Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.
Lo scorso novembre, la prima commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione sulle armi autonome. Il documento, proposto dall’Austria e votato con 164 a favore – tra cui l’Italia –, sottolineala necessità di «affrontare le sfide e le preoccupazioni sollevate dai sistemi d’arma autonomi», da un punto di vista tecnologico, etico e umanitario.
Negli ultimi mesi ci siamo abituati purtroppo alle tante brutte notizie che provengono dai diversi fronti di guerra e più in generale rispetto ai declinanti livelli di cooperazione in seno alla comunità internazionale. In questo contesto, finalmente arriva una notizia da accogliere con una certa dose di ottimismo, seppur cauto.
Il primo novembre la prima commissione dell’Assemblea generale dell’Onu ha votato una risoluzione sulle armi autonome con 164 voti a favore in cui è evidenziata la necessità urgente di affrontare le preoccupazioni emerse dall’utilizzo di tali dispositivi. In parole più semplici, sebbene in tale risoluzione non vi siano disposizioni puntuali, è comunque da registrare l’esortazione agli stati a regolamentare l’uso di tali dispositivi.
La notizia è da considerarsi ancora più positiva se ricordiamo che finora gli incontri per il controllo di tali armi – ad esempio quelli per la revisione della convenzione dell’Onu sulle armi convenzionali – avevano fatto registrare diversi nulla di fatto poiché le posizioni in merito alle armi autonome continuavano ad essere molto distanti.
Anche in alcuni Paesi democratici occidentali (come Stati Uniti e Regno Unito) era (e sicuramente ancora è) presente l’idea che vi potrebbero essere anche vantaggi dall’uso delle armi autonome poiché si ritiene che i combattimenti potrebbero divenire meno cruenti e sanguinari in virtù di un’auspicata migliore selezione degli obiettivi da parti di dispositivi “intelligenti”. I rischi derivanti dall’uso delle armi autonome, comunque, cominciano a essere evidenti e condivisi da un numero crescente di scienziati e policy-maker.
In questa ultima votazione presso l’Onu, fortunatamente, le divisioni tra le democrazie occidentali non si sono ripresentate e quindi almeno in questa fase preliminare sembra che si siano poste le basi per una futura regolamentazione. I voti contrari sono stati di Federazione Russa, Bielorussia, Mali, Niger e India. Si sono, invece, astenuti Cina, Arabia Saudita, Israele, Turchia, Iran, Corea del Nord, Siria ed Emirati Arabi Uniti.
Questo voto dimostra che esistono ancora divisioni profonde in seno alla comunità internazionale in merito ad alcuni valori fondanti, in particolare sulla misura e l’utilizzo della violenza. Ancora più preoccupante è il fatto che Paesi che guardano all’emisfero occidentale per quanto attiene all’organizzazione e integrazione economica non hanno la medesima attenzione su temi quali l’uso della violenza, il disarmo e la pace.
Arabia Saudita, Cina, India, Israele e Turchia sono Paesi ormai perfettamente integrati nell’economia globale, e in rapporti economici costanti con le economie più avanzate, ma che continuano a sottolineare in diverse occasioni la loro distanza dalle principali democrazie quando si tratta di guerra e normativa umanitaria.
Non sarà facile convincere i governi di tali Paesi a modificare la propria posizione, ma è comunque positivo il fatto che evoluzioni in questo senso siano comunque discusse e votate in sede Onu in modo da costruire le basi per un’eventuale adesione futura anche da parte di Paesi non in linea.
In questo senso, un precedente di buon auspicio è sicuramente l’adesione della Cina al Trattato Att, vale a dire il trattato di regolamentazione del commercio di armi convenzionali. In prima battuta Pechino non aveva sostenuto il trattato per poi aderirvi nel 2020.
Questo esempio dimostra che le posizioni su questi temi non devono considerarsi immutabili ma che esiste comunque uno spazio in cui la diplomazia e la cooperazione tra stati può generare nuove regole di convivenza pacifica.
Foto © “Non-Violence” (The Knotted Gun) by Carl Fredrik Reuterswärd at the United Nations Headquarters

Raul Caruso
Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.