di Kristina Stoeckl. Professoressa di Sociologia all’Università di Innsbruck e coordinatrice del Postsecular Conflicts Research Project
(Intervista a cura di Claudio Paravati, Direttore Confronti)
Le culture wars o “guerre culturali” sono conflitti tra attori socialmente progressisti e socialmente conservatori su questioni di moralità pubblica – ad esempio pro-choice contro pro-life; matrimoni tra persone dello stesso sesso contro matrimonio inteso esclusivamente tra uomo e donna. Tali conflitti sono stati descritti nel 1991, nello studio ormai divenuto classico di James Davison Hunter Culture Wars: The Struggle to Define America [Guerre culturali: La lotta per definire l’America]. Le guerre culturali hanno origine da quella che il sociologo Peter Wagner descrive come crisi della modernità avvenuta nelle società occidentali degli anni Sessanta. Più di cinquant’anni dopo, quel conflitto è ancora rilevante e in Italia più che mai, dopo la salita al governo della coalizione di Centrodestra, che in campagna elettorale ha cavalcato i temi antiabortisti e, più in generale, di quelli della difesa della “famiglia tradizionale”. Ne abbiamo parlato con Kristina Stoeckl, che coordina il Postsecular Conflicts Research Project (Progetto di ricerca sui conflitti post- secolari) finanziato dal Consiglio europeo della ricerca (Erc Starting Grant) presso l’Università di Innsbruck, Dipartimento di Sociologia.
Le ultime elezioni in Italia hanno visto vincere la coalizione di Centrodestra, a trazione Fratelli d’Italia. Hanno vinto i conservatori di cui ha parlato su Confronti nel novembre del 2021, quando ci raccontò i risultati della sua ricerca pluriennale sulle “guerre culturali” (culture wars)?
Hanno vinto i conservatori, ma questa Destra non è identica a quella “Destra cristiana” manifestamente pro-Russia che abbiamo analizzato nel nostro progetto di ricerca. Dal punto di vista delle tematiche culturali e sociali – sostegno alla famiglia tradizionale e a un “Cristianesimo culturale” che si manifesta col presepe a scuola – Fratelli d’Italia e la Lega di Salvini sostengono le stesse posizioni. Per questo, ci possiamo aspettare che in questo ambito il governo attuale farà le stesse politiche che ha fatto la Lega quando fu al governo nel 2018-2019. Nella politica estera però non mi aspetto che si orienteranno, come invece è capitato con la Lega al governo, a legarsi a un movimento transnazionale – quello della Destra cristiana – che fa riferimento alla Russia. Tanto più ora che è in corso la guerra tra Russia e Ucraina, il legame con la Russia è saltato anche per il movimento conservatore cristiano transnazionale.
Come possiamo definire tale movimento? Andrebbe bene “movimento conservatore”?
“Movimento conservatore” ha un’accezione troppo ampia a mio avviso, perché stiamo parlando di un movimento conservatore che è specificamente rivolto ai valori sociali. Preferisco la definizione Moral Conservatives anche se non rende molto bene in italiano oppure anche “Destra cristiana”, seppur non tutti i componenti di questa corrente siano effettivamente cristiani.
Come sta organizzandosi la Destra cristiana transnazionale?
Certamente, parecchi commentatori della Destra americana sono stati contenti della vittoria conservatrice in Italia; come sono stati contenti del resto per Viktor Orbán che ha vinto le ultime elezioni, confermandosi alla guida dell’Ungheria. La Destra cristiana americana e le Destre europee vedono queste vittorie come una conferma delle loro posizioni, le interpretano come una vittoria per le loro lotte su temi morali e sociali. Almeno in Italia, comunque, non è detto che il successo elettorale sia veramente determinato dal sostegno a questi valori morali e sociali conservatori da parte dell’elettorato… Anzi!
Dal suo punto di vista, la guerra in Ucraina sta avendo degli effetti sui movimenti transnazionali, e se sì, di che tipo?
La Russia ha fatto una cosa inaudita e in certi versi inaspettata anche per chi, in Occidente, ammirava la politica anti-liberale di Putin: ha usato le tematiche social-conservatrici come arma. Sia il patriarca Kirill che Vladimir Putin, nelle loro giustificazioni per l’invasione dell’Ucraina, hanno fatto riferimento alla comunità Lgbtqia+, a “genitore 1” e “genitore 2”, al Gay Pride, affermando di dover difendere l’Ucraina cristiana da queste politiche immorali “occidentali”. Pochissimi commentatori sulla Destra in Europa e negli Stati Uniti li hanno seguiti su questa strada, perché non era una strategia credibile. Il cosiddetto weaponizing, cioè “usare come un’arma” questioni etiche, espone a dure critiche tutti coloro che, in tempi di pace, inveiscono contro i diritti Lgbtqia+ in toni apocalittici e di “guerre di cultura”. Usare il linguaggio delle culture wars dal palcoscenico al Congresso mondiale della famiglia è una cosa, sentirlo usato come giustificazione per un’aggressione militare è un’altra.
Nel libro The Moralist International. Russia in the Global Culture Wars, che è appena uscito, lei e Dmitry Uzlaner descrivete la Russia come un aspirante leader di un movimento conservatore globale. Cosa significa la guerra in Ucraina per questa ambizione?
La Russia ha perso autorevolezza e credibilità nell’ambito dei conservatori morali e sicuramente lascerà un vuoto nelle loro reti e organizzazioni transnazionali. Non a lungo, però, ci sono già dei nuovi pretendenti.
Quali sarebbero?
Il movimento transnazionale della Destra cristiana conservatrice esisteva già prima che la Russia diventasse un attore centrale. Il primo punto di riferimento furono i cristiani conservatori negli Stati Uniti, gli Evangelicals. Il secondo punto di riferimento, quello che ha reso la Destra cristiana un movimento transnazionale attivo al livello dell’Onu e nella politica sui diritti umani internazionali, è stato il Vaticano. A partire dalla Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo del 1994 del Cairo, c’era anche una partecipazione dei Paesi musulmani. Dal 2008 circa, la Russia e la Chiesa ortodossa russa hanno preso una posizione di rilevanza, che con la guerra in Ucraina è – sicuramente per adesso – venuta meno. I nuovi centri della Moralist International potrebbero in un futuro trovarsi al di fuori del mondo occidentale, e personalmente credo che vedremo emergere organizzazioni e governi africani che faranno una resistenza coordinata contro i cosiddetti “valori liberali” sulle solite tematiche: famiglia, diritti riproduttivi, educazione, diritti Lgbtqia+.
Che effetto ha la guerra in Ucraina sul mondo ortodosso?
Il mondo ortodosso oggi è diviso tra chi condanna in modo chiaro ed esplicito l’aggressione russa in Ucraina e il sostengo del patriarca Kirill alle politiche di Putin, e chi rimane sul vago, richiamando alla pace senza nominare l’aggressore o l’aggredito. In realtà, questa divisione rispecchia una dinamica ormai consolidata tra le Chiese ortodosse, con una corrente molto conservatrice che si orienta quasi verso il mondo islamico ed è guidata da Kirill, e una corrente più riformista, che si orienta più verso l’Occidente ed è guidata dal patriarca ecumenico Bartolomeo. La divisione non è netta tra le Chiese, ma è piuttosto diffusa in ogni Chiesa dove crea tensioni tra gerarchie ecclesiastiche, cerchi monastici, teologici e laici. La guerra in Ucraina ha reso lo scontro ancora più accentuato e, soprattutto per le Chiese in Ucraina, più esistenziale.
Come vede il futuro delle culture wars?
Le culture wars continueranno. Di per sé, questo non è spaventoso né sorprendente, perché le società moderne sono fatte di divisioni profonde alle quali la politica deve rispondere con responsabilità e serietà. Il rischio, secondo me, è che si perda la misura del conflitto e che le parti vedano l’altro sempre più come “nemico” invece che come “avversario”. Da tanto tempo la Destra cristiana si sente “in guerra” contro una società secolarizzata, contro valori liberali e progressisti, contro relativismo morale e pluralismo culturale. Bisogna anche ricordare, però, che chi si sentiva minacciato in questi termini era, in realtà, una minoranza.
La maggior parte delle persone aveva ben altre priorità. Negli ultimi anni le tematiche culturali e sociali sono diventate mainstream e hanno acquisito un potere di definizione sulla politica a scapito di altri temi: economia, politica estera, sanità, lavoro ecc. Questo, secondo me, è problematico. Con la guerra in Ucraina, siamo entrati in una nuova stagione delle culture wars, una escalation da parte della Russia che ha fatto dei temi etici un’arma. Mi auguro che questo fatto sconcertante porterà a una moderazione dei toni tra tutti coloro che, fin’ora in senso metaforico, si dichiaravano in guerra. La fragilità – e allo stesso tempo la resilienza – del tessuto politico e sociale dell’Europa è davanti agli occhi di tutti.
Ph. © Sivani Bandaru via Unsplash
Kristina Stoeckl
Professoressa di Sociologia all’Università di Innsbruck e coordinatrice del Postsecular Conflicts Research Project