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Joe, make Trade not War!

by Raul Caruso

Gli accordi commerciali aiutano ancora a evitare la guerra?

di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

Se nella classica impostazione liberale il commercio è inteso come una forza pacificatrice nella relazione tra commercio internazionale e conflitti armati, oggi tale strategia è condivisibile a patto che nelle interlocuzioni i vari Stati rafforzino opportunità e impongano vincoli desiderabili ai Governi.

Uno dei temi classici nello studio della pace è la relazione tra il commercio internazionale e i conflitti armati tra Stati. Secondo la classica impostazione liberale il commercio sarebbe una forza pacificatrice. Kant, in particolare, nel libro Per la pace perpetua, espone l’idea secondo cui l’estensione dello spirito del commercio avrebbe favorito la progressiva eliminazione delle guerre: «È lo spirito del commercio che non può convivere con la guerra, che prima o poi si impadronisce di ogni popolo. Infatti, dato che di tutte le forze (i mezzi) subordinate al potere dello Stato la potenza del denaro potrebbe essere quella più sicura, allora gli Stati (certo nient’affatto spinti dalla moralità) si vedono costretti a lavorare in favore della nobile pace». Montesquieu, nello Spirito delle leggi, precisava che deve esistere una relazione tra un assetto politico repubblicano e la propensione all’apertura commerciale. In altre parole, un assetto istituzionale repubblicano tenderà a privilegiare il commercio, evitando nel contempo politiche mercantiliste.

La tesi liberale aveva come presupposto teorico il risultato dell’economia classica risalente ad Adam Smith e David Ricardo secondo cui lo scambio produce un mutuo vantaggio per le parti. In breve, il commercio internazionale e l’interdipendenza economica diminuiscono i conflitti armati tra Stati in virtù del fatto che i costi di interruzione delle relazioni economiche diverrebbero proibitivi.

La recrudescenza del conflitto in Ucraina ha però anche dimostrato che nell’analizzare l’impatto del commercio sulla pace, non può dimenticarsi anche la lezione di Albert Otto Hirschman che ammoniva in merito al fatto che il commercio possa generare un’asimmetria tanto che poi questo possa essere utilizzato come strumento politico.

Ogni Stato, infatti, ha il potere di influire su un altro Stato grazie alla minaccia di interrompere le relazioni commerciali. In sostanza, «il potere di interrompere le relazioni commerciali e finanziarie con un qualsiasi Paese, considerato come un attributo della sovranità nazionale, è la causa primaria della condizione di influenza o di potenza che un Paese acquisisce nei confronti di un altro». Il ricatto russo nei confronti dei Paesi occidentali in merito al gas naturale rende evidente che Hirschman non aveva torto. Hirschman si ritrovava quindi in linea con un’idea sostenuta solo pochi anni prima anche da Keynes nel famoso Le conseguenze economiche della pace, vale a dire l’opportunità di limitare la sovranità degli Stati nell’ambito delle politiche commerciali. La storia dell’integrazione europea depone decisamente a favore di questa idea.

Di questa lezione dovrebbero far tesoro Joe Biden e Xi Jinping adesso in cui si riaprono i negoziati per rimuovere le tariffe imposte da Trump. Sebbene il dialogo tra Washington e Pechino sia da accogliere con ottimismo, deve comunque evidenziarsi che esso prende forma come interlocuzione bilaterale e quindi non in seno a un’istituzione.

La preoccupazione è che accordi commerciali bilaterali in cui gli Stati non limitano la propria capacità nella politica commerciale potrebbero risultare meno efficaci in termini di costruzione della pace. In questa prospettiva, aveva fatto bene, infatti, Obama nel 2014 a provare un maggiore dialogo partendo dall’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), l’organismo di cooperazione fondato per favorire la cooperazione economica nell’area del Pacifico. Oggi, in uno scenario in cui il dialogo e la cooperazione internazionale arrancano, ripartire dal commercio e dall’integrazione economica è una strategia razionale e condivisibile per tutti gli Stati a patto che a tali interlocuzioni seguano poi nuove istituzioni che rafforzino opportunità e impongano vincoli desiderabili ai governi.

 

Ph. Cargo ship © Ian Taylor via Unsplash

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Raul Caruso

Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana

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