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Il grande albergo degli scienziati

by Giovanna Mozzillo

di Giovanna Mozzillo. Scrittrice

La prima caratteristica che colpisce chi legge Il grande albergo degli scienziati (s’intitola così il libro con cui Pier Antonio Toma ha voluto celebrare  i centocinquanta anni  della Stazione Zoologica Anton Dohrn) è il tono della scrittura: sempre vivace, coinvolgente, confidenzialmente discorsivo. Un tono la cui quasi “scanzonata” scorrevolezza è resa possibile dall’originalissimo impianto della narrazione che è tutta interpuntata dalle conversazioni tra Anton Dohrn e i suoi tanti interlocutori. Narrazione da cui emergono, a catturare e emozionare il lettore,  due  grandi protagonisti: Anton  e… Napoli. Fra essi il rapporto, subito ne prendiamo atto, è profondo, appassionato, ma al tempo stesso, contrastato.

Perché, vedete, sotto certi aspetti, Dohrn, pur essendo nato in Germania, è napoletanissimo: parlando gesticola a più non posso, si accalora, e senza reticenze si rivela. Ma al tempo stesso da noi, figli di Partenope, è molto dissimile, perché noi  spesso siamo indolenti, incostanti, partiamo in quarta, ma poi, cammin facendo, cambiamo obiettivo, mentre Dohrn per tutta la vita combatte sempre la stessa battaglia, parlando e scrivendo a chiunque possa aiutarlo nel suo intento, spiegando, perorando, improvvisando soluzioni sostitutive quando le precedenti appaiono inattuabili, senza mai né arrendersi, né ammettere possibilità di resa.

Ha deciso di realizzare a Napoli la Stazione Zoologica  e l’Acquario, e ci riuscirà: otterrà i fondi necessari a costruire la struttura, successivamente la ingrandirà, la farà abbellire e affrescare, la doterà di una ricchissima biblioteca, e si ritroverà a ricevere onorificenze (la nomina a “commendatore”, la cittadinanza onoraria) e a venire omaggiato e applaudito da tutto il mondo della cultura. Ma, prima di raggiungere un così gratificante successo, quanti scetticismi, quante divergenze, quante incomprensioni si troverà a fronteggiare, armato solo della chiarezza delle proprie idee e del proprio entusiasmo!

Lucidità di idee che gli consente di realizzare per primo come la ricerca, per esser fruttuosa, abbia bisogno di cooperazione collettiva e di organizzazione perfetta. E entusiasmo nella propria “missione” per cui gli appare inaccettabile che qui da noi la legge, invece d’ esser “civiltà”, a volte  si riduca a “serva della burocrazia”. Entusiasmo reso ancor più vivido  e trascinante dalla consapevolezza che la scienza non ha bisogno solo di razionalità, ma anche di fantasia. Perché è dalla fantasia che scaturisce la brama di indagare i misteri della natura, di tuffarsi nel suo magico universo. D’altronde la fantasia faceva parte del codice genetico di Anton, figlio di un padre che collezionava farfalle e di una mamma per la quale ”cultura” significava comprendere una sonata di Beethoven, non saper coniugare l’aoristo! Insomma, rispetto alla napoletanità comunemente intesa, una diversa mentalità e sensibilità, confermata dal suo amore sconfinato per il mare, mare di cui gli pareva che i napoletani  è come diffidassero, che lo accettassero, ma…senza aderirvi.

Mentre egli vi  nuotava e a sorsate ne beveva l’acqua, goloso di quel suo gusto che sa d’arcano e d’infinito.  E si sdegnava per l’apertura di via Caracciolo. Ma come ?, si chiedeva. Viene distrutta la spiaggia, si scaccia via il popolo umile che vi vive e lavora, i pescatori, i rammagliatori di reti, i tessitori di nasse? Ecco: forse la costruzione dell’Acquario ha anche il valore di un “no” a questa (vera o presunta) indifferenza.  Ma Dohrn è un personaggio che coi contrasti sa convivere, anzi, dai contrasti trae ulteriore vitalità, e quindi, malgrado questo divario con l’anima partenopea, avrà rapporti di profondissimo affetto con i collaboratori napoletani, da Torillo, lo scugnizzo figlio del portiere, poi divenuto studioso di vaglia e insignito di una laurea ad honorem, a Federico Raffaele, amato come un figlio.

Ma quel che in conclusione è più necessario sottolineare è che, con la sua refrattarietà a ogni didattica aridità meramente nozionistica e classificatoria, e soprattutto  con la sua straordinaria lealtà e empatia, egli compie il miracolo di trasformare in veri amici, pronti a darsi la mano l’un l’altro, tutti gli scienziati che dal mondo intero convergono all’Acquario, rendendolo una struttura che sarebbe giusto definire, più che internazionale, “sovranazionale”. Una struttura da cui è bandita la retorica, da noi spesso purtroppo dominante, e tiene banco, fervente, la passione per l’indagine del creato. E  del portento che nel creato s’incarna.

Ph. © Artem

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Giovanna Mozzillo

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