di Enzo Nucci. Giornalista. Già corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.
Scendono in piazza i giovani e giovanissimi del Senegal in seguito alla condanna a due anni di prigione per “corruzione di giovani” del leader dell’opposizione e aspirante candidato alle presidenziali Ousmane Sonko. L’unico a poter tener testa all’attuale presidente Macky Sall, fortemente criticato per aver «indebolito il tessuto sociale e sgretolato le istituzioni».
Nelle strade a protestare contro il presidente del Senegal Macky Sall ci sono essenzialmente i giovani che rappresentano il 75% della popolazione, mentre gli under 20 sono addirittura la metà dei 17 milioni di cittadini che affollano la grande nazione dell’Africa occidentale. Una generazione costretta all’emigrazione, emarginata dal punto di vista socioeconomico e che accusa il governo di incapacità nel contenere i contraccolpi della pandemia e della guerra in Ucraina.
Sul banco degli imputati c’è Macky Sall, eletto per la prima volta nel 2012, riconfermato nel 2019 alla guida del Paese, e oggi fortemente tentato di cambiare con astuzia la Costituzione per presentarsi per un terzo mandato presidenziale nelle elezioni in programma nel prossimo febbraio. È lo stesso politico che nel 2012 divenne il simbolo delle proteste popolari contro il precedente presidente che voleva (guarda caso) svolgere un terzo mandato, in violazione delle leggi.
L’ex ingegnere ha dimostrato di sapere usare il pugno di ferro contro chi contrasta il suo disegno di potere, perseguitando l’opposizione e il libero pensiero, incarcerando attivisti politici e giornalisti, vietando cortei pacifici, condizionando pesantemente la magistratura in processi farsa sfociati in verdetti incredibili e nella reclusione illegale degli oppositori. Già nel marzo 2021 ci furono proteste che causarono la morte di 14 manifestanti. Intellettuali e studiosi affermano che «la storia lo ricorderà come l’uomo che ha trascinato il Senegal in una crisi politica senza precedenti, ha indebolito il tessuto sociale e sgretolato le istituzioni».
Accuse pesanti come macigni in una nazione che pur tra mille difficoltà e sussulti resta un faro di democrazia nell’Africa occidentale e del Sahel fin dall’indipendenza dalla Francia nel 1960.
Ad accendere le violenze di piazza nei primi giorni di giugno (con almeno 16 vittime, 400 feriti e centinaia di arresti) è stata la condanna a due anni di prigione per “corruzione di giovani” del leader dell’opposizione ed aspirante candidato alle presidenziali Ousmane Sonko. La condanna segue all’accusa di stupro di una dipendente di un salone di massaggi da lui frequentato. I giudici lo hanno ritenuto colpevole di aver avuto un rapporto sessuale, anche se consenziente, con questa ragazza di 20 anni, troppo giovane per concederselo perché la legge fissa il limite a 21 anni di età. La vicenda resta oscura ma il verdetto dei magistrati è bastato ai suoi sostenitori per gridare al complotto.
Questa sentenza infatti rende Ousmane Sonko incandidabile per le elezioni del 2024 perché ha perso anche il diritto di presentare ricorso in quanto non si è presentato alla prima udienza del processo, iniziato il 23 maggio, in polemica con le autorità giudiziarie su questioni procedurali e di sicurezza.
Sonko è l’astro nascente della politica senegalese per il quotidiano francese Le Monde. 48 anni, sindaco della città di Ziguinchor, deputato, fondatore del partito di opposizione Pastef, ha tentato la scalata alla presidenza già nel 2019 ottenendo il 15% dei consensi. Si definisce patriota ed antisistema, attacca l’élite al potere accusata di corruzione ed asservimento agli interessi francesi, auspica l’abbandono del franco Cfa perché “è una moneta coloniale”. Difende la religione e le tradizioni a tal punto da invocare una più aspra repressione dell’omosessualità. Populismo a buon mercato ed a dosi industriali sufficiente a spalancargli le porte del consenso tra i giovanissimi e gli studenti universitari, tenuti ai margini dai politici oggi al potere, e per cui il Pasfet (il partito di Sonko) è l’unica alternativa possibile.
Sono campanelli di allarme per la democrazia senegalese che conserva radici robuste, nonostante il difficile cammino degli ultimi 63 anni. L’accusa principale rivolta al presidente Macky Sall è di aver ridotto gli spazi di agibilità democratica anche alla luce negli ultimi 7 anni di almeno due casi di esclusione dall’agone politico di figure dell’opposizione con il ricorso a procedimenti giudiziari molto discutibili.
La campagna elettorale in Senegal si fa incandescente già da ora ed i colpi di scena non mancheranno. Macky Sall resta ambiguo sul suo terzo mandato mentre il Paese rischia di entrare in un tunnel di violenza quando sarà data esecuzione all’arresto di Sonko. I giovani non mancheranno di protestare ancora.
Foto © Imani Bahati via Unsplash
Enzo Nucci
Giornalista. Già corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.