Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista.
Nato a Fossoli di Carpi (Modena) il 30 agosto 1900, don Zeno Saltini nel 1947 occupò pacificamente il campo di concentramento di Fossoli, fondando Nomadelfia, la “città dove l’amore è legge”, che accolse centinaia di “scartini” della società prodotti dalla guerra.
Lessi a Partinico, dove lavoravo con Danilo Dolci e i suoi amici, nei primi giorni del 1956 un piccolo libro di don Zeno Saltini intitolato Non siamo d’accordo e lessi più tardi altri volumi della casa editrice De Silva, animata da Franco Antonicelli, che pubblicò, tra altre opere che giudico fondamentali per la nostra storia politica e civile e senz’altro per me: il primo libro di Danilo Dolci Fare presto e bene perché si muore, le Memorie di un rivoluzionario di Victor-Serge , Gli intellettuali e la guerra di Spagna di Aldo Garosci e infine Se questo è un uomo di Primo Levi, che l’Einaudi aveva rifiutato.
Prima di scendere in Sicilia a Trappeto e fondarvi un Borgo di Dio che in qualche modo riprendeva il modello ideato da don Zeno, ma con un maggiore impatto politico, Danilo aveva lavorato a Nomadelfia, la “città dei ragazzi” fondata subito dopo la guerra da don Zeno Saltini (1900-1981) in un ex campo di concentramento fascista a Fossoli, frazione di Carpi.
Don Zeno aveva combattuto nella Prima guerra mondiale e aveva avuto qualche simpatia per socialisti e anarchici suoi commilitoni, ma aveva scelto di fare il prete. Aveva poi visto e vissuto i disastri della Seconda, e – allora non era del tutto insolito – si occupò dei ragazzi sbandati e senza famiglia, fondando una comunità che contò fino a 1.000 membri, una “città di ragazzi” e di volontari adulti che di loro si occupavano, divisi in nuclei famigliari insoliti, non legati da vincoli di sangue.
Insieme, costruirono case, e il “potere pubblico” veniva amministrato in modo perlopiù assembleare, ma con delle forme di elezione diretta dei leader. Questo modello era già presente altrove, dall’Urss (sul modello stabilito da Makarenko) agli Stati Uniti (e fu celebre un film con Spencer Tracy che si intitolò appunto La città dei ragazzi, negli anni del New Deal rooseveltiano).
Don Zeno ottenne la solidarietà e complicità della sinistra locale, comunista e socialista, e di qualche raro prelato. Ma Nomadelfia dava fastidio, e per la Democrazia Cristiana puzzava di comunismo. Il ministro degli Interni Scelba – pare anche su sollecitazione di Pio XII, che in tempi di guerra fredda era arrivato a scomunicare comunisti e socialisti – mandò la Celere a chiudere Nomadelfia, e piazzò i ragazzi della comunità in orfanatrofi e strutture statali.
Ho conosciuto molti di loro, e alcuni anche ragazzi ormai adulti – cambiati i tempi con Giovanni XXIII – e alcuni vennero a lavorare in Sicilia con Dolci. Oltre al quale vorrei ricordare l’animatore della libreria della Corsia dei Servi milanese fondata dai frati serviti Turoldo e De Piaz, dove si discuteva dei grandi problemi degli anni Cinquanta e Sessanta con una libertà ben maggiore a quella dalla Casa della Cultura voluta dal Partito comunista e diretta per un certo tempo da Rossana Rossanda.
Don Zeno non ebbe una vecchiaia vivace e coraggiosa all’altezza dei suoi inizi e, riaperta Nomadelfia con minore libertà del passato, organizzò con i suoi ragazzi spettacolini teatrali che girarono per più estati lungo le spiagge del Tirreno centrale. Di lui ho un piccolo ricordo personale: Danilo mi dette qualcosa da consegnargli a Roma, dove seguivo, dopo la Sicilia, dei corsi per assistenti sociali.
Mi dette appuntamento all’angolo di via Nazionale con piazza della Repubblica e mi stupì che si presentasse in motocicletta, con tanto di tuta e di casco, ben diverso da come me lo immaginavo, più piccolo di come lo immaginavo; e in ogni caso: non somigliava affatto a preti cari a papa Pacelli… E anche don Milani ne seppe qualcosa.
Illustrazione © Doriano Strologo
Goffredo Fofi
Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista.