di Mariangela Di Marco. Giornalista
Draghi, leoni, lanterne. Tutto rigorosamente rosso. Nelle strade di molte città italiane si celebra il Capodanno cinese che quest’anno ricorre tra il 22 gennaio e il 5 febbraio, salutando così l’anno della Tigre per entrare in quello del Coniglio, il quarto dei dodici segni dello zodiaco cinese, simbolo di longevità, prosperità e pace. Anno che coincide con la rimozione da parte della Cina, per la prima volta dal 2020, delle restrizioni sui viaggi internazionali tanto in entrata quanto in uscita.
Tradizione vuole che nel corso della parata organizzata da molte organizzazioni e scuole cinesi del territorio italiano, danzino un leone e un drago come rito propiziatorio. Il primo viene identificato dalla leggenda come la fiera salvatrice di villaggi infestati da mostri e di grandi disgrazie e come portatrice di abbondanza e fortuna; il secondo, sacra creatura divina ed emblema imperiale, considerato benevolo e provvidenziale e simbolo di lunga vita. Festeggiato in molti altri Paesi asiatici, il Capodanno cinese sarà onorato a Roma il 5 febbraio, giorno che coincide con la Festa delle Lanterne, che chiude il ciclo di queste festività, nel quartiere Esquilino, conosciuto come la “Chinatown” capitolina. Nella città eterna sono concentrate gran parte delle persone cinesi in Italia: poco più di 20mila a fronte delle circa 300mila rilevate dall’ultimo rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
È la festa più importante del popolo cinese quella del Capodanno, calcolata secondo il calendario lunisolare che vede i mesi iniziare in corrispondenza di ogni novilunio: la data dunque cambia di anno in anno, oscillando tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Il rosso, si diceva, è il colore della festa e delle tante lanterne che adornano le strade che, insieme ai fuochi d’artificio sono i due simboli che risalgono ad un’antica leggenda, quella del demone Nian: lo spirito malvagio che si presentava tra gli umani una volta all’anno, fagocitando la loro carne e facendo razzia di raccolto e bestiame. L’unico modo per liberarsene era spaventarlo con bandiere rosse e rumori assordanti. Da qui i due rituali svolti con grande partecipazione per liberarsi dai demoni dell’anno precedente.
Proprio nel quartiere Esquilino, nello storico Palazzo Merulana, si è celebrato, fino al 22 gennaio, la tradizionale ricorrenza con la mostra Up!, curata da Guang Hua Cultures et Media e Associna, l’associazione che rappresenta la realtà delle seconde generazioni cinesi in Italia.
La data di chiusura diventa emblematica, trattandosi del giorno in cui tradizionalmente si accoglie il nuovo ciclo: l’esposizione ha infatti preso il nome dal collettivo costituito da artisti cinesi che studiano all’Accademia di Belle Arti, giunti nella Capitale e nelle istituzioni accademiche italiane di Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM) grazie a un accordo tra i governi italiano e cinese.
Secondo i dati statistici del Global Flow of Tertiary-Level Students dell’UNESCO, l’Italia, come meta di studio per gli studenti cinesi, è al quarto posto tra i paesi europei e all’undicesimo nel mondo. Nelle istituzioni italiane sono arrivati 54.855 studenti internazionali di cui 11.965 cinesi e la percentuale degli studenti cinesi in entrata rispetto al totale degli studenti internazionali in UE mette l’Italia al terzo posto dopo la Germania e la Francia, come registra Uni-Italia, sodalizio costituito tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e quelli dell’Università e dell’Interno.
La collettiva Up! ha così raccontato i punti di incontro – ma anche di scontro – tra Oriente e Occidente, spiritualità e consumismo attraverso elementi che incarnano a pieno le seconde genarazioni e che mediante l’arte diventano momento di riflessione, come avviene nella ricerca artistica di Zhao Lingyu: una scultura di due arcate dentarie analizza, per esempio, la condizione di smarrimento della persona migrante e la sua difficoltà di comunicare in un nuovo contesto con i propri retaggi culturali.
«Ho voluto festeggiare il Capodanno con questi giovani artisti soprattutto per la loro storia perché come noi seconde generazioni hanno un background cinese ma vivono in Italia» spiega Liliana Liao, curatrice della mostra e presidente di Associna sezione Lazio. «Sono immagini iconografiche frutto della commistione tra ciò che gli artisti assorbono quotidianamente in Italia e la loro cultura che comprende anche il rapporto tra natura e modernità». Immagine simbolo della mostra è stata l’opera Deserto e Fiume di Han Yilei dove l’artista ha rielaborato una mappa geografica di un fiume nei pressi della città di Zhongwei, al confine con la Mongolia, in un paesaggio che muta in base alle stagioni, dando luogo a forme spettacolari interpretate dall’argento, dall’oro e dall’indaco e dove ciascun elemento confluisce nell’altro in piena armonia, assumendo una chiara valenza simbolica e spirituale.
Camminando nel quartiere Esquilino è lampante il numero di esercizi commerciali e ristoranti cinesi che lo costellano. In questo periodo, si può entrare in contatto con questa cultura anche attraverso il cibo, mangiando i Nian Gao, i famosi gnocchi di riso: un piatto ben augurante, come dice il nome – Nian, “anno”; Gao, “più alto” – simboleggiano e augurano un nuovo ciclo, migliore e più prosperoso del precedente. Tra i cibi tipici anche il pesce, il cui ideogramma, Yú, simboleggia la ricchezza.
Negozi e ristoranti rappresentano tuttavia uno degli stereotipi legati a questa comunità. «C’è l’immagine che i cinesi siano solo commercianti o ristoratori» afferma lo scrittore e direttore editoriale del mensile bilingue It’s China Marco Wong, sotto gli eleganti portici di piazza Vittorio Emanuele II, cuore pulsante del rione che fa parte della storia della città, trattandosi di uno dei sette colli insieme a Campidoglio, Aventino, Quirinale, Viminale, Celio, Palatino. E che oggi rappresenta passato e futuro nello stesso tempo. «Ci si dimentica, ad esempio – continua Wong – che c’è una generazione di immigrati dalla Cina che sono artisti e intellettuali, di tanti ragazzi che hanno fatto lo sforzo di studiare e scegliere un destino diverso di quello dei propri genitori».
Di stereotipi ne aggiunge anche Zhiyuan Liu, tesoriera di Associna sezione Toscana. «Lavoro per una società italiana e mi è capitato di sentire che devo essere grata se lavoro qui. Lo sento principalmente dalle persone anziane che vedono il lavoro occupato non da italiani ma da stranieri».
Le seconde generazioni vivono problemi specifici che si sommano: non sono immigrati, ma figli e figlie di immigrati, diversi dai loro genitori con cui spesso è difficile avere un linguaggio comune perché loro sono proiettati in avanti, qui, mentre i genitori sono spesso voltati all’indietro, verso i luoghi da cui provengono, ma anche diversi dai loro coetanei, perché privi di cittadinanza e obiettivamente con prospettive peggiori. Una situazione neanche lontanamente paragonabile, ad esempio, a quella della Francia, dove lo scrittore Gao Xingjian, emigrato dalla Cina, nel 2000 viene insignito del premio Nobel per la Letteratura.
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Mariangela Di Marco
Giornalista