di Ezio Gianni Murzi. Medico e fotografo.
Una fotografia del Mozambico dal 1979 al presente attraverso le storie di un medico, di un ospedale e delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli. Una storia che ci racconta di come una decisione, in apparenza di minima importanza, possa avere conseguenze del tutto inattese e di grande portata per far fronte a un’epidemia letale.
Nel febbraio di quest’anno sono tornato in Mozambico dopo più di ‘( anni. Questa è la storia di come una decisione, in apparenza di minima importanza, possa avere conseguenze del tutto inattese e di grande portata. Ma è anche il racconto di come alcune protagoniste di questa storia abbiano saputo cogliere le opportunità che venivano date loro e mettere in atto una serie di strategie per affrontare un’epidemia letale. Tutto ebbe inizio nel 1979. A quel tempo, già dal 1977 e fino al 1981, ero medico capo del distretto del Limpopo nella provincia di Xai-Xai, in Mozambico. Operavo, come unico medico chirurgo, nell’ospedale rurale di Chokwe, affiancato da infermiere e infermieri locali, tra cui alcune suore delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli, di varia provenienza. Tra queste, scelsi di inviare la mia più stretta collaboratrice, suor Maddalena Serra, per riorganizzare e gestire l’unità sanitaria di Chalucuane, un villaggio non distante ma che nel periodo delle piogge a causa della mancanza di strade facilmente praticabili, rimaneva isolato.
Fu questa la mossa che, del tutto inaspettatamente, portò a cambiamenti sistemici nei servizi sanitari distrettuali e all’ascesa dell’Ospedale Carmelo. Curando a Chalucuane i pazienti affetti da tubercolosi, suor Maddalena e altre Figlie della Carità che l’avevano raggiunta, continuavano a imbattersi in fallimenti terapeutici ingiustificati. È da sottolineare che negli anni Novanta nel Paese non si parlava ancora di Aids, l’epidemia sembrava non essere riconosciuta. Approfittando di una donazione di test Hiv dalla Spagna, dove invece l’Aids era manifesta e dove una delle suore si era recata per aggiornarsi, le Figlie della Carità li eseguirono sui pazienti, con il risultato di una sieroprevalenza dell’Hiv del 30%.
IL TERRIBILE BINOMIO HIV E TUBERCOLOSI
L’Hiv stava già infettando la popolazione, fatto che avrebbe costituito per le suore una grande sfida. In Mozambico il binomio Hiv-tubercolosi non ha infatti solo un impatto devastante sulla mortalità e la morbilità, ma anche gravi dimensioni sociali, come l’impatto sulla vita delle famiglie, la sicurezza economica e alimentare, la disabilità e lo stigma. È in questo contesto che i servizi sanitari e le cure sono forniti. Per affrontare l’emergere dell’epidemia occorreva in primo luogo una struttura adeguata. C’era a Chokwe un convento abbandonato, un tempo Convento del Carmelo, iniziato a costruire nel 1961 e inaugurato il 26 luglio 1964, data in cui fu consegnato alle suore Carmelitane Scalze, le quali lo occuparono fino al 1976.
In quell’anno, costrette dalle circostanze politiche, le suore dovettero lasciarlo, il convento fu nazionalizzato ma di nuovo restituito alla Chiesa nel 1993. Fu allora che le Figlie della Carità chiesero al vescovo di Xai-Xai che fosse loro assegnato. Quello che, trasformato, sarebbe diventato l’attuale Ospedale Carmelo, unità sanitaria di riferimento per tubercolosi e Hiv/Aids, si aprì ai primi pazienti il 10 maggio 1995. Guidato dalle Figlie della Carità, l’ospedale ha oggi medici mozambicani, ospita un sofisticato laboratorio diagnostico e di analisi, una panetteria per la produzione di reddito, un centro per bambini orfani dell’Aids e una cucina che serve tre pasti al giorno. Gli assistenti sociali ospedalieri visitano regolarmente le famiglie dei pazienti nei loro villaggi per monitorare la conformità e la continuità nel trattamento e per fornire appoggio e guida sanitaria. Non occorre addentrarsi nei meccanismi e nelle dinamiche che sono alla base delle strutture sociali locali per rendersi conto che la solidarietà e la mutua assistenza ne costituiscono uno dei princìpi fondamentali, non solo all’interno della famiglia nucleare ma anche della famiglia estesa.
Si può dire che ognuno è responsabile e si prende carico dei membri che sono in condizioni di maggiore fragilità e di bisogno. È integrando questo principio culturale a quello di una carità organizzata e alla cura delle persone basata sulla giustizia sociale, l’inclusione, l’educazione e il benessere fisico e sociale che operano le suore, attraverso un approccio olistico agli individui e al benessere della comunità, indipendentemente da origine, religione o fede di ciascuno. L’ospedale gestito dalle Figlie della Carità è una comunità di donne che dedicano la loro vita a servire i più poveri e abbandonati in un mondo fratturato dalla povertà, dall’iniquità sociale e dalla sofferenza. È un ospedale che si espande nel territorio, che porta non solo cure e assistenza medica là dove sono necessarie, ma che assicura ai bambini orfani dell’Aids un legame familiare, per lo più nella figura della nonna, ma anche di una parente giovane e, laddove ve ne sia bisogno, un tetto, cibo, materiale scolastico e aiuto economico.
L’OSPEDALE CARMELO QUARANT’ANNI DOPO
Dopo quarant’anni sono entrato per la prima volta all’Ospedale Carmelo e ho scoperto che era un ospedale totalmente dedicato al trattamento dei pazienti con Hiv/Aids e tubercolosi, affiancando così l’ospedale rurale in cui avevo lavorato più di 40 anni prima. Il cortile era affollato da centinaia di persone, tutte in attesa di essere visitate e di essere sottoposte al loro primo test per l’Hiv o per il loro check-up mensile, una scena che avrei visto ripetersi nei giorni successivi. Nei reparti c’erano pazienti che soffrivano di Aids e tubercolosi, ma così come all’accettazione, era evidente il tocco umano e personale nella cura dei pazienti.
L’attuale assistenza all’Ospedale Carmelo, che ora è un’unità sanitaria di riferimento per i pazienti con tubercolosi e Hiv/Aids, è situata nella città di Chokwe e consiste in assistenza ospedaliera, pediatria, in un centro che è parte integrante del Sistema sanitario nazionale del Mozambico, gestito e amministrato dalle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli, in accordo con il Ministero della Salute. I test effettuati in ospedale tra il 1995 e il 2002 avevano mostrato un grande aumento delle persone infettate dal virus dell’Hiv. Data la prevalenza dell’Aids, l’Ospedale Carmelo ha ampliato i suoi servizi originariamente focalizzati sul trattamento della tubercolosi per assistere i pazienti positivi all’Hiv e ha ottenuto l’autorizzazione dal Ministero della Sanità mozambicano per iniziare la terapia antiretrovirale (Art) su 10 pazienti al mese.
Con il sostegno della Comunità di Sant’Egidio i primi 10 pazienti hanno iniziato il trattamento nel dicembre 2002, dando origine al primo Centro Dream [Il Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition è un programma sanitario nato per la cura e la prevenzione dell’Aids in Africa per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con la Fondazione Dream] delle Figlie della Carità, finalizzato al trattamento dell’Hiv/Aids. Se la sieroprevalenza della positività all’ Hiv+ nei pazienti affetti da tubercolosi era del 30% nel 1990, questo indice è salito al 36% nel 2002 e a un allarmante 76% nel 2010. Di fronte a un tale scenario, la sensibilità delle suore, integrate nell’ambito della loro vocazione, ha portato alla creazione di un’intera organizzazione con nuove strutture per prendersi cura dei pazienti affetti da Hiv/Aids. Questo lavoro è stato svolto fino a oggi con grande determinazione, portando sostegno e miglioramenti significativi alla comunità locale. A dicembre 2011, 16.539 pazienti sieropositivi erano stati diagnosticati in questo ospedale, di cui 5.681 erano in trattamento antiretrovirale (Art) a quella data.
IL MOZAMBICO OGGI
Il Mozambico ha ottenuto l’indipendenza dal dominio coloniale portoghese nel 1975, a cui seguì una guerra civile dal 1977 al 1992, il cui impatto è stato l’enorme perdita di vite umane e violazioni dei diritti umani, insieme alla decimazione delle infrastrutture locali tra cui l’istruzione e la salute. Ciò ha lasciato un’eredità di povertà per gran parte della popolazione, insieme alla mancanza di infrastrutture e risorse sanitarie e di professionisti sanitari qualificati per soddisfare le esigenze degli individui e delle comunità. I problemi di salute pubblica, in particolare l’Hiv, la tubercolosi e la malaria presentano a oggi un carico significativo di malattia con alti tassi di mortalità e morbilità.
Il Mozambico continua a essere colpito dall’epidemia di Hiv, che vede l’11,9% della popolazione infettata nel 2023, una percentuale che lo rende il settimo Paese al mondo con i tassi più alti di Hiv. I tassi di trasmissione dell’Hiv da madre a figlio sono i secondi più alti al mondo. Inoltre, c’è una crescente incidenza di tubercolosi, che rimane un’enorme sfida per la salute pubblica, aggravata dalla povertà, e dalla mancanza di istruzione per molte comunità che non sono in grado di accedere alle informazioni sulla salute pubblica nelle lingue locali o anche in portoghese.
Attualmente ci sono 561 casi ogni 100.000 persone, tuttavia solo il 58% di questi casi ha raggiunto il sistema sanitario. Sebbene il 96% dei pazienti sia sottoposto a screening per la tubercolosi, solo il 67% di questi è sieropositivo. La mancanza di centri e servizi di laboratorio presenta grandi sfide per intraprendere lo screening e i test per i pazienti ricoverati e per la popolazione. I casi pediatrici di tubercolosi sono quasi triplicati negli ultimi anni. Si stima che nel 2020 circa 43mila persone (145 per centomila) siano morte di tubercolosi, ma un’alta co-infezione con l’Hiv ha contribuito al 50% dei decessi. Il Mozambico ha una delle più alte incidenze globali di co-infezione tubercolosi/Hiv e malaria-/ Hiv, che è associata a risultati peggiori.
La malaria è endemica in Mozambico con tassi stimati del 30% nel 2019 e rappresenta il 46% del carico di malaria nell’Africa meridionale ed è stata la quarta causa di morte nel Paese nel 2019, rappresentando il 42% dei decessi tra i bambini sotto i 5 anni. Si stima che il 46,3% dei bambini in Mozambico affronti la povertà multidimensionale, pertanto l’approccio alla cura dei pazienti con Hiv/Aids e tubercolosi da parte delle Figlie della Carità è quello di seguirli dall’inizio fino al recupero, e riconoscere che trattare solo la malattia non è sufficiente, ma che le persone hanno anche bisogno di supporto pratico e sociale in termini di cibo, medicine, alloggio e istruzione.
Foto © Ezio Gianni Murzi
Ezio Gianni Murzi
Medico e fotografo