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Quale lezione dal secolo scorso?

by Raul Caruso

Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

A dispetto di quello che si pensi, lo stallo – quello in cui si trova il conflitto tra Russia e Ucraina, per esempio – è una delle situazioni più comuni dei conflitti armati. Questo a dispetto dell’eredità della Seconda guerra mondiale, quando la Germania nazista fu completamente sgominata dagli Alleati insieme agli altri Paesi dell’Asse.

Nel momento in cui questo articolo viene redatto, la situazione del conflitto tra Russia e Ucraina è paradossalmente chiara. Nessuno dei due Paesi è in grado di vincere militarmente questa guerra. Ci troviamo in una situazione di stallo.

A dispetto di quello che si pensi, lo stallo è una delle situazioni più comuni dei conflitti armati. In pochi conflitti della storia abbiamo ritrovato un chiaro vincitore dal punto di vista militare.

In questo senso, il ventesimo secolo ci ha lasciato un’eredità pesante poiché ci ha abituati all’idea che le guerre si possano vincere sgominando il nemico come gli Alleati alla fine della Seconda guerra mondiale fecero con la Germania nazista e gli altri Paesi dell’Asse. Ebbene, la vittoria schiacciante che nell’immaginario collettivo dovrebbe porre fine alle guerre non è una regola bensì un’eccezione.

Nel 1945, peraltro, la vittoria definitiva arrivò con un prezzo altissimo in termini di vite umane se consideriamo il ricorso alla bomba atomica per piegare l’ultima resistenza giapponese.

In ogni caso, il caso della Seconda guerra mondiale rimane un’eccezione poiché le guerre non terminano con soluzioni militari ma solamente con accordi tra le parti che peraltro possono essere anche molti fragili e instabili. Se quindi vogliamo trarre una lezione dal secolo scorso non può essere sicuramente una lezione in merito alla fine dei conflitti.

Una lezione che invece possiamo trarre è quella che era contenuta nel famoso Le conseguenze economiche della pace di John Maynard Keynes pubblicato nel 1919. Il libro di Keynes divenne famoso poiché a chiare lettere spiegava come le condizioni imposte alla Germania dopo il primo conflitto mondiale fossero non solo impossibili da sostenere economicamente ma anche rischiose per il mantenimento della pace.

L’impostazione di fondo del lavoro di Keynes era quella di considerare a rischio non la pace tra Francia e Germania ma piuttosto l’intera costruzione del continente europeo. A distanza di un secolo, noi oggi ci troviamo in una situazione simile. Quello che è a rischio oggi non è solo la stabilità delle relazioni tra Russia e Ucraina ma l’intero meccanismo europeo.

In particolare, quello che è realmente a rischio è il meccanismo di integrazione tra i Paesi membri e di interazione con i Paesi terzi che ha generato settanta anni di sviluppo economico e che ha reso la guerra “impensabile” quantomeno tra i Paesi dell’Europa occidentale. Questo sistema pensato in primo luogo per risolvere la rivalità francotedesca, ha avuto poi il merito di estendersi ai Paesi che si liberavano dal comunismo ma anche di normalizzare, almeno per un certo periodo, i rapporti con la Russia.

Per quanto possa apparire impopolare è necessario considerare una via di uscita dal conflitto che non contempli l’uscita definitiva di Mosca dal sistema europeo o comunque di quella parte minoritaria dei russi che intende rimanere legata all’Europa e al mondo occidentale. Questa è la missione forse più difficile che le diplomazie devono portare a termine.

La Russia di Putin, peraltro, non ha dato segnali distensivi in questo senso ma sicuramente la classe dirigente non esclude in alcun modo che vi debbano essere canali di comunicazione e di interazione. L’idea, da molti accarezzata, che attraverso il sostegno militare all’Ucraina si ponesse un limite definitivo alla Russia si è dimostrata infondata. È il momento di pensare a soluzioni diplomatiche – seppur non di comodo – per evitare gli errori di un secolo fa.

Foto © FlyD via Unsplash

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Raul Caruso

Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

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