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Colombia. Una storia violenta

by Andrea Mulas

di Andrea Mulas. Fondazione Lelio e Lisli Basso.

Il “caso Mario Paciolla” sprofonda nelle piaghe insanguinate della storia colombiana degli ultimi cinquant’anni segnata da una sanguinosa guerra civile e da un conflitto armato fratricida, in cui violenza, attentati, sequestri e narcotraffico hanno permeato la vita quotidiana della popolazione. All’inizio di ottobre la stampa ha improvvisamente rivelato uno dei segreti meglio custoditi della Colombia: per almeno un anno, autorevoli rappresentanti del governo hanno intavolato conversazioni ufficiali con autorevoli rappresentanti dei trafficanti di droga.

L’emissario ufficiale ha negato il fatto, quello dei trafficanti lo ha confermato e il governo ha finito per ammetterlo senza ulteriori spiegazioni. Al termine, come sempre in questa guerra dai grandi misteri, non si è chiarito niente. Ma la rivelazione ha permesso di stabilire ancora una volta fino a che punto la storia di questa guerra tende a ripetersi senza tregua fin dal suo avvio, senza arrivare mai da nessuna parte. Però fa sempre ritorno, con impeto rinnovato e con manifestazioni sempre più drammatiche». È il novembre 1989 quando lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez riassume il filo conduttore della storia del suo Paese.


La situazione colombiana inizia ad aggrovigliarsi drammaticamente negli anni Sessanta e si caratterizza per il legame inscindibile tra violenza e politica che arriva fino ai nostri giorni. Una delle peculiarità del conflitto colombiano è la plurali
tà di attori che hanno alimentato e trasformato il conflitto armato: oltre ai partiti politici tradizionali e i movimenti di guerriglia, l’emergere di diversi gruppi rivoluzionari, paramilitari e l’influenza del narcotraffico con il passar del tempo hanno esercitato il predominio.

LA GUERRIGLIA

Le origini delle cosiddette organizzazioni di guerriglia di “prima generazione”, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), l’Esercito di liberazione nazionale (Eln) e l’Esercito popolare di liberazione (Epl), risalgono – come tutti i movimenti rivoluzionari in America Latina – ai primi anni ‘60. A partire dagli anni ‘70 iniziano a emergere i guerriglieri di “seconda generazione”, il Movimento 19 aprile (M-19), il Quintín Lame, il Movimento Patria Libre e il Partito rivoluzionario dei lavoratori (Prt), per citarne solo alcuni.

Spenta e soffocata l’ondata rivoluzionaria, negli anni ‘80 l’economia del narcotraffico si combina e si confonde con le rivendicazioni sociali rafforzando le organizzazioni guerrigliere, in special modo le Farc-Ejército del Pueblo (Farc-Ep), inoltre si verifica l’ascesa di gruppi paramilitari, che si aggiungono al conflitto già esistente tra guerriglieri e Stato. Crimini come omicidio, rapimento – compreso quello dell’ex candidata presidenziale Ingrid Betancourt, tenuta prigioniera dalle Farc tra il 2002 e il 2008 –, estorsioni e attacchi contro le infrastrutture produttive sono all’ordine del giorno.

La scarsa presenza dello Stato, la bassa fiducia nelle istituzioni, la corruzione non hanno fatto altro che ampliare il profondo divario sociale tra una élite politica con una forte presenza regionale, proprietari terrieri e monopolisti, e dall’altro gruppi minoritari come indigeni, afrodiscendenti e contadini che non hanno avuto lo stesso accesso ai diritti di proprietà o ai servizi statali. Tra il 1974 e il 1990 la storia della Colombia è segnata da diverse riforme costituzionali che, pur presentando qualche progresso, perpetuano gravi carenze sociali di natura strutturale.

Nel 1978, la repressione politica e armata esercitata sotto la legislatura del presidente Julio César Turbay Ayala (1978-1982) del Partito liberale è caratterizzata dalla promulgazione del controverso Estatuto de Seguridad (Statuto della Sicurezza, 6 settembre 1978) con il quale si intendono mitigare le rivolte sociali, ma che nei fatti scatena la violenta repressione con perquisizioni domiciliari senza mandato, arresti arbitrari, torture, sparizioni forzate, corti marziali verbali per processare civili da parte delle forze militari e della polizia, che causano numerose violazioni dei diritti umani. Come risposta, e per difendersi dalle vessazioni dello Stato, nasce il Comité Permanente de Defensa de los Derechos Humanos (Cpdh) creato dopo il primo Foro Nacional por los Derechos Humanos y las Libertades Democráticas, organizzato a Bogotá nel 1979.

Un altro nodo centrale è la questione della terra e la mancanza di una adeguata riforma agraria, in quanto nella storia colombiana la terra rappresenta un mezzo di ascensione economica e sociale. Studi recenti del Centro Nacional de Memoria Histórica (centrodememoriahistorica.gov.co) hanno evidenziato che «l’accaparramento di terre da parte delle élite regionali ha espulso contadini, che sono stati costretti a colonizzare territori privi di presenza o infrastrutture statali, dove conseguentemente si è insediata la guerriglia e si sono ampliate le coltivazioni illecite, ponendo ulteriori elementi per l’aggravarsi della violenza».

Risulta, infatti, che i privati possiedono 55 milioni di ettari di terra e la scarsità di questa nelle mani dei contadini ha favorito la nascita della guerriglia da una parte e la creazione di milizie paramilitari dall’altra. La questione fondiaria è strettamente legata alla produzione di coca e al narcotraffico: nel 2021, erano 204mila gli ettari adibiti alla coltivazione di coca, il 43% in più rispetto all’anno precedente.

LA FINE DEL CONFLITTO

«La fine del conflitto significherà l’apertura di un nuovo capitolo della nostra storia. Si tratta di avviare una fase di transizione che contribuisca a una maggiore integrazione dei nostri territori, a una maggiore inclusione sociale – soprattutto di coloro che hanno vissuto ai margini dello sviluppo e hanno sofferto il conflitto –, e a rafforzare la nostra democrazia affinché possa svilupparsi su tutto il territorio nazionale e assicurare che i conflitti sociali siano elaborati attraverso i canali istituzionali, con piena garanzia per chi partecipa alla vita politica». Gli accordi di pace, sottoscritti a Bogotà il 24 novembre 2016 dal presidente Juan Manuel Santos e dal principale esercito guerrigliero Farc-Ep hanno alimentato un immaginario di speranze nel popolo colombiano e in buona parte della comunità internazionale.

Frutto di un lavoro collettivo, nel quale le comunità colombiane hanno contribuito con un capillare coinvolgimento di gruppi e movimenti territoriali per la costruzione di una pace “con giustizia sociale”, ma purtroppo il conflitto colombiano non ha ceduto il passo alla pacificazione. I dati parlano chiaro. Secondo l’Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz (Indepaz – www.indepaz.org.co), tra il 2016 e il 2022 sono stati assassinati 1.743 leader sociali.

Nel giugno scorso la Comisión para el Esclarecimiento de la Verdad, la Convivencia y la No Repetición (Cev) ha presentato il dossier della Commissione della Verità, frutto di tre anni di lavoro e di una capillare indagine, dal quale emerge che nel conflitto armato durato cinquant’anni hanno perso la vita più di 450.000 persone, quasi 122.000 sono i desaparecidos e circa 8 milioni gli sfollati. Attualmente, nonostante proseguano incessantemente massacri, attacchi i villaggi e sparizioni forzate, le speranze di voltare pagina per la Colombia sono tutte riposte nel presidente Gustavo Petro, che ha dichiarato che la Paz Total (concetto ideato dal suo governo) rappresenta una priorità del suo mandato, e proprio con questo scopo lo scorso novembre ha avviato a Caracas un nuovo tavolo negoziale, al quale hanno dichiarato di partecipare sia l’Eln che le Farc, oltre ad altri gruppi armati, paramilitari e trafficanti.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Confronti di febbraio, dedicato alla memoria di Mario Paciolla, il cooperante italiano trovato morto nella sua abitazione in Colombia il 15 luglio 2020, per cui ancora si cerca verità e giustizia. Acquista QUI il numero e sostieni il nostro progetto!

Ph. Firma per gli accordi di pace tra il governo Santos e le Farc © Gobierno de Chile / CC BY 2.0

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