirci, che rendono possibile la sovranità e la sicurezza alimentare».

Ph. © Sharjeel Khailid via Unsplash

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Nadia Angelucci

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