di Gaetano De Monte. Giornalista.
È stato presentato lo scorso settembre durante un’audizione presso la Commissione politiche sociali del Campidoglio il rapporto Corto circuito. Prassi illegittime e diritti dei cittadini stranieri a Roma, esito del lavoro realizzato negli ultimi 3 anni dagli sportelli dell’associazione A Buon Diritto. Istantanea sui diritti negati.
A Roma, forse più che in ogni parte d’Italia, esiste un piccolo universo abitato da quelle persone che vengono definite genericamente ultimi o invisibili, metafore linguistiche attraverso cui vengono racchiuse diverse categorie: i richiedenti asilo respinti da un Paese che investe poco nella loro inclusione; le donne che sopravvivono agli abusi e alle violenze a cui spesso le istituzioni non offrono un’adeguata protezione; i senza casa e le persone che si trovano in disagio abitativo e sovente sono destinatari di ordini di allontanamento, sfratti e sgomberi. A tutti loro si devono aggiungere, poi, gli stranieri considerati “reietti della società” che vengono privati della libertà personale e trattenuti per diverse settimane nei Cpr, cioè rinchiusi in un Centro di permanenza per il rimpatrio soltanto perché irregolari sul territorio poiché privi di un permesso di soggiorno valido.
L’associazione fondata dall’ex senatore Luigi Manconi che, di recente, ha compiuto i 20 anni di età d’attività, A Buon Diritto, si è caratterizzata negli anni per aver preso posizione su questioni scomode: dalla battaglia contro gli abusi delle forze dell’ordine e per l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento costituzionale alla denuncia di ogni forma di razzismo e discriminazione, anche di tipo istituzionale, soltanto per ricordarne alcune.
«Se è vero che alle parole devono seguire sempre seguire i fatti, A Buon Diritto non si è mai tirata indietro», scrivono dall’associazione introducendo il rapporto Corto circuito. Prassi illegittime e diritti dei cittadini stranieri a Roma. Una istantanea sui diritti negati nella Capitale d’Italia. Frutto del lavoro svolto dai diversi sportelli socio-legali che esistono sul territorio. Dal primo sportello aperto nel quartiere Testaccio «per offrire gratuitamente assistenza e consulenza, amministrativa e legale, ai cittadini stranieri, in particolare ai senza dimora e alle persone in condizione di difficoltà economica o di marginalità sociale», sono trascorsi dieci anni. Nel frattempo, le attività sono state potenziate al Quadraro, nella sede dell’associazione, ed altri sportelli legali sono stati attivati in punti nevralgici della città: a Piazzale Spadolini, nei pressi della Stazione Tiburtina, e nelle vicinanze di alcuni insediamenti informali, dove operatori esperti in diritto dell’immigrazione ed avvocati abilitati al patrocinio gratuito curano le ferite sociali di chi un servizio legale non può permetterselo, evidentemente.
«Gli sportelli permettono di avere uno sguardo sugli effetti che le politiche sociali, nazionali e locali, hanno sulle persone costrette a vivere in condizioni di marginalità a causa di politiche discriminatorie ed escludenti», ha spiegato Valentina Calderone, direttrice di A Buon Diritto Onlus, presentando il rapporto insieme a Rita Vitale e Marina De Stradis, rispettivamente, coordinatrice dello sportello legale e responsabile dello sportello donne dell’associazione. Davanti ai consiglieri della Commissione politiche sociali della Capitale che per primi l’hanno ricevuto, qualche giorno fa, Calderone ha ribadito: «il rapporto ha raccolto questi segnali, e intende riportarli alla collettività e alle istituzioni per far sì che nel dibattito le persone, i loro bisogni e i loro diritti, tornino ad essere al primo posto».
Segnali che si comprendono ascoltando le storie di vita e le testimonianze raccolte dagli operatori. Persone a cui, raramente, è stata offerta una possibilità. Si legge nel rapporto: «quasi sempre, invece, si sono scontrati con l’ottusità di un sistema che tende a ragionare per contrapposizioni risibili (l’immigrazione che si oppone alla sicurezza, il possesso della residenza che diventa causa di esclusione anziché indicatore di una fragilità) in base all’emotività sociale e politica del momento e senza una visione del futuro». Lo raccontano alcune prassi che impediscono l’esercizio di alcuni diritti fondamentali messe in atto da alcune istituzioni locali, in particolare, dall’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma e da alcuni Municipi capitolini.
A mostrare in maniera plastica questa doppia esclusione è la storia di John, un giovane nigeriano che dopo essere stato allontanato dal Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Mineo in seguito a un diniego ricevuto dalla locale commissione territoriale, nonostante avesse presentato ricorso, dopo aver dormito 14 giorni alla stazione di Reggio Calabria, è arrivato nella Capitale, accolto da una amica. Qui, a Roma, John, è stato accolto in un centro per migranti vulnerabili, fino a quando non ha ricevuto una condanna a qualche mese di protezione per detenzione di una modica quantità di hashish. «Capita spesso che gli stranieri condannati per questi reati a pene molto lievi, siano chiamati a subire la detenzione perché non hanno accesso a pene alternative né la disponibilità di un luogo dove fare la richiesta di scontare i domiciliari», hanno spiegato dall’associazione A Buon Diritto. Ma c’è di più. Perché non soltanto l’uomo ha vissuto in strada per diverso tempo, in uno dei tanti ghetti informali sparsi per la metropoli ma, ad un certo punto, ha perso anche il diritto a rinnovare il proprio permesso di soggiorno scaduto, questo perché «l’Ufficio immigrazione della Questura ritiene l’iscrizione anagrafica, illegittimamente, un elemento imprescindibile», come hanno raccontato a Confronti diversi avvocati ed operatori legali esperti di protezione internazionale.
«Nonostante la legge dica tutt’altro, spesso gli stranieri con il permesso di soggiorno ma senza una casa o un reddito dignitoso sono privati anche dell’unico diritto che sono riusciti a conquistarsi a fatica: il possesso del documento», hanno ribadito da A Buon Diritto, raccogliendo la testimonianza di Frank, un altro uomo fuggito dalla Nigeria in seguito a persecuzioni politiche che però è stato più “fortunato”. Infatti, Frank dopo aver dormito alla stazione Termini prima e nella ex fabbrica della Penicillina poi, quest’ultimo luogo diventato tristemente famoso come ritrovo per disperati e sgomberato nel 2018 con conseguenze drammatiche, attraverso l’associazione è riuscito a presentare nuova domanda di asilo e a raccogliere tutti i documenti a supporto della propria storia. Così l’uomo, ora, ha ricevuto lo status di rifugiato dalla Commissione territoriale di Roma, vive in una casa vera e lavora saltuariamente come operaio e certamente la sua condizione è migliorata.
Ed è proprio questa idea di inclusione e uguaglianza che è alla base delle attività di A Buon Diritto Onlus e che prova a costruire quotidianamente attraverso gli sportelli esistenti sul territorio romano. Non sempre, ovviamente, è possibile. A raccontarlo sono Marina de Stradis e Francesco Portoghese, due operatori legali dell’associazione in un saggio che è contenuto nella sedicesima edizione dell’Osservatorio sulle Migrazioni a Roma nel Lazio curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione e con il supporto di Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.
Gli autori si soffermano sul CPR di Ponte Galeria, dove la Capitale contiene gli scarti della popolazione dove contiene quelli del territorio, nei pressi della vicina discarica di Malagrotta. Da Ponte Galeria gli autori hanno raccontato la storia di Samir, (nome di fantasia per tutelarne l’identità) che ha 27 anni, è di origine tunisina ma ha trascorso quasi metà della sua vita in Italia. Un giorno di gennaio dello scorso anno, alle 2.30 di notte, è stato prelevato dalla polizia ed è stato rispedito ad Hammamet dall’aeroporto di Bari. Samir adesso si chiede cosa dovrà fare del proprio futuro, indeciso se «affrontare nuovamente i rischi del mare per arrivare in uno Stato che non gli garantirà alcun permesso di soggiorno o stabilirsi in Tunisia facendo i conti con una crisi economica e sociale senza precedenti». «Anche se dormivo per strada, in Italia, non mi mancava niente», ha raccontato Samir, che ora vive con il sogno di tornare nella Capitale, tra gli ultimi.
Ph. Taken from the Sky Lift at the WI State Fair, August 2017 © Tom Barrett via Unsplash

Gaetano De Monte
Giornalista