di Michele Lipori. Redazione Confronti
Il 26 maggio 2016, la plenaria dell’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra, un’organizzazione intergovernativa fondata nel 1998 al fine di rafforzare, promuovere e divulgare la consapevolezza di ciò che è stata la Shoah) ha ufficialmente esplicitato la propria definizione di antisemitismo, che va inteso come: «una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come “odio per gli ebrei”. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto».
Tale definizione include undici punti, o esempi, pensati per aiutare l’identificazione delle manifestazioni di questo fenomeno, ancora estremamente diffuso e mascherato da un “legittimo esercizio della propria libertà d’espressione”. Nell’ultimo rapporto sull’antisemitismo, Michael O’Flaherty, direttore dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra) afferma che «L’antisemitismo rimane un problema serio nelle nostre società. […] Senza dati adeguati non possiamo sperare di essere efficaci, sulla lunga distanza, nel contrastare gli episodi di antisemitismo. È giunto il momento che i Paesi dell’Ue intensifichino i propri sforzi per incoraggiare la segnalazione e migliorare la registrazione, in modo da poter meglio contrastare l’odio e il pregiudizio contro gli ebrei».
ANTISEMITISMO IN EUROPA
Nel report – che esamina i dati provenienti da fonti internazionali, governative e non governative in tutti i Paesi dell’Ue, nonché in Albania, Macedonia del Nord e Serbia – viene infatti evidenziato che sebbene un numero crescente di Paesi abbia adottato la definizione operativa di antisemitismo sviluppata dall’Ihra, la maggior parte di quelli Ue non registra in modo efficace gli episodi di antisemitismo o raccoglie dati ufficiali completi. Addirittura, alcuni di essi (come Ungheria e Portogallo) non dispongono di un database ufficiale. Inoltre, sono solo 14 i Paesi dell’Ue a disporre strategie nazionali o piani d’azione espressamente dedicati al contrasto dell’antisemitismo e sono 8 quelli che stanno attualmente sviluppando tali strategie e piani.
Per quanto riguarda l’Italia, il 17 gennaio 2020 – in seguito della Risoluzione del 1° giugno 2017
sulla lotta contro l’antisemitismo del Parlamento europeo (art. 5) – è stato istituito il ruolo del Coordinatore Nazionale per la lotta contro l’antisemitismo che ha il compito di «promuovere e potenziare le attività di prevenzione e lotta contro l’antisemitismo, anche attraverso azioni concertate con le comunità e istituzioni ebraiche, e operando il necessario coordinamento con le pubbliche amministrazioni per le materie di rispettiva competenza».
Nel 2021 è stata inoltre elaborata una strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo da parte di un Gruppo tecnico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri guidato dalla prof.ssa Milena Santerini sulla base della definizione di antisemitismo dell’Ihra, accolta dal Governo italiano nel gennaio 2020.
L’ODIO ONLINE
Il già citato report avverte inoltre dei rischi del web e dei social media in particolare, poiché – essendo questi ultimi disponibili ovunque ci sia una connessione internet – è impossibile sapere con certezza quanto materiale antisemita venga generato e diffuso. Altro fattore che rende difficile il monitoraggio è la varietà delle forme con cui l’odio si manifesta online: esso è infatti espresso sotto forma di foto, video, meme, gif, vlog oltre che commenti di singoli utenti. Non a caso, secondo lo studio condotto dall’Ue nel 2018 dal titolo Esperienze e percezioni dell’antisemitismo, i social media rappresentano il “luogo” in cui le persone ebree si sentono più frequentemente sottoposte alla pressione dei discorsi antisemiti.
Lo studio, che ha raccolto le esperienze quotidiane e le percezioni sull’antisemitismo, ha mostrato che l’89% delle persone ebree intervistate ha valutato il problema più diffuso sui social media che in luoghi pubblici, sui media o nei discorsi politici.
Un altro problema è rappresentato dall’eco che tali discorsi hanno nello spazio mediatico social: i contenuti discriminatori (insulti ma anche negazionisti della Shoah) catalizzano, nel bene e nel male, l’“attenzione” degli utenti che reagiscono a tali discorsi con una qualche “reazione” (“mi piace”, “non mi piace”, condivisioni, commenti) che di fatto sono redditizie per le piattaforme che le ospitano poiché attirano inserzionisti.
Non è un caso, dunque, che i social media rimangono le infrastrutture digitali preferite per la comunicazione (e il reclutamento) di estremisti di ogni “colore” e se questo è stato ed è ancora particolarmente vero per piattaforme come Twitter, Facebook e YouTube, di recente Telegram sta guadagnando sempre più terreno e sono stati censiti profili afferenti al sedicente Stato islamico su TikTok, utilizzato principalmente da bambini/e e giovani adulti.
Attraverso i social sono soprattutto le fake news (in particolare quelle a sfondo complottistico) a diffondersi con maggior velocità e, in particolare, è stato rilevato che la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina abbiano rappresentato l’occasione per un rinverdire di tesi cospirazioniste di vario tipo, in particolare quelle a sfondo antisemita.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
In un rapporto del 2021, i ricercatori del Center for Countering Digital Hate (Ccdh) hanno valutato i contenuti antisemiti su Facebook, YouTube, TikTok, Twitter e Instagram per sei settimane rilevando che le varie piattaforme erano riuscite a ad agire su meno dell’84% degli episodi antisemiti segnalati. Tra le motivazioni per tale inefficacia nei controlli, l’enorme flusso di contenuti violenti presenti sui social ma anche il fatto che i moderatori non sono stati istruiti in modo adeguato a riconoscere il materiale antisemita.
Per facilitare il lavoro di vigilanza, dunque, alcune piattaforme stanno sperimentando l’utilizzo dell’intelligenza artificiale anche se, allo stato attuale, anche questa misura da sola non sembra essere efficace poiché gli algoritmi non sono in grado di distinguere, per esempio, i contenuti educativi nei confronti della Shoah rispetto a quelli negazionisti. Altra falla nel sistema di sorveglianza risiede nel fatto che non esista alcun processo, automatizzato o no, in grado di impedire che i contenuti rimossi possano essere immediatamente ripostati da uno stesso o altro utente.
Ph. Roma, pietre d’inciampo in ricordo della famiglia Di Consiglio e altri in via della Madonna dei Monti 82 © Gaux / Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International
Michele Lipori
Redazione Confronti