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Aldo Capitini

by Goffredo Fofi

di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.

Aldo Capitini (1899 – 1968) fu filosofo, politico, antifascista, poeta ed educatore nonché tra le prime personalità nel nostro Paese a recepire il pensiero nonviolento gandhiano, al punto da essere chiamato il “Gandhi italiano”.

Ad Aldo Capitini (Perugia 1899- 1968), filosofo e pedagogista, pensatore eminentemente religioso, ho il forte rimorso di non aver voluto abbastanza bene benché sia stata una delle persone che più mi hanno aiutato a trovare o chiarire le confuse idee che mi venivano da esperienze socialmente e culturalmente disparate.

Seppi della sua esistenza quando, appena diplomato maestro elementare, volli seguire le esperienze di lotta di Danilo Dolci in Sicilia, e grazie a quell’esperienza entrai in contatto con tante persone straordinarie di quegli anni, un po’ in tutta Italia; quella però a cui mi legai soprattutto fu Capitini, anche perché eravamo entrambi umbri, e la mia Gubbio dista quaranta chilometri dalla sua Perugia (e trenta da Assisi).

So di averlo “tradito” più volte, per esempio quando a Torino, nel gruppo dei Quaderni rossi, mi accostai al mondo degli operai di fabbrica e smisi perfino, per diversi anni, di essere vegetariano.

Anche il vegetarianesimo, peraltro, lo avevo appreso da Dolci che lo aveva appreso da Capitini… Che a sua volta l’aveva appreso, credo, tramite Gandhi.

Il pacato ma deciso confronto che Capitini (Aldo!) imponeva ai suoi interlocutori quali che fossero sui temi fondamentali della violenza e della pace e sui modi di intervenire nel mondo, di cambiare il mondo, da cui era indispensabile partire – del rifiuto della violenza – era quanto di più socratico mi sia mai accaduto di incontrare, imponendo all’attenzione del suo interlocutore, colto o incolto, borghese o proletario, anche un modo di discutere, un metodo del confronto.

Il punto su cui più insisteva, alla base di tutto, era la non-accettazione del mondo così come ce lo troviamo davanti. Diceva che non bisognava accettare una realtà dove esistono la morte, la solitudine, il dolore degli esseri, la violenza tra gli uomini e nella natura e che una realtà come questa andava rifiutata, che non la si doveva accettare.

La “non-accettazione” del mondo così com’è è alla base di tutto; e sono convinto che, prima di tutto, sia alla base del messaggio cristiano, della tensione attiva a una realtà liberata dal male, che non accetta il mondo così com’è e vuole intervenirvi positivamente per mutarlo.

Negli anni del Fascismo questa convinzione non era tollerabile, così come non lo fu dopo la guerra nelle due parti in cui si pretese di dividere il pianeta: tra Est e Ovest o, come Capitini diceva, tra “l’assoluto dello Stato” e “l’assoluto del benessere”.

Sostenitore e teorico della disobbedienza civile nelle parole e nei fatti, sulla scia di Henry David Thoreau, Lev Tolstoj e Mahatma Gandhi ma anche da acuto lettore di Giacomo Leopardi e di Giuseppe Mazzini, Capitini fu presente nelle lotte sociali e nei conflitti ideologici del tempo da posizioni rigorosamente nonviolente e però in un continuo sforzo di dialogo, che non sempre era bene accetto dalle due parti a confronto, da Dc e Pci.

Sostenne l’obiezione di coscienza al servizio militare e un pacifismo non opportunista, le politiche della coesistenza (e in primis quella emersa dalla Conferenza di Bandung del 1955, con la richiesta di autonomia del cosiddetto “Terzo mondo”), e organizzò nei primi anni Sessanta le marce della pace come la Perugia- Assisi che ebbe una risonanza grandissima, e segnò davvero un’epoca e le sue speranze. E l’ultimo o uno degli ultimi suoi interventi fu una Lettera agli studenti del ’68 in cui raccomandava di non abbandonare mai la pratica dell’assemblea, del discorso e del confronto collettivo, del dialogo.

“Tradii” molte volte Capitini, e addirittura non mi recai ai suoi funerali – e me ne vergogno – perché in quel giorno c’era a Milano qualche provvisoria assemblea o manifestazione studentesca.

Ma dei miei allontanamenti egli mai sembrò volermene, dicendomi che era giusto facessi la mia strada, le mie esperienze, le mie scelte. Al contrario di altri maestri che chiedevano piuttosto seguaci o imitatori che non individui autonomi, vicini a loro ma in modi diversi dal loro.

Illustrazione © Doriano Strologo

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Goffredo Fofi

Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.

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