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La matrice teologica del populismo

by Ilaria Valenzi

di Ilaria Valenzi. Avvocata, ricercatrice in diritto delle religioni, Centro Studi Confronti

(Intervista a cura di Michele Lipori, Redazione Confronti)

Il populismo non è solo una variabile politica, ma anche religiosa. Sia in Europa che nelle Americhe assistiamo all’aumento di tendenze sovraniste, tradizionaliste e fondamentaliste che utilizzano il “fattore R” per far leva sulle masse popolari. Come è nato questo intreccio? Come interpretarlo sotto il profilo teologico e politico? Esiste una relazione con le Chiese cosiddette liberal? Autorevoli esperti del mondo ecumenico europeo e nordamericano e studiosi italiani hanno dibattuto su questi temi nel libro collettaneo dal titolo Il populismo religioso tra teologia e politica (Claudiana, 2022).

Ne abbiamo parlato con Ilaria Valenzi, curatrice del volume nonché avvocata, membro del Centro studi Confronti, research fellow presso la Fondazione Bruno Kessler, e membro del gruppo di ricerca Atlas of religious or belief minorities rights.

Qual è stata la genesi del volume

Il libro consiste in una raccolta di saggi intorno al legame tra populismo e religione, di quali siano i suoi profili teologici, politici e politologici che in qualche modo vuole sintetizzare e ampliare il dibattito innescato da una serie di conferenze online promossa della Commissione studi Dialogo e integrazione della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) intorno al tema del populismo e del legame con le varie espressioni del religioso.

La riflessione è partita dai fatti di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, quando i manifestanti pro-Trump hanno assaltato il Campidoglio a Washington per contestare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020 vinte da Joe Biden, che hanno avuto una forte ripercussione mondiale e che hanno messo in crisi un certo modello di democrazia. Inoltre, fin da subito ci si è resi conto che una forte partecipazione era venuta dal mondo dei protestanti di stampo evangelical negli Stati Uniti.

ll campo dell’indagine si è però subito allargato perché ci siamo accorti che quello degli Stati Uniti non è un caso isolato e abbiamo ritenuto importante verificare se ci fosse un disegno globale a cui si riferiscono alcune forme del Cristianesimo quando si avvicinano al populismo politico. Per dare risposta a queste domande abbiamo coinvolto esponenti delle grandi Chiese protestanti mondiali per farci raccontare, dal loro punto di vista, cosa succede nei loro Paesi e quale sia la strategia che le Chiese del Protestantesimo storico, di diversa collocazione continentale, stiano mettendo in atto per reagire e porsi a difesa dei diritti.

La presenza mediatica, soprattutto social, sembra essere la chiave del successo di tali messaggi

Il saggio di Paolo Naso è quello che si occupa più da vicino della decostruzione del legame tra populismo e religione partendo dalla descrizione dei fenomeni e di come l’utilizzo dei social media sia centrale per veicolare determinati tipi di messaggi e nel condizionare la mente delle persone che partecipano a tali movimenti. QAnon è solo uno degli esempi più evidenti di questa tendenza. I seguaci di questo gruppo politico di estrema Destra credono, infatti, nella teoria secondo la quale esisterebbe una trama segreta organizzata da un presunto Deep State che avrebbe agito contro Donald Trump nel suo compito di scardinare un presunto Nuovo ordine mondiale, colluso con reti di pedofilia a livello globale e poteri più o meno occulti.

Un fenomeno che ormai si ritrova anche fuori dagli Stati Uniti d’America

Assolutamente sì. Per quanto riguarda l’Europa, nel libro – oltre che fare riferimento al caso italiano – abbiamo messo in evidenza ciò che avviene in Germania, Ungheria e Francia. Si tratta di esperienze differenti tra loro che descrivono la presenza e diffusione di movimenti a matrice prevalentemente, ma non esclusivamente, di Destra che fanno del rafforzamento dell’identità religiosa come elemento populista il loro carattere distintivo e lo usano come “marcatore del territorio” ed elemento di esclusione degli altri (gli “stranieri”). Pensiamo all’Ungheria di Viktor Orbán e alla sua retorica legata non soltanto alla matrice di Destra anti-immigrazionista ma anche alle rivendicazioni sull’annullamento dei diritti civili che colpiscono il corpo delle donne e le comunità Lgbtqi+, con discorsi non dissimili a quelli di Marine Le Pen in Francia.

Quello della Germania, poi, è un caso particolare che ci è raccontato da Heinrich Bedford- Strohm, dal 2014 al 2021 presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (Ekd), ovvero la più grande Chiesa protestante d’Europa (se si escludono quelle statali del Nord Europa). Nel suo saggio ci descrive il non-sfondamento della Destra populista nel Paese perché è stata messa in atto un’efficace “resistenza culturale” che ha creato quindi delle barriere nei confronti di un fenomeno che comunque è esistente e pervasivo. Soprattutto, il caso tedesco è illuminante perché ci mette di fronte al problema di cosa fare quando sono gli stessi membri di chiesa a essere attratti da discorsi populisti.

L’altro caso che abbiamo analizzato è quello del Brasile la cui più grande peculiarità è che nella storia recente del Paese, le Chiese evangelical stanno progressivamente sostituendo il cattolicesimo, un tempo maggioritario. Il caso brasiliano ci mostra come siano stretti i legami tra politica di Destra e un certo evangelismo conservatore e di come influenzino le amministrazioni pubbliche, i tribunali, il governo. Il modo di fare politica di Bolsonaro, i temi da lui trattati, hanno trovato nelle Chiese evangelical una forte rete di sostegno anche a livello mediatico, dato che queste Chiese si avvalgono di una fitta rete di televisioni private dove trasmettono costantemente i loro messaggi pervasi di populismo anche esplicitamente razzista.

Esperienze diverse, quindi, ma possono ravvisarsi dei tratti comuni?

Mediamente ciò che accomuna questi movimenti è la volontà di regressione – se non di annullamento – delle conquiste sul piano dei diritti umani e civili. Il caso più eclatante è la recente sentenza della Corte suprema statunitense che ha abolito la sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 si era legalizzato l’aborto negli Usa facendo in modo che saranno i singoli Stati ad applicare le loro leggi in materia. Con questa sentenza abbiamo visto che dei diritti che pensavamo fossero acquisiti una volta per tutte possono in qualche modo “regredire” e questo a scapito soprattutto delle “minoranze”, non intese solo necessariamente in senso numerico, come le donne. Il tentativo di annullamento di questi diritti risponde in qualche modo anche a una volontà di controllo di tutti quegli elementi che incarnano dei modelli di società che tali minoranze (si pensi ancora alle donne, ma anche alle comunità Lgbtqi+) mettono in discussione.

C’è un desiderio di “ordine”?

In parte si tratta di uno schema tipico delle situazioni di emersione di crisi economica globale che si aggiungono a quelle delle società e dei singoli individui. In queste situazioni si può tendere a individuare nell’“uomo forte” una possibilità di “salvezza”, a tentare di preservare modelli societari che sembrano confermare una propria presunta identità e a individuare nell’altro il nemico. Tutti elementi che, in realtà, “distraggono” dalle vere cause della crisi in cui si vive. Per questo, le riflessioni che si ritrovano nei saggi di Debora Spini e Paolo Naso partono dalla domanda di cosa accade nella post secolarizzazione. La lettura data da Jürgen Habermas in proposito è che con essa ci sarebbe stato posto per tutte le espressioni del religioso, ma l’avvento delle culture wars [cfr. Confronti 11/2021) mette il segno opposto a questa intuizione: la compresenza di tutti questi elementi, nei fatti, genera conflitto.

Le risposte che abbiamo ravvisato sono in primis teologiche: è necessario lavorare affinché venga predicato un modo “diverso” di essere Chiesa, facendo i conti con il fatto che esiste una massa sempre crescente di persone che viene attrattea da questo modo di intendere la religione. È necessario vigilare profondamente su questo e sulla collusione fra politica e religione avendo il coraggio di denunciare le situazioni in cui si ledono i diritti. Si tratta del ruolo, per dirla con il filosofo

Jacques Maritain, che devono avere le “minoranze profetiche d’urto”, cioè quelle realtà in grado di causare con le loro azioni un impatto di trasformazione sociale significativo. Qui risiede il «senso e la funzione di una comunità ecclesiale» che, ricorda il filosofo Paul Ricœur, è chiamata a testimoniare un senso fondamentale, facendo appello all’utopia, «prospettiva di un’umanità compiuta».

La situazione che ci ha messo più in difficoltà è quella ungherese, perché Orbán proviene da una Chiesa riformata. Ciononostante – se fosse possibile stilare una classifica – è il peggiore esempio della Destra estrema populista che si impossessa, attraverso gli strumenti religiosi, di temi che non dovrebbero essere delle Chiese.

Si direbbe un problema di laicità.

Forse un aspetto che sarebbe ulteriormente da approfondire è proprio che fine abbia fatto il concetto di laicità in tutto questo, quale sia il “giusto” rapporto tra religione e istituzioni e quale sia il “giusto” confine tra i due ambiti. Sembra che il modello a cui ci riferivamo sia completamente saltato. Lo si vede anche in Italia, dove assistiamo all’invocazione continua dell’identità nazionale e di un’unica identità religiosa (in questo caso, quella cattolica): un modo di fare politica del tutto opposto a quei percorsi di laicità che, almeno dalla Costituzione in poi, si è tentato di far affermare nel nostro Paese.

Ph. © Tyler Merbler / CC BY 2.0

Ilaria Valenzi

Ilaria Valenzi

Avvocata, ricercatrice in diritto delle religioni, Centro Studi Confronti

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