di Mariangela Di Marco. Giornalista.
Audace, potente, diplomatica. La Repubblica marinara di Amalfi, oggi provincia di Salerno, ha avuto un ruolo rilevante nelle trasformazioni socio-politiche del Mediterraneo, un mare divenuto allo stato attuale simbolo di grandi divergenze: da un lato, un Nord capace di generare prosperità e sicurezza – e grande marginalità –, dall’altro un Sud dilaniato da tensioni politiche e tumulti sociali. Non è stato sempre così: per molti secoli la condizione è stata opposta e Amalfi seppe dialogare fruttuosamente con tutte le prode mediterranee attraverso la sua politica mercantile.
I viaggiatori musulmani che a ridosso del Medioevo si recarono a Roma per ammirarne le ricchezze, trovarono un’Europa ben diversa dalle città da cui provenivano: foreste, paludi, ovunque castelli per difendersi dai nemici, piccoli centri urbani autosufficienti nel loro isolamento, una società principalmente latifondista e depressa in cui il livello di vita, d’istruzione e di suddivisione del lavoro era ridotto al minimo. L’Arufa, l’Europa, come il geografo al-Ḥamdānī indicava questo quadrante del mondo, doveva apparire davvero malandata agli occhi degli uomini che giungevano dalla civiltà dell’hammam (le terme), delle fontane, dei profumi e con livelli di cultura e di istruzione progrediti, appresi dalla civiltà ellenica, cinese e indiana: astronomia, matematica, filosofia, medicina.
Tra il 950 e il 1300, la situazione del Nord del Mediterraneo cambiò: le città fiorirono, la demografia aumentò, i commerci e i mercati tornarono a vivere. E si dialogò con l’altra parte del Mare Nostrum. Lo fecero per prime le città marinare, come Amalfi, che, favorita dalla sua posizione geografica, già nel VII secolo conobbe un vivace sviluppo marittimo e commerciale tra Occidente europeo e Oriente bizantino, di cui formalmente fece parte, mantenendo di fatto una certa indipendenza che le consentì di formare un solido asse commerciale e politico con i musulmani del Maghreb e partecipando allo stesso tempo alle lotte contro la crescente flotta musulmana e le sue scorrerie.
“Verso l’anno 875 – scrive lo storico arabista Michele Amari in Storia dei Musulmani di Sicilia (1854) – i musulmani ricominciarono nell’Italia meridionale due guerre al tutto diverse, nell’una assaliti, nell’altra assalitori: nell’una operavano dal golfo di Taranto per difendere dai Bizantini gli avanzi di loro colonie; nell’altra fean base dei golfi di Salerno, Napoli e Gaeta per depredare tutta la Campania e Roma”.
Navi amalfitane si batterono quindi nell’846 a largo di Punta Licosa, in Cilento, e nell’849 nelle acque di Ostia, alle porte del Sacro Romano Impero, oscillando tra papato e musulmani. Un rapporto divenuto troppo ambiguo agli occhi di Papa Giovanni VIII che scomunicherà, nell’879 il vescovo, il prefetto e l’intera popolazione di Amalfi perché troppo vicini agli infedeli arabi. Grazie alla perizia dei suoi mercanti e dei suoi marinai, la Repubblica marinara ottenne privilegi per costruire fondachi e aprire banche a Tunisi, Tripoli, Alessandria d’Egitto. Fondò ospizi per pellegrini e viaggiatori in molti centri del Mediterraneo; costruì un ospedale persino a Gerusalemme per concessione del califfo egiziano. Divenne inoltre socia privilegiata in affari con l’imperatore d’Oriente, ampliati quando Venezia iniziò a sottrarsi al potere di Costantinopoli.
Il geografo arabo Ibn Hawqal la descrisse come “la più prospera città della Langobardia – nome dato dall’impero bizantino alla circoscrizione del Sud Italia –, la più nobile, la più illustre per le sue condizioni, la più agiata e opulenta”, dove per le strade “si incontrano mercanti arabi, libici, siriani ed ebrei”. Godette anche dell’esenzione dei dazi nei porti bizantini, determinando un notevole afflusso di famiglie amalfitane a Costantinopoli, fino a occupare, nel XI secolo, un intero quartiere raggruppato intorno a tre chiese latine. Certo, in generale, i rapporti tra cattolici, musulmani e greco-ortodossi crearono una contrapposizione costante, ma in concreto seppero relazionarsi in modo costruttivo.
Paradossalmente, ad Amalfi non esisteva la categoria del mercante, benché, come spiegava lo storico locale Matteo Camera, ogni abitante dei territori della costiera aveva “un piede nella barca e uno nella vigna”. Fu solo intorno al 1500 che la mercatura venne professionalizzata e organizzata in corporazioni. Anche la navigazione amalfitana è impregnata di influenze orientali: durante la Repubblica di Amalfi, le navi mercantili venivano costruite sugli arenili, indicati con il termine “scaria”, dal bizantino eskàrion, una sorta di cantiere navale all’aperto, mentre quelle da guerra erano realizzate nell’Arsenale, dall’arabo dār al-ṣinā’a, “la casa del mestiere”, oggi un ricco museo visitabile. I modelli dei mezzi di navigazione erano riprodotti su quelli romani, arabi e bizantini.
Basta percorrere le strade dei centri urbani della Costiera amalfitana – Patrimonio dell’Unesco dal 1997 – per comprendere quanto questi scambi siano stati non solo economici e quanto abbiano influenzato l’arte, l’architettura e la cultura nel suo complesso, portando le maestranze e non solo, in alcuni casi a emulare e in altri a trasformare le conoscenze acquisite in proprio bagaglio culturale, dando luogo a una commistione di tecniche e linguaggi diversi i cui elementi si integrano e si fondono in una originale unità stilistica.

Archi acuti e intrecciati, motivi architettonici tipicamente islamici, sono presenti, ad esempio, nelle dimore delle famiglie nobili, come Villa Rufolo situata a Ravello, uno dei tredici comuni della Costiera, che aderisce ai canoni di un palazzo di tipo islamico, scandito da un impianto termale e da spazi rigorosi dove i giardini realizzano un raccordo costante tra i diversi cortili e le sale. Anche questa divisione delle abitazioni è di matrice islamica. Una concezione architettonica che deriva non solo dai rapporti mai interrotti con i musulmani, ma anche, nello specifico, dai rapporti dei Rufolo, principi-mercanti prosperosi, con la colonia musulmana di Lucera, in Puglia, creata da Federico II di Svevia.
Peculiari esempi di archi intrecciati sono inoltre il chiostro del Paradiso all’interno del Duomo di Amalfi e il suo campanile, dove raggiungono una estrema raffinatezza mediante l’impiego di maioliche gialle e verdi. Quello dell’arco intrecciato è un ornamento presente in Nord Africa, dove tra il 900 e il 1050 Amalfi esportava grano, legna, vino, frutta oltre ad attrezzature navali in Egitto e in Nord Africa, terre che intorno al Mille soffrirono molte carestie. Da Alessandria e da Il Cairo, Amalfi importava olio, cera, spezie e oro, e poi con l’oro comprava a Bisanzio oggetti d’arte e merci orientali, che poi rivendeva in Italia o scambiava nella Spagna musulmana.
Lo stesso Duomo amalfitano, dedicato a Sant’Andrea, mostra un altro gioiello artistico, simbolo questa volta degli scambi con i bizantini: le porte di bronzo. Vengono donate alla città nel 1066 dalle potenti famiglie amalfitane dei Mauro e dei Pantaleone insediate a Costantinopoli e realizzate dopo lo Scisma d’Oriente del 1054 durante il quale Amalfi e la sua Chiesa svolgono un’importante opera di mediazione tra cattolici e ortodossi mettendo in salvo molte vite, mostrando ancora una volta la propria potenza diplomatica. Sul portale sono rappresentate, affiancate da simboli greci, quattro figure, incise su placche di argento: il Cristo e la Vergine in alto e in basso Sant’Andrea, fondatore degli ortodossi, che anticipa San Pietro, simbolo del cattolicesimo.
Un secolo e mezzo dopo, le reliquie di Sant’Andrea giungeranno nel Duomo di Amalfi, dove tutt’oggi sono custodite. Le stesse valvee di bronzo saranno le prime di sette arrivate in Italia da Bisanzio destinate a importanti edifici religiosi: Montecassino nel Lazio, San Paolo fuori le Mura a Roma, Monte Sant’Angelo in Puglia, San Marco a Venezia, Atrani, altro comune della Costiera amalfitana, e Salerno. È importante sottolineare che dopo un lungo periodo di assenza, l’arte del bronzo in Italia rinasce grazie al mecenatismo amalfitano che dà luogo a un ciclo di vitalità artistica che emula la lavorazione bizantina e che crea le porte delle cattedrali di Canosa, in Puglia, di Benevento e di Ravello.
Influenze orientali si rilevano anche negli amboni delle cattedrali di Amalfi, Ravello, Scala, intarsiati da finissimi mosaici, alcuni di ceramica invetriata, la stessa divenuta nel tempo prodotto peculiare di Vietri sul Mare, altro comune della Costiera amalfitana. Le scorgiamo negli stipiti degli stessi edifici religiosi la cui iconografia rimanda ai tessuti che la città marinara importava da Bisanzio e Gerusalemme, nelle case rurali e nelle piccole chiesette coperte da cupole che si confondono tra i terrazzamenti acclivi delle coltivazioni di limoni, arrivati nel Sud Italia grazie agli arabi e si aggiungono alla curiosità e ai valori di scambio della Repubblica marinara che hanno permesso alla sponda Nord del Mediterraneo di crescere e proliferare.
Ph. Arsenale della Repubblica Marinara di Amalfi © Trapezaki via Wikimedia Commons

Mariangela Di Marco
Giornalista