di Michele Lipori. Redazione Confronti
Le elezioni presidenziali di Taiwan si sono svolte lo scorso 13 gennaio 2024 e hanno visto la vittoria di William Lai, del Partito democratico progressista (Dpp) che ha ottenuto il 40,2% dei voti e la sconfitta del suo rivale più vicino, Han Kuo-yu del Kuomintang (Kmt, il partito fondato nel 1919 che governò la Repubblica di Cina a partire dalla dissoluzione dell’Impero cinese fino alla rivoluzione comunista), che ha ottenuto il 35,7%. Il Dpp ha mantenuto la maggioranza in Parlamento (lo Yuan legislativo), ottenendo 61 seggi su 113. Il Kmt ha invece ottenuto 38 seggi, mentre il Partito popolare di Taiwan (Tpp), fondato nel 2019 dal sindaco di Taipei Ko Wen-je, ha ottenuto 11 seggi.
In questa tornata elettorale, l’affluenza alle urne è stata del 71,86%, con una riduzione di 3,04 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2020. Inoltre, per la prima volta dopo le elezioni del 2000, il candidato vincitore ha ottenuto meno del 50% dei voti ed è la prima volta che un partito ha vinto più di due elezioni presidenziali consecutive da quando sono state introdotte le elezioni dirette nel 1996.
REFERENDUM CONTRO LA CINA
Queste elezioni sono state interpretate da più parti come una sorta di referendum sulle relazioni di Taiwan con la Cina, che rivendica l’isola come propria e minaccia di usare la forza per riunificarla. La vittoria di Lai – che è un sostenitore dell’indipendenza di Taiwan dalla Cina, al contrario di Han, che invece sostiene la politica di rafforzare i legami con Pechino – è stata dunque un duro colpo per la Cina, che aveva messo in guardia gli elettori dallo sceglierlo e aveva aumentato la pressione militare e diplomatica su Taiwan.
Non stupisce, dunque, che le dichiarazioni cinesi sulla vittoria di Lai siano state di netto rifiuto e di minaccia: il governo cinese ha infatti affermato che non tollererà “attività indipendentiste” e che la riunificazione con Taiwan è “inevitabile” e ha accusato il Dpp di Lai di aver vinto grazie a una “campagna di disinformazione” e “alla minaccia militare statunitense”. In risposta, il governo di Taiwan ha invitato la Cina a rispettare i risultati elettorali e a rinunciare ai piani di repressione, sottolineando il proprio impegno per la democrazia e la pace.
Secondo quanto dichiarato da Puma Shen, presidente del gruppo di ricerca Doublethink Lab – un’organizzazione con sede a Taipei che indaga sulle operazioni di disinformazione al fine di salvaguardare la democrazia a livello globale – la Cina probabilmente non reagirà con la forza nell’immediato, ma continuerà a esercitare pressioni economiche e diplomatiche su Taiwan, cercando di isolare l’isola dalla comunità internazionale.
Gli Stati Uniti, principale alleato di Taiwan, si sono apertamente congratulati con Lai per la sua vittoria, ma hanno anche chiarito di non sostenere l’indipendenza di Taiwan e che si aspettano che le due parti in causa risolvano pacificamente i propri dissapori.
L’Unione europea si è congratulata con il partito vincitore pur invitando alla cautela, sottolineando quanto la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan siano essenziali per la sicurezza e la prosperità regionale e globale, ribadendo inoltre la propria contrarietà a qualsiasi tentativo unilaterale di modificare lo status quo tra Taipei e Pechino. L’Ue ha inoltre espresso il suo apprezzamento per il sistema democratico di Taiwan e per l’impegno dei suoi elettori e ha inoltre esortato le due parti a dialogare pacificamente e a rispettare i principi internazionali.
L’IMPATTO SUL MONDO
Secondo Bloomberg Economics, una guerra tra Cina e Taiwan avrebbe un costo di circa 10 trilioni di dollari per l’economia mondiale, pari a circa il 10% del Pil globale. Si tratterebbe di un contraccolpo enorme, anche comparato alle già gravi conseguenze della guerra in Ucraina, alla pandemia di Covid-19 e alla crisi finanziaria globale. Taiwan, infatti, produce la maggior parte dei semiconduttori avanzati del mondo e anche molti chip all’avanguardia, come i “chip logici” cioè quelli che – come l’unità di elaborazione centrale (cpu) di un computer – elaborano le informazioni per aiutare i dispositivi elettronici a completare i loro compiti. Secondo gli analisti di Bloomberg Economics, in caso di guerra l’economia di Taiwan subirebbe un tracollo di circa il 40% ma, a causa della chiusura delle relazioni con i principali partner commerciali e l’impossibilità di accedere ai semiconduttori avanzati, anche il Pil cinese subirebbe un colpo del 16,7%.
Per gli Stati Uniti, più lontani ma comunque molto interessati – ad esempio attraverso la dipendenza di Apple dalla catena di fornitura asiatica dei componenti elettronici – il Pil subirebbe un calo del 6,7%. Considerando il mondo nel suo complesso, il Pil scenderebbe del 10,2%, con la Corea del Sud, il Giappone e le altre economie dell’Asia orientale maggiormente colpite.
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Michele Lipori
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