di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.
Rispetto al passato, oggi c’è più scetticismo nel pensare al G20 come un foro privilegiato per una rinnovata governance globale dell’economia. Uno dei “punti deboli” più evidenti: il fatto che sia formato da Paesi tra loro molto diversi in termini di struttura politica interna.
In questa fase di instabilità politica ed economica molti si chiedono quali saranno i “luoghi” in cui una nuova cooperazione a livello globale potrà prendere forma. Negli anni scorsi secondo alcuni il G20 sarebbe potuto divenire il foro privilegiato per una rinnovata governance globale dell’economia.
Il premio Nobel Michael Spence, infatti, nel suo libro del 2012 La convergenza inevitabile, una via globale per uscire dalla crisi aveva indicato in esso il luogo ideale dove elaborare strategie comuni per la crescita economica globale. Tale posizione però oggi appare non più condivisa ovvero pienamente fondata.
Il G20 non sembra in grado di giocare tale ruolo perché, finora, non ha contribuito in maniera sostanziale alla costruzione di un nuovo sistema politica internazionale. Pochi sono stati i risultati conseguiti.
Uno dei limiti del G20 è molto probabilmente il fatto che esso è formato da Paesi tra loro molto diversi soprattutto per quanto attiene alla struttura politica interna. In particolare, alcuni dei Paesi del G20 sono autocrazie, non sono democrazie sostanziali, ovvero “democrazie in crisi” che hanno svoltato verso l’autoritarismo.
Prima della recrudescenza della guerra tra Russia e Ucraina, alcune iniziative del G20 avevano lasciato ben sperare. Ad esempio, la consapevolezza che la situazione di indebitamento di molti Paesi fosse divenuta critica a causa del Covid in molti Paesi a basso reddito aveva spinto nell’aprile del 2020 i leader del G20 a lanciare un’iniziativa che consentisse la sospensione dei pagamenti del debito tra governi di 73 Paesi a basso reddito.
Questa iniziativa che si era poi conclusa nel dicembre del 2021 è stata sostituita dal Common Framework che vede il G20 in accordo con il Club di Parigi [un gruppo informale di organizzazioni finanziarie dei 22 Paesi più ricchi del mondo, che procede a una rinegoziazione del debito pubblico bilaterale dei Paesi del Sud del mondo] per trovare misure per sostenere i medesimi Paesi a basso reddito.
Sempre prima della guerra da evidenziare era stato nell’ottobre del 2021 anche un primo accordo storico in sede Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) quando 136 Paesi si erano trovati d’accordo nell’imporre una tassazione minima del 15% a partire dal 2023. Questo accordo era stato però preceduto nel luglio 2021 dall’accordo raggiunto dai ministri delle finanze del G20. Tali iniziative però hanno perso di forza in seguito alla recrudescenza della guerra tra Russia e Ucraina.
Nella riunione del G20 del 24 febbraio 2023, i Paesi si sono trovati in disaccordo sul testo di una dichiarazione finale congiunta. Le divisioni si sono manifestate in maniera evidente.
Alla luce dell’incapacità del G20 di giocare un ruolo effettivo nella scrittura delle regole internazionali, probabilmente non si potrà fare a meno di una pluralità di attori istituzionali in cui gli stati giochino ruoli diversi a seconda dei diversi temi affrontati.
Ad oggi probabilmente il G20 avrà maggiore capacità di azione su temi economici così come aveva dimostrato fino a prima della guerra e invece le istituzioni tradizionali come l’Onu potranno mantenere un ruolo primario – se adeguatamente rinnovate – nell’ambito della diplomazia e del mantenimento della pace.
Oggi sembra difficile trovare una soluzione a questo dilemma ma presto l’urgenza di una nuova architettura istituzionale non sarà più rinviabile.
Foto © Paul Kagame via Flickr
Raul Caruso
Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana