di Anna Maria Motta e Giuseppe Paciolla. Genitori di Mario Paciolla.
Intervista a cura di Redazione Confronti
Prima del 15 luglio 2020, quando il suo corpo senza vita fu ritrovato nella sua abitazione a San Vicente del Caguan, Mario Paciolla svolgeva il ruolo di osservatore dell’Onu per il rispetto degli Accordi di pace in Colombia. Il giorno prima – e dopo aver confessato ai genitori di temere per la propria incolumità – aveva acquistato un biglietto di ritorno per l’Italia. A quasi 30 mesi dalla sua morte, ancora non si conoscono i mandanti di un omicidio che qualcuno ancora si ostina a voler far passare come suicidio. Abbiamo parlato con Anna Maria Motta, Giuseppe Paciolla – i genitori di Mario Paciolla – della loro battaglia per far luce sulle responsabilità di questo delitto, affinché cose simili non accadano più.
Fra qualche giorno saranno 30 mesi dalla scomparsa di Mario e purtroppo nulla emerge sulla vicenda di nostro figlio. La richiesta di archiviazione avanzata dalla procura ci ha lasciato basiti soprattutto per le conclusioni che ovviamente non accettiamo.
Noi genitori, i suoi amici, ma anche i nostri avvocati e periti, abbiamo sempre avuto la certezza che la morte di Mario sia stata un omicidio. Nonostante i depistaggi evidentissimi posti in essere da subito per far credere che si trattasse di un suicidio, rimane evidente l’offesa alla sua memoria e all’intelligenza collettiva.
L’Onu, organizzazione per la quale Mario lavorava, sicuramente non è stato in grado di proteggere la vita di nostro figlio, che è a tutti gli effetti un morto sul lavoro. E quindi, quantomeno da questo punto di vista, la riteniamo responsabile.
Perché chiedete verità e giustizia su questa vicenda?
Fin quando noi ci saremo continueremo a chiedere verità e giustizia perché crediamo che siano diritti fondamentali per nostro figlio ma sicuramente anche per tutte le vittime che reclamano il riconoscimento di questi diritti.
In un mondo “liquido” come il nostro, le uccisioni dei nostri ragazzi, ci riferiamo a Giulio Regeni, Andrea “Andy” Rocchelli, (ma ricordiamo anche Luca Ventre o, andando più in là negli anni, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e molti altri) costituiscono vicende in cui tutti dovrebbero sentirsi coinvolti, perché ognuno di noi può trovarsi nella medesima condizione. E questo vale non solo per i giovani che si recano all’estero per motivi di impegno sociale ma anche per chi si sposta per lavoro, per studio o semplicemente per svago. Lo Stato deve essere in condizione di tutelare i suoi cittadini in qualsiasi parte del mondo essi si trovino.
Cosa vi da la forza di andare avanti in questa “ricerca della giustizia”?
La forza che ci fa andare avanti è il profondo amore per un figlio amante della vita, l’amore che egli stesso aveva per la sua famiglia, per i suoi amici, per la sua città. A Mario viene attribuita una “verità” ingiusta e non credibile, che infanga l’onorabilità di un giovane perbene che mai sarebbe sceso a compromessi, neppure con la morte.
Quali sono gli ostacoli che avete trovato?
Le difficoltà sono ovviamente da attribuire soprattutto ai silenzi dell’organizzazione con la quale Mario lavorava e che non si è resa né si rende collaborativa alla ricerca di una verità credibile. Siamo meravigliati dal comportamento dei suoi colleghi, ci sembra impossibile che non sappiano ciò che è successo negli ultimi giorni della vita di Mario, le eventuali dinamiche o dissidi. Crediamo che molte persone che gravitavano intorno a Mario sappiano più cose di quelle che hanno raccontato, ma che tacciano per paura.
Cogliamo l’occasione per divulgare una piattaforma online per chi volesse collaborare e fare testimonianza in assoluto anonimato e sicurezza. Basterebbe un indizio, un documento, una lettera che ci aiuti a capire cosa è successo nei giorni precedenti alla morte di Mario, avvenuta nella notte del 14 luglio 2020 subito dopo l’acquisto del biglietto per ritornare qui in Italia. Il link della piattaforma è https://leaks.marioveritas.org
Chi vi è vicino? Chi vi da forza e sostegno?
È difficile creare un elenco esaustivo per citare chi ci è stato vicino in questi 30 mesi. Cominceremo dalla Federazione nazionale stampa italiana e dal suo presidente Giuseppe Giulietti, tutti i giornalisti di Articolo 21 che ci sono stati vicini, in particolare Désirée Klain referente per la Campania, il Presidente del Sindacato giornalisti della Campania, Claudio Silvestri. I nostri avvocati Alessandra Ballerini ed Emanuela Motta che ci hanno supportato e sopportato. Il collettivo dei ragazzi Giustizia per Mario Paciolla, che fanno parte oramai della nostra famiglia. Le università e la scuola. Le associazioni e la società civile. Le Istituzioni centrali, tranne che nei primissimi momenti della morte di Mario, dopo sono state praticamente latitanti, tranne che per l’ex presidente della Camera dei deputati Roberto Fico che ci ha voluto incontrare di persona.
Abbiamo avuto solidarietà dal comune di Napoli prima con il Sindaco Luigi De Magistris, successivamente con l’attuale sindaco Gaetano Manfredi, e dai primi cittadini di numerosi comuni che hanno voluto, in varie forme, testimoniare solidarietà e vicinanza a noi e alla causa per avere verità sulla morte di nostro figlio. Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti.
Qual è ad oggi il vostro obiettivo?
Il nostro obiettivo primario in questo momento è che si continui a indagare sulla morte di Mario. Una vicenda così complessa e con tanti dubbi e domande non chiarite, avvenuta in un Paese dilaniato da un conflitto complicato, in un clima difficile da comprendere per noi che viviamo in tutt’altro contesto, non può essere archiviata in soli 27 mesi.
Per esempio, in Colombia, la morte per impiccagione risulta essere la modalità più frequente per camuffare un omicidio. Il 15 luglio 2022 abbiamo denunciato in Colombia i due funzionari dell’Onu che hanno ripulito con la candeggina l’appartamento di Mario e gettato in discarica prove utili all’indagine, e abbiamo denunciato i quattro agenti che avrebbero consentito questo grave atto. La richiesta di archiviazione della procura italiana ci viene comunicata a un mese esatto dalla stessa richiesta depositata in Colombia, con motivazioni simili, esattamente a distanza di un mese dalla nostra denuncia. A noi è sembrata quasi una singolare coincidenza temporale.
Un altro nostro obiettivo è raggiungere una verità credibile sulla morte di Mario e cioè che non fu suicidio ma palese omicidio. E poi sapere il perché dell’uccisione di nostro figlio e assicurare che sia fatta giustizia. Ci rendiamo conto che gli attori di questa vicenda sono potenti e che la verità potrebbe essere scomoda e pericolosa per molti, ma noi non ci arrenderemo mai né siamo intimoriti da nulla. Andremo avanti fin quando avremo voce.
Che cosa desiderate per il futuro? Esprimete un desiderio…
Ci auguriamo soprattutto che possa esserci una testimonianza decisiva per giungere a verità e giustizia e che, come abbiamo chiesto spesso “chi sa parli”. Nulla potrà alleviare un dolore così intenso, la morte di un figlio è talmente innaturale che non esiste un sostantivo in italiano per spiegare questa condizione, ma la verità sarebbe consolatoria per noi.
Il nostro desiderio invece è purtroppo impossibile da realizzare: svegliarci e accorgerci che è stato solo un brutto sogno: che Mario è vivo e continua a costruire la pace.
Ph. Gianluca Gasbarri