Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista.
Quella di Caino e Abele è molto di più che una leggenda: è la constatazione di una diversità di progetto, di visione del mondo e del ruolo del singolo all’interno dell’umano consesso, dalla natura. Della “famiglia dell’uomo” e dell’ambiente che la circonda.
Non tutte le minoranze, lo sappiamo bene, meritano rispetto: ci sono quelle aggressive e prepotenti, e quelle miti benché decise nelle loro richieste di affermazione, nella rivendicazione dei loro diritti (mai disgiunti dalla persuasione di avere anche dei doveri!) e nelle loro richieste di comportamenti degni da parte dei propri simili e soprattutto di coloro che comandano e amministrano. La leggenda di Caino e Abele è molto di più che una leggenda: è la constatazione di una diversità di progetto, di visione del mondo e del ruolo del singolo all’interno dell’umano consesso, dalla natura. Della “famiglia dell’uomo” e dell’ambiente che la circonda. Una natura «che tutti in sé confederati estima», diceva il grande Recanatese.
Mi viene alla mente un aneddoto che ho sentito dalla bocca di uno dei nostri massimi poeti, Vittorio Sereni, che un giorno, subito dopo le elezioni del 1948 che avevano dato la maggioranza dei voti alla Democrazia Cristiana a danno dell’alleanza di sinistra vide Umberto Saba aggirarsi per Milano, dalle parti della Galleria, smaniando e gridando: «Porca! Porca!». Sereni gli chiese con chi ce l’aveva, e Saba: «Con l’Italia!».
Destra contro Sinistra, conservatori contro novatori, autoritari contro democratici… È stato sempre Saba a dire, in una delle sue “scorciatoie” che, mentre nella gran parte dei Paesi il mito fondatore della loro origine parla di una rivolta contro i padri – Giove contro Saturno! – l’Italia era uno dei rari Paesi ad avere la sua leggenda-base, il suo punto di partenza come popolo e nazione, non in un parricidio ma in un fratricidio: Romolo contro Remo!
Nella ripetizione dello scontro del mito, all’origine della Storia, a inizio della Bibbia e subito dopo la Creazione, quello di Caino e Abele. Ma chi è Caino? E chi è Abele? Ho pensato spesso alla convinzione di Saba negli anni intorno al ’68, quando capitava di assistere in piazza tra scontri feroci tra “i nostri” e “i fascisti” (non solo manifestanti contro poliziotti, anche tra manifestanti di convinzioni diverse, di una diversa appartenenza…).
L’uomo in rivolta di Albert Camus non si trova sempre dalla parte dei giusti ma, per motivi diversi e a volte affini, può cadere nelle spire del potere, e finire col difenderlo, col farne parte. Anche nel sogno di un nuovo potere ai cui princìpi si aderisce. E tante sono le vittime, da una parte e dall’altra…
Fausto e Iaio, i due ragazzini del circolo Leoncavallo di Milano ammazzati dai fascisti più o meno loro coetanei, ma anche i ragazzi di Acca Larentia a Roma ammazzati dai “nostri”. Fa bene rileggere ogni tanto Camus (e Orwell, e Silone, e tanti altri, e ovviamente Gandhi e il pastore Martin Luther King) e ragionare sul diritto-dovere alla rivolta da parte dei diversamente oppressi, ma anche sui modi della rivolta, che non possono che essere, che devono essere diversi da quelli di chi ci opprime e di chi li ha mandati al potere.
Un amico-allievo di Saba, Carlo Levi, quasi un suo genero per il lungo sodalizio con la figlia di Saba, Linuccia, divise il mondo “oltre Eboli” in cui fu confinato dal fascismo in “luigini” (don Luigi era il vero padrone del paese, proprietario terreno. e “borghese”) e contadini. Una perfetta, una esemplare e definitiva dicotomia, nell’Italia di allora.
Un suo allievo e ammiratore, Giovanni Russo, chiamò una sua grande inchiesta sul Sud Baroni e contadini. Ma più radicalmente dobbiamo a un grande storico, Claudio Pavone, il più importante saggio sulla Resistenza al nazi-fascismo (1943-45) in Italia che egli volle intitolare La Resistenza come guerra civile (e non soltanto “di liberazione” o di rivoluzione…). Caino contro Abele, e in Italia e dovunque è una storia che si ripete e che si spera non debba sempre ripetersi.
Anche se qualcun altro ha detto che ogni guerra è “una guerra civile”, una guerra tra fratelli, che mette gli uni contro gli altri uomini, perlopiù giovani, che hanno idee diverse della società o che sono influenzati da leader che hanno idee diverse, e che però sono in ogni caso “fratelli”. Come lo erano Romolo e Remo, come lo erano Caino e Abele, come lo erano i nostri partigiani e i loro nemici i repubblichini.
Il punto di partenza per un mondo nuovo, di fratelli “confederati” nella ricerca di un mondo migliore e non di fratelli che si inventano nemici (o che i potenti del mondo, i padroni dell’economia e della politica e della scienza vogliono che si pensino nemici) è quello della ricerca e affermazione di ideali comuni… del bello, del giusto e del vero… come sempre. E anche nella rigorosa affermazione di una diversità.
Quando Salvemini tornò in Italia dall’esilio, dopo la fine della guerra, incontrò tanti che gli dicevano: «Ci vuole pazienza, noi italiani siamo fatti così», gridò indignato: «Io sono italiano, e non sono “fatto così”!».
Illustrazione © Doriano Strologo

Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista.