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Per una leadership femminile, riscoprire la comunità e il coraggio individuale

by Livia Turco

di Livia Turco. Presidente della Fondazione Nilde Iotti, già ministra della Repubblica italiana.

Intervista a cura di Claudio Paravati. Direttore Confronti

Il tema “genere e politica” è oggi quantomai centrale e il fatto di avere una presidente del Consiglio donna non fa seguito a una riduzione degli stereotipi di genere e della cultura maschilista tutt’oggi presente.

Attiva fin dal 1970 nel Partito comunista italiano, Livia Turco si è occupata della lotta al terrorismo, ma anche delle battaglie per superare l’istituzione dei manicomi, arrivare a una legge per la regolamentazione dell’aborto, combattere la disoccupazione giovanile e ottenere il Servizio sanitario nazionale (approvato nel 1978). Nel 1989 diventa una dei promotori dello scioglimento del Pci, con la svolta della Bolognina guidata da Achille Occhetto, per il suo superamento e dare vita a una nuova formazione politica: il Partito democratico della Sinistra. Nel 1995 partecipa alla elaborazione del progetto de L’Ulivo, e viene eletta presidente della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità della presidenza del Consiglio. Ricopre il ruolo di ministra per la solidarietà sociale dal 1996 al 2001 nei governi Prodi I, D’Alema I, D’Alema II e Amato II (dove si è occupata della legge 40/1998 Turco-Napolitano che disciplinava la materia dell’immigrazione in Italia), e ministra della Salute dal 2006 al 2008 nel governo Prodi II. Dal 2021 viene scelta dall’allora presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti per guidare l’Azienda dei servizi alla persona Istituto romano San Michele. Inoltre, ricopre attualmente il ruolo di presidente della Fondazione Nilde Iotti, la prima donna presidente della Camera dei Deputati. Abbiamo parlato con Livia Turco di un tema ancora centrale nel nostro Paese, ovvero il nesso tra “genere e politica”.

Qual è la situazione oggi sul tema “genere e politica”?

Avere oggi una presidente del Consiglio donna è certamente un fatto rilevante non solo da un punto di vista simbolico. Tuttavia, ciò non fa seguito a una riduzione degli stereotipi di genere e della cultura maschilista tutt’oggi presente, anche in politica. Quel che voglio dire è che l’ascesa di Giorgia Meloni e la sua vittoria elettorale non coincide con un rafforzamento della presenza politica delle donne o con una maggior forza delle donne in politica. Questa vittoria è certamente merito di indiscutibili capacità individuali ma non è il frutto di una mobilitazione che ha coinvolto le donne o che si è fatta carico di un messaggio specifico delle e per le donne. Ma di questo non si può fare una colpa solo a Giorgia Meloni, perché ha a che fare con la “qualità” della nostra politica: io penso, infatti, che esista un nesso tra le difficoltà che hanno le donne ad affermarsi in politica e la qualità della politica.

Credo che un certo tipo di politica – così sfacciatamente liberista, incentrata sull’“io” e sull’apparenza – sia una politica in cui non contano i legami sociali. Di conseguenza, le persone non sono direttamente coinvolte nella politica: non c’è partecipazione attiva. In questo tipo di dinamica le persone sono solo un mezzo per accedere agli umori della massa, di cui ci si serve strumentalmente.

Come se non bastasse, al giorno d’oggi la politica è sempre di più inaccessibile a chi non può disporre di grandi capitali e dunque si sta profilando sempre di più una politica “per censo”. È, questa, una politica che non solo è poco accessibile per le donne ma che è anche molto lontana dal loro modo di sentire. Anche per questo le donne se ne allontanano, hanno scarso interesse a candidarsi nelle fila di un partito, a ricoprire ruoli dirigenziali e perfino a votare, anche se sappiamo che quello dell’astensione è un problema molto diffuso e che travalica i generi. Inoltre, anche nell’attualità si conferma il dato storico per il quale la sensibilità femminile – anche nella dimensione pubblica – è maggiormente incline a prestare attenzione alla comunità, alla cura dei legami umani. Quello della “cura” è ancora un concetto cruciale che mal si concilia con la politica agìta nel mondo di oggi: una distanza che è quindi “esistenziale” oltre che “culturale”.

La prima donna con un ruolo così importante ci arriva dalla Destra. Quali le responsabilità della Sinistra?

La Sinistra ha molte responsabilità in questo senso: non solo ha “perso per strada” il senso di tante lotte del Femminismo, ma soprattutto ha avuto un ruolo subalterno nella trasformazione della politica. Se anche per la Sinistra il senso della politica è l’“io” e la conseguente corsa alla carriera, viene meno la centralità dei legami umani e sociali e dunque si perde la capacità di costruire lotte e mobilitazioni. Una cosa che sarebbe stata impensabile nel Pci di Enrico Berlinguer ma anche tra i Democratici di sinistra: allora c’era non solo attenzione ma anche la promozione di una leadership diffusa delle donne. Invece nell’era in cui, ancora una volta, è il singolo a contare, il “capo”, unitamente all’idea che il “muro di vetro” che separa i generi è ormai rotto, ha portato una generazione di giovani donne a pensare che le istanze del Femminismo fossero ormai da archiviare insieme alla generazione che le aveva sviluppate. Per questo motivo concetti come il “gioco di squadra” e la specificità femminile sono state considerate come retaggio del passato, poiché nel presente a “pagare” è solo il merito (in senso deteriore), la competenza individuale e la capacità di allearsi con l’“uomo giusto”.

La responsabilità di tutto questo è ovviamente diffusa, ma riguarda molto le stesse donne di Sinistra soprattutto in riferimento all’esercizio della leadership. Perché di donne leader a Sinistra ce ne sono e ce ne sono state: donne capaci e competenti che si sono affermate e che hanno avuto anche ruoli apicali. Penso al governo Renzi ma anche alle candidate alla Segreteria nazionale del Partito democratico. Il problema è nella qualità della leadership che dovrebbe essere diffusa e non limitata a una singola persona, uomo o donna che sia.

La storia ci insegna che per costruire una leadership femminile c’è bisogno di tenere insieme due qualità che invece si tende a tenere separate: il senso della comunità – del “noi” – e il coraggio individuale. Se ripenso alla mia storia personale e quella delle donne comuniste – una bellissima storia di sorellanza! – vedo che tra noi era presente un senso della leadership diffusa e le nostre ambizioni erano rivolte al “noi”: eravamo impegnate a ottenere dei risultati attraverso il gioco di squadra. Una parte di storia tutta da riscoprire.

Le nuove generazioni stanno recuperando alcune di queste battaglie in salsa inedita, meno “politicizzata”.

Confido molto in questa generazione, quella che io chiamo la “generazione della precarietà”, perché sa che cosa vuol dire l’incertezza del futuro ma nonostante ciò è alla ricerca di valori, ha volontà di esprimersi ed è desiderosa di entrare in contatto con adulti autorevoli. Per questo è e sarà molto importante ascoltarla. Non c’è dubbio, però, che è una generazione che non ha conosciuto una politica di comunità, una politica collettiva. Quindi ritorna il tema della responsabilità dei partiti, ovvero se vogliono essere in grado di costruire questa politica comunitaria, collettiva, di comunità. Io ritengo che i giovani, come le donne, siano veramente l’elemento sfidante sul piano delle grandi battaglie. Al giorno d’oggi la società è molto sofferente, ma sono in atto anche molte interessanti pratiche sociali, modalità anche innovative di impegno. E quindi più che mai c’è il dovere di un partito come il Pd di ascoltare, di imparare, di andare nei luoghi, di tessere legami umani, di costruire comunità.

Qual è un tema importante ma di cui non si sente parlare a sufficienza?

Indubbiamente un tema che non viene quasi mai nominato è quello della condizione degli anziani, soprattutto di quelli non autosufficienti. In un Paese come il nostro, in cui si registra il tasso tra i più alti al mondo dell’invecchiamento della popolazione, sono tantissimi gli anziani a basso reddito che vivono soli, eppure c’è una diffusa mancanza di servizi e la cura dei propri cari grava pesantemente sulle famiglie. Ciononostante è molto difficile ascoltare una riflessione su questo tema, sia in politica che nel dibattito pubblico. A entrare nel vivo del tema sono le organizzazioni di “addetti ai lavori”, come Caritas o Comunità di Sant’Egidio.

Paradossalmente la politica non parla del tema anche quando fa qualcosa, come nel caso del Disegno di legge delega sulla non autosufficienza delle persone anziane, approvato dal Consiglio dei Ministri del governo Draghi lo scorso 10 ottobre, su iniziativa del ministro Andrea Orlando e Roberto Speranza e sul quale ho lavorato personalmente per due anni. Sarebbe opportuno che i partiti, e soprattutto quelli dei ministri maggiormente coinvolti, facessero tornare questo tema al centro del dibattito pubblico.

Ph. © Vidar Nordli Mathisen via Unsplash

Livia Turco

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Presidente della Fondazione Nilde Iotti, già ministra della Repubblica italiana

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