di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.
Il battesimo è stato recentemente al centro di diatribe. La prima ha coinvolto una chiesa svizzera che voleva esercitare il proprio “diritto” di celebrare il rito nel lago Lemano. In Italia invece si è aperto un dibattito sul fatto che battezzare i/le minori, che non possono esprimere un dissenso, sia lesivo per i diritti dell’infanzia. Cosa succede se la religione viene confinata a “fatto privato”?
La stampa elvetica, ma non solo, ha recentemente riportato un interessante episodio di cronaca religiosa e civile. Una chiesa evangelica libera, con sede a Coligny, nel cantone di Ginevra, ha deciso di ricorrere al Tribunale federale contro una sentenza della Camera amministrativa della Corte di giustizia cantonale: quest’ultima aveva confermato il divieto, da parte della pubblica autorità, di celebrare dei battesimi nel lago Lemano.
Secondo la legge ginevrina, i riti religiosi devono avvenire, di norma, in ambito privato. Eccezionalmente, possono essere autorizzati anche in uno spazio pubblico, a patto che l’autorità verifichi «i rischi che l’evento può comportare per la sicurezza pubblica, la tutela dell’ordine pubblico o la protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Tale possibilità, comunque, riguarda solo le comunità religiose che godano di riconoscimento statale e non è il caso di quella di Coligny. Dunque, niente battesimi. Vedremo che cosa deciderà il Tribunale federale.
Ciò che più colpisce in questa vicenda è l’associazione tra il culto religioso e lo spazio “privato”: che la “religione” sia “un fatto privato” lo dicevano, nel Novecento, i nazisti e gli stalinisti, i quali poi, però, la perseguitavano in ogni caso, tanto per andare sul sicuro. A quanto pare, hanno fatto proseliti.
Se il battesimo di credenti da parte evangelical fa problema ai sommi sacerdoti del laicismo ginevrino, quello dei fanciulli viene preso di mira dalle Newsletter della rivista Micromega (24 gennaio 2023): Alessandro Giacomini decreta che esso costituisce una violazione dei diritti dell’infanzia, in quanto la persona interessata non è in grado di esprimere un parere.
Non pago, l’articolista aggiunge, fraintendendo grossolanamente la situazione tedesca, che il cittadino o la cittadina battezzata sarebbero obbligati, da adulti, a pagare più tasse. Morale: bisognerebbe vietare il battesimo dei minori.
A scanso di equivoci: è evidente che i comportamenti religiosi, come tutti gli altri, non godono di una libertà assoluta: lo Stato ha, in effetti, il compito di vigilare che essi siano compatibili con i diritti che la legislazione garantisce a tutte le cittadine e a tutti i cittadini. Casi come il contenzioso ginevrino o la proposta di Micromega, tuttavia, suscitano qualche interrogativo: ne menziono tre.
Il primo consiste in un risentimento, antireligioso, in questi casi anticristiano, che non può non costituire un problema per la libertà religiosa.
È vero: nemmeno la Ginevra di Calvino avrebbe autorizzato il battesimo di un gruppo di credenti confessanti nel lago Lemano (né altrove, per la verità!): credevamo, però, di aver capito che quel rifiuto fosse espressione di un’intolleranza che, nel corso dei secoli, e con il decisivo contributo del pensiero illuminista, è stata superata.
Che ora si ripresenti in prospettiva laicista, lascia, come minimo, perplessi. La proposta di Micromega, poi, supera, quanto a zelo poliziesco, l’Unione Sovietica e la Ddr, dove i battesimi di fanciulli e fanciulle erano consentiti, a patto che non facessero troppo rumore (un “fatto privato”, appunto): il modello sembra piuttosto l’Albania di Enver Hoxha.
Il secondo rischio risiede, ancora più radicalmente, nell’imposizione di un tipo di ideologia che si presenta come “laica”, mentre in realtà costituisce una “religione civile”, con le sue “liturgie” e la sua “casta sacerdotale”. Tale eventualità rischio non è sfuggita a osservatori difficilmente sospettabili di clericalismo ma, a quanto pare, non tutti/e hanno udito.
E poi vi è un terzo pericolo, solo apparentemente di segno opposto: fornire argomenti a coloro che, da parte “religiosa” e anche cristiana, non vogliono saperne di accettare le regole del gioco di una democrazia pluralista e insistono a confondere la libertà religiosa con una specie di “diritto di ingerenza ecclesiastica”.
In un Paese al tempo stesso ateo e bigotto come il nostro, è urgente convincersi che l’alternativa alle tentazioni clericali non consiste in una furia giacobina, peraltro in ritardo di due secoli e mezzo, bensì nell’approfondimento di una cultura democratica, alla quale anche le religioni sono chiamate a contribuire.
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Fulvio Ferrario
Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma