di Elisabetta Ribet. Dottoressa in Teologia protestante all'Università di Strasburgo
Intervista a cura di Claudio Paravati
Con Propaganda – pubblicato in Francia nel 1962 e finora inedito in Italia – il filosofo, sociologo e teologo francese Jacques Ellul inquadra il fenomeno della propaganda analizzandone gli aspetti sociologici e la capacità di plasmare le masse e gli individui inducendoli a azioni anche eterodirette pur conferendo un senso gratificazione personale. È in questo libro che per la prima volta si analizza con puntualità la centralità della propaganda e dei suoi effetti nella società contemporanea, individuandolo come fenomeno centrale e imprescindibile ma da cui è bene stare in guardia per la sua azione sostanzialmente antidemocratica. Ne abbiamo parlato con Elisabetta Ribet, dottoressa in Teologia protestante all’Università di Strasburgo, dove insegna Teologia pratica ed etica che ha curato la traduzione dell’edizione italiana del volume.
È stato impegnativo tradurre Propaganda? Quali le sfide del “francese” di Ellul?
È stata un’esperienza molto impegnativa, sì. A dire il vero, non è stata una mia idea, questa traduzione. I miei più grandi ringraziamenti vanno all’editore Piano B, di Prato: sono loro all’origine del progetto, e loro mi hanno contattata. Un incontro bello e ricchissimo, ma anche, per me, una sfida: conosco meglio il Jacques Ellul credente cristiano, e la parte teologica della sua opera. Affrontare la traduzione di Propagandes è stato quindi un lavoro di riscoperta e di approfondimento della conoscenza di un autore dai mille volti, e dalle mille competenze.
Propaganda è, in effetti, un libro lungo, a tratti difficile, e soprattutto pubblicato nel 1962. Un libro del quale, prima di tutto, ho cercato di scoprire la storia: conoscendo il metodo di lavoro di Ellul, mi aspettavo una gestazione lunga, e l’ho riscontrata. Un primo corso di storia della propaganda, non pubblicato, risale al 1952, dieci anni prima della pubblicazione del libro. A questo primo nucleo, che diventerà un libro a sé stante nel 1967 (Histoire de la Propagande, PUF, 1967, coll. Que sais-je), Ellul affianca un lavoro di ricerca interdisciplinare, come spesso fa quando affronta tematiche ampie come la propaganda, la tecnica, la rivoluzione, l’etica. Il risultato è un testo estremamente denso, “coevo del proprio tempo” e quindi ricchissimo di allusioni ad episodi storici, personaggi e questioni di attualità estrema, di cui non sempre un lettore del 2023 è a conoscenza, men che meno un lettore non di cultura francese, o di una generazione relativamente giovane. Un altro elemento tipicamente elluliano è la disincantata lucidità con la quale l’autore analizza e giudica le realtà. Ellul, come spesso accade, non risparmia nessuno. Così, in Propagandes, scopriamo passo a passo metodi, aneddoti, esempi che appartengono a tendenza politiche e sociali estremamente varie: dalla Cina di Mao agli Stati Uniti, dagli studi di Goebbels alla Francia che vive la guerra d’Algeria. In questo si riconosce il professore di storia delle istituzioni.
Ma Ellul trascina il lettore ben oltre l’aneddoto, verso l’analisi. In questo, direi, ho sperimentato la parte più difficile del lavoro di traduzione. Oltre agli esempi, contestualizzati in personaggi e dinamiche storiche, Ellul presenta ed analizza metodi, dinamiche, punti di forza e fragilità di ogni tipo di propaganda. Il risultato è, per certi versi, un manuale. Tanto più agghiacciante quanto più, avanzando nella lettura e nella traduzione, ci si rende conto che, per quanto diversi possano essere i contesti, le dinamiche e i criteri, quelli, mostrano elementi costanti, comuni a qualunque epoca, cultura e latitudine. Quello che, in un primo momento, potrebbe quindi sembrare un testo “vecchio” ed estremamente contestualizzato rivela, pagina dopo pagina, tutta la sua universalità e la sua attualità. A tratti ci si sente presi a pugni nello stomaco.
Ellul lavora sulla propaganda, memore del suo impegno nella resistenza francese durante l’occupazione nazista di vent’anni prima. È questo il motivo che lo preoccupa?
Il rapporto di Ellul con la politica e con l’analisi del linguaggio e degli strumenti delle istituzioni passa, senza dubbio, attraverso il suo proprio vissuto. Durante la seconda guerra mondiale, Ellul perse prima il lavoro (nel 1939 era stato nominato professore di storia del diritto all’Università di Strasburgo e, pochissimo tempo dopo lo sfollamento dell’Università a Clermont-Ferrand, nel 1940, poco dopo l’Armistizio, l’incarico gli fu revocato dal governo di Vichy, perché aveva messo in guardia gli studenti contro il maresciallo Pétain) per poi entrare, effettivamente, nella Resistenza. Non imbracciò mai le armi: il suo impegno consisteva nel fabbricare documenti falsi e nell’aiutare le persone ad attraversare la linea di demarcazione. Al termine della guerra, ricoprirà per sei mesi l’incarico di assistente al sindaco di Bordeaux. Basteranno sei mesi a farlo desistere, con la consapevolezza che si farà sempre più acuta, del fatto che la politica non è che un’illusione (L’illusion politique, uno dei suoi testi sul tema, sarà pubblicato nel 1965), i cui meccanismi sono, per forza di cose, guidati e controllati da quella “Società tecnica” che studierà ed analizzerà tutta la vita. A preoccupare l’autore, nutrendo così il percorso di studio ed analisi della propaganda e delle sue dinamiche, è quindi la profonda collusione tra la propaganda e la Società tecnica. Lo Stato moderno, per Ellul, è uno dei frutti di tale società, e la propaganda ne è il necessario linguaggio.
L’analisi di Ellul è approfondita, e non tralascia alcuna angolazione: tiene insieme sociologia, teoria dei media, psicologia… Ma andiamo con ordine. Qual è l’ipotesi del libro? E come struttura l’indagine?
L’ipotesi che struttura il libro è che nel Ventesimo secolo, attraverso la progressiva “tecnicizzazione” delle società, il rapporto tra la propaganda in ogni sua forma e le ideologie si sia evoluto. Se, fino ad allora, la propaganda era un mezzo – o un insieme di mezzi e tecniche – utilizzato per argomentare e convincere le masse ad aderire ad un’ideologia specifica, nel ventesimo secolo ci si è resi conto del fatto che il mondo moderno era fondamentalmente un mondo di “mezzi”, e che ciò che ormai era diventato fondamentale, un valore supremo, era il fatto di utilizzare tali mezzi. Nel contesto socio-politico ed economico, Lenin ed Hitler per primi, afferma Ellul, hanno capito l’importanza di questo spostamento dell’asse. The medium is the message! Ciò che ormai era importante era il fatto di mostrare “il progresso”, e di sacralizzarlo. I Fini, gli scopi, il perché delle cose dette e fatte, era, ormai, passato definitivamente in secondo piano, quando non sparito. La propaganda è il linguaggio, l’insieme di mezzi di un governo, una società, si dota perché il sistema-paese possa “funzionare”. “L’ideologia interessa Lenin ed Hitler solamente in quanto essa può servire all’azione, entrare nel contesto di un piano, di una strategia. Esiste soltanto a condizione di poter essere utilizzata”, scrive Ellul (p. 217 dell’edizione originale del 1962).
Lo studio dell’argomento, quindi, segue un approccio scientifico: un primo capitolo in cui si elencano i “caratteri esterni”, visibili, palesi, dei diversi tipi di propaganda; un secondo capitolo che ne illustra ed approfondisce le “condizioni di esistenza”, e mostra come la propaganda sia qualcosa di “necessario” alle società industrializzate del Ventesimo secolo. A seguire, Ellul presenta ed analizza gli effetti prodotti, a livello psicologico, sul singolo individuo e sulla sua appartenenza – affiliazione, ed a livello sociopolitico, nelle relazioni tra i diversi gruppi che costituiscono la società.
Quali sono le novità che Ellul con quest’opera portava all’attenzione degli studiosi?
Una volta di più, lo stile e l’approccio di Ellul al tema che approfondisce è “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio” [cit. Il Cinque Maggio di Alessandro Manzoni]. L’analisi che presenta non risparmia nessun regime, nessuna realtà: dal singolo individuo alla Nazione, dalla Chiesa al regime, il sociologo delle istituzioni propone uno sguardo a trecentosessanta gradi sulle dinamiche e sulle tipologie di propaganda, e sui diversi effetti che essa porta nel concreto delle esistenze. Questo approccio è in sé abbastanza singolare e provocatorio, tanto per i suoi contemporanei che per chi leggerà oggi, per la prima volta in italiano, quest’opera. Non c’è spazio per le apologie, per le giustificazioni. Non vengono risparmiati i “pecoroni”, ma ancor meno coloro che, convinti di disporre di uno spirito critico e di una certa qual libertà di coscienza, si credono al riparo dalle dinamiche del gregge, dal quale sono convinti di essere lontanissimi.
Inoltre, una volta di più, Ellul propone le sue riflessioni critiche rispetto al “Sistema tecnico”, come dicevamo. Un sistema sociale, politico ed economico, a livello nazionale ed internazionale, nel quale vige la cosiddetta Legge di Gabor, secondo la quale le cose si fanno perché è possibile farle, e non perché ci sia una ragione particolare per metterle in atto. Una società, dicevamo, nella quale a primeggiare sono i mezzi, l’efficacia e il culto del “tutto subito”, in seno alla quale le persone vanno convinte a fare, ad agire, a re-agire, e non certo a pensare a ciò che fanno e per quale motivo.
Nel rileggere oggi questo libro troviamo ancora indicazioni preziose per comprendere il nostro mondo, seppur così radicalmente cambiato rispetto a sessant’anni fa?
Credo che quanto detto finora sia già servito ad indicare alcune ragioni che rendono la lettura – o la ri-lettura – di Propaganda importante, fondamentale e sconvolgente ancora per i nostri giorni, nonostante la “lontananza” nel tempo di alcuni esempi. Le dinamiche di fondo non sono affatto cambiate, anzi. Ai tempi in cui Ellul scriveva, la frammentazione delle società industrializzate era appena agli albori, la crisi ambientale e sociale si intravedeva, all’orizzonte, ed Ellul, con pochi altri (Ivan Illich, Raimon Panikkar, Bernard Charbonneau, per esempio), era tra i primi a suonare l’allarme. Internet, in particolare, tra i “mezzi” utilizzati con un’intensità tale da sacralizzarlo e renderlo Fonte di Verità, con la rivoluzione ulteriore che ha portato, era ancora un’u-topia. Ciononostante, Propaganda, basandosi sull’analisi storica e sociologica ampia e diversificata che abbiamo sottolineato, fornisce chiavi di lettura e segnala elementi da tenere sotto osservazione che non hanno perso, oggi, nemmeno una briciola del loro valore.
Una lettura per stomaci forti, che ribadisce e rinnova l’importanza della conoscenza della storia e rivendica il diritto, in un mondo che spinge alla frammentazione ed alla specializzazione, di portare sugli eventi uno sguardo pluridisciplinare ed attento alle relazioni tra gli elementi e tra i soggetti coinvolti.
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Elisabetta Ribet
Dottoressa in Teologia protestante all'Università di Strasburgo