di Vittorio Cogliati Dezza. Già presidente nazionale di Legambiente, coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità.
Secondo le attuali tendenze la temperatura salirà di 2,8 gradi entro la fine del secolo, ma è possibile limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi, se le emissioni di carbonio saranno ridotte del 45% entro il 2030, con uno sforzo ben maggiore per i Paesi sviluppati.
I dati sono inequivocabili, li certifica l’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e sono condivisi dal 99% della comunità scientifica mondiale. Recentemente il segretario generale dell’Onu António Guterres ha dichiarato che «siamo molto lontani dal rispetto delle promesse e dagli impegni climatici. […] Questo significa catastrofe […] È tempo di accelerare la giusta transizione. Tutta questa azione deve essere globale e immediata». Insomma la crisi climatica galoppa, segnata da fenomeni estremi, violenti ed imprevedibili. Solo in Italia in 12 mesi: Marmolada Marche Ischia, +29% di decessi per ondate di calore (come certificano Istat e ministero della Salute), siccità estrema, e poi ancora alluvioni fino alla catastrofe in Emilia Romagna. Solo nei primi cinque mesi del 2023 +135% di eventi climatici estremi rispetto al 2022, come documenta Legambiente.
E la politica che fa? Sembra un secolo fa quando a febbraio del 2021, il premier incaricato Mario Draghi consultò anche le tre principali associazioni ambientaliste italiane e inaugurò il nuovo ministero della Transizione ecologica. Impegno puntualmente disconosciuto nei mesi successivi, con ritardi e rinvii per rinnovabili, comunità energetiche, mobilità, mentre salgono a 22,4 miliardi i Sussidi ambientalmente dannosi e, sotto la spinta della guerra in Ucraina, sono bastati sei mesi per autorizzare due nuovi rigassificatori, contro i 14 anni per l’impianto eolico off-shore di fronte a Taranto.
Fino alla famigerata battuta del ministro Cingolani che nel luglio 2021 profetizza il “bagno di sangue” provocato dalla transizione ecologica. Una “voce del sen fuggita” o piuttosto un endorsement per lo status quo? Sta di fatto che da allora è iniziata una battaglia, su tutti i piani, tra due grandi cordate economiche per delineare perdenti e vincenti della transizione ecologica.
Da un lato i difensori del fossile, dall’altro i promotori delle rinnovabili. Con due capofila nazionali di tutto rispetto: Eni da un lato, Enel dall’altro. In palio non è tanto l’uscita dal fossile, da anni ritenuto inevitabile, anche per i costi crescenti delle ricerche per nuovi giacimenti, quanto la velocità con cui ci si debba arrivare: Eni punta a rallentare, Enel ad accelerare.
Un’offensiva del fossile che ha toccato anche l’Europa, con l’inserimento, nel 2022, di nucleare e gas tra le fonti accettate nella tassonomia per gli investimenti sostenibili. Salvo poi, sotto la pressione della guerra in Ucraina, dover accelerare in rinnovabili ed efficienza energetica per liberarsi dal gas russo con il piano REPowerEU, la proposta di case green e lo stop alle auto con motore endotermico nel 2035.
In questo contesto esplode l’alluvione in Emilia Romagna. La strategia inaugurata da Cingolani fa un balzo in avanti. L’ambientalismo diventa il nemico da battere: i danni della siccità sono colpa di chi non fa fare gli invasi, le alluvioni di chi non vuole dighe ed argini, con la complicità delle nutrie. Additare il nemico è la via maestra per scaricare responsabilità, sia per chi a Sinistra ha governato finora, sia per chi, sostituendo l’amministratore delegato di Enel nello spoil system per le Partecipate, senza toccare l’Eni, ha dichiarato da che parte sta. È la conferma che la Destra europea e nazionale, più o meno estrema, si identifica nella strategia trumpiana, da sempre a favore del fossile. Una Destra che fa leva sulle paure e intacca il senso comune creando nuovi nemici interni: i poveri, i migranti, le famiglie arcobaleno, ed ora gli ambientalisti…
Perché una cosa la Destra internazionale ha capito: è finita l’era delle “magnifiche sorti e progressive”, il futuro non è più la speranza del “sol dell’avvenire”. Il futuro è precarietà, insicurezza, paura ed ansia, anche per effetto della crisi climatica e sociale.
Il bottino a portata di mano le elezioni europee, dove la differenza la faranno tutti coloro che “hanno paura di perdere”, gli stessi che nella giusta transizione potrebbero trovare il loro percorso di emancipazione, intrecciando il proprio destino con l’interesse generale, sciogliendo così quel nodo gordiano.
Foto© Nazrin Babashova via Unsplash

Vittorio Cogliati Dezza
Già presidente nazionale di Legambiente, coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità.