Nell’XI Assemblea generale del CEC nessuna pronunciazione sul sostegno della Chiesa ortodossa russa all’aggressione militare.
di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.
Nonostante le dense discussioni su diritti (non solo di genere) e ambiente, durante l’XI Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, svoltasi a Karlsruhe (Germania) dal 31 agosto all’8 settembre 2022, non c’è stata nessuna pronunciazione ufficiale sul fatto che la più grande delle Chiese che la compongono abbia sostenuto un’aggressione militare.
L’Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese ha scelto di non pronunciarsi su un punto che molti e molte ritengono rilevante: che cioè la più grande delle proprie Chiese membro abbia sostenuto e benedetto un’aggressione militare. Naturalmente ci viene spiegato che la guerra è una brutta cosa e fa soffrire le persone; forse qualcuno dirà che già l’uso della parola “guerra” è coraggioso o addirittura “profetico”. Per un’assemblea cristiana, però, il punto riguardava il modo di esprimere la fraternità (il linguaggio inclusivo non è necessario, perché le gerarchie ortodosse, come quelle cattoliche, sono esclusivamente maschili) con chi ha utilizzato il “Nome di Dio” per puntellare un’azione assassina. Lo hanno detto benissimo i teologi e le teologhe delle Chiese ortodosse che si sono pronunciati contro l’ideologia del “Mondo russo”.
Come si manifesta la solidarietà in Cristo in un caso del genere? Forse, la composizione e la natura di un’assemblea come quella di Karlsruhe non erano adatte a un simile passo: già tematizzare tale impossibilità potrebbe essere, per l’ecumene cristiana, un passo significativo.
In apertura dell’incontro, il presidente della Repubblica Federale, Hans-Walter Steinmeier, evangelico, aveva cercato di porre il problema in termini pertinenti dal punto di vista ecclesiale: si trattava, a suo parere, di «dire la verità» a una Chiesa che ha sbagliato. Secondo alcuni, egli ha parlato come politico. In realtà, si è espresso essenzialmente come cristiano tedesco, proveniente da una storia tragica, che però ha conosciuto un nuovo inizio.
Sul sito della Chiesa ortodossa russa si può leggere un commento sprezzante al discorso del presidente: come da copione. Meno scontato è il fatto che quel testo possa affermare, a quanto pare con qualche ragione, che l’Assemblea, nel suo insieme, abbia respinto l’invito di Steinmeier. Il contributo di coloro che i clericali di tutte le risme chiamano “laici” e “laiche” è sempre invocato retoricamente: quando però arriva, nei sinodi cattolici come nelle assemblee ecumeniche, può essere solo decorativo.
Un autorevole partecipante italiano all’incontro ha rilevato, con dolore, precisamente questa difficoltà di pronunciare insieme parole di verità (non solo, egli afferma, a proposito della situazione in Ucraina). Si tratta – ripetiamolo ancora – di una difficoltà del tutto comprensibile; se però ci si rassegna a considerarla inevitabile, il rischio è di condannare all’irrilevanza il linguaggio e le dichiarazioni delle Chiese. E in effetti, se si guarda alla stampa italiana, non può dire che l’eco dell’assemblea tedesca sia stata particolarmente avvertibile. Sempre e solo colpa della fissazione italiota sul Vaticano? Altri hanno affermato che l’insistenza critica sul sostegno ideologico della Chiesa russa alla politica guerrafondaia del nuovo zar rappresenta una specie di ossessione eurocentrica: il mondo è pieno di guerre, come mai tanta passione per una soltanto tra queste?
Si potrebbe osservare che l’inventore dell’espressione “Guerra mondiale a pezzi”, il pontefice romano, non si è fatto scrupolo di rivolgersi direttamente a Kyrill chiamandolo “chierichetto” di Putin: non c’è alcuna incompatibilità tra i due aspetti e strumentalizzarne uno per giustificare l’omertà sull’altro è operazione piuttosto discutibile. Detto questo, la dichiarazione conclusiva di Karlsruhe, per quanto riguarda la tragedia ucraina, non è indifendibile. Anzi, è fatta apposta per raccogliere l’unanimità, esattamente come la pletora di appelli religiosi di varia natura (dalle encicliche alle prediche) a favore della fratellanza umana, contro il riscaldamento globale e per la giustizia di genere, questi ultimi spesso sottoscritti da Chiese che praticano la discriminazione delle donne, ad esempio per quanto riguarda i ministeri, in linea di principio, ritenendola ordinata direttamente da Dio.
Certo, un discorso realmente fraterno, cioè critico, alla Chiesa russa non avrebbe cambiato il mondo: avrebbe soltanto suscitato in qualcuna e qualcuno il sospetto che le Chiese cristiane sappiano, almeno in qualche occasione, pronunciare parole scomode anche su sé stesse. Non sarà inutile riflettere, in preghiera, su questa nostra difficoltà.
Ph. City of Karlsruhe (Germany), view from Turmberg in Karlsruhe-Durlach, 2013 © RudolfSimon via Wikimedia Commons
Fulvio Ferrario
Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma